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Tapachula, l’inferno messicano dei migranti centroamericani che sognano gli Usa

Delle 130 mila persone che ogni anno cercano di entrare in Messico, il 70 per cento passa da questa cittadina al confine con il Guatemala. È qui che si impigliano le vite e le speranze dei migranti centroamericani che sognano gli Usa. Le loro storie.

14 Aprile 2022 18:0618 Aprile 2022 08:59 Alberto Spiller
l'odissea dei migranti del centroamerica a Tapachula, in Messico

Tapachula fino a pochi anni fa era solo una tranquilla cittadina di frontiera del sud del Messico. Il Suchiate, il fiume che la separa dal vicino Guatemala, era attraversato da turisti diretti verso le zone archeologiche dei Maya, o da avventurieri che uscivano e poi rientravano in territorio messicano per ottenere tre mesi in più di permesso di soggiorno. Ma questo centro del Chiapas è un luogo di passaggio anche per i migranti del Centroamerica che, in senso inverso, attraversano il Suchiate con l’obiettivo di arrivare al più presto alla frontiera messicana, per poi attraversare l’altro fiume, il Rio Bravo, e raggiungere il sogno americano.

l'odissea dei migranti del centroamerica a Tapachula, in Messico
Migranti in attesa del visto (Getty Images).

Tapachula, un labirinto senza uscita per i migranti che sognano gli States

Ed è proprio per loro, migliaia di centroamericani che fuggono dalla miseria e la violenza nei loro Paesi, che negli ultimi cinque anni Tapachula è diventata un labirinto dal quale pochi riescono a uscire. Speranze e vite restano così impigliate negli stretti vicoli di questa cittadina e in quelli della burocrazia messicana. Il vero muro con cui gli Stati Uniti, e in particolare l’ex presidente Donald Trump, volevano fermare l’immigrazione (una missione che non è stata portata a termine) è stato creato qui, in questo paese di 300 mila abitanti, un imbuto naturale dove, come come in un limbo, restano imprigionate migliaia di persone in attesa di un visto o di una deportazione che, in molti casi, non arrivano mai.

l'odissea dei migranti del centroamerica a Tapachula, in Messico
Migranti che cercano di lasciare Tapachula, il primo aprile 2022 (Getty Images).

Da un inferno all’altro

José è un salvadoregno fuggito con la madre e la sorella e rimasto bloccato a Tapachula. «Pandillas, omicidi, minacce di morte, uno lavora e gli chiedono di pagare 500, 1000 dollari di pizzo al mese, e se non paghi ti ammazzano, o ammazzano tutta la famiglia», ha detto in un’intervista rilasciata agli inviati di una commissione dell’Onu. Come lui, solo nei primi mesi di quest’anno, a Tapachula sono arrivati 35 mila migranti. Una cifra record. Tutti chiedono asilo in Messico. Delle 130 mila persone che cercano di entrare nel Paese ogni anni anno secondo le cifre ufficiali del 2021, il 70 per cento passa da qui. La maggior parte sono centroamericani, ma ci sono anche haitiani, africani e cinesi. Di giorno, riempiono i vicoletti della città, cercando qualcosa da mangiare o svolgendo le attività più diverse per racimolare qualche soldo. Altri formano lunghe file fuori dagli uffici dell’Istituto nazionale di migrazione o dell’unica banca alla quale i loro parenti possono mandare qualche soldo. Di notte, dormono ammucchiati in piccole stanze senza luce né acqua. Sistemazioni per le quali pagano affitti esorbitanti. Molte donne finiscono a lavorare nei bordelli che negli ultimi anni si sono moltiplicati come funghi qui e lungo la frontiera.

L'inferno dei migranti a Tapachula
Migranti haitiani a Tapchula (Getty Images).

Se essere stuprate è l’unica via per avere un permesso di soggiorno

Jean Pierre Dupré da mesi è in viaggio per raggiungere gli Stati Uniti. È partito dalla sua Haiti ed è arrivato in Messico passando dal Venezuela e poi per il Centroamerica. Stare a Tapachula, dice, è la cosa peggiore che gli sia successa. In nessun altro posto ha subito tanta discriminazione, violenza e ingiustizie. Dorme in una stanza con otto connazionali, molti dei quali sono fermi da più di un anno in questa cittadina. La speranza, senza il visto, è di scappare, camminare ore per le montagne e sfuggire ai controlli della Guardia Nacional, o trovare un camion che, a pagamento, lo porti verso l’America, quella sognata, quella a stelle e strisce. Ma tutto questo non è privo di rischi. Il problema infatti non è tanto entrare in Messico. Dal Guatemala ci sono imbarcazioni che per 10 dollari portano sull’altra riva del fiume Suchiate, spesso sotto gli occhi delle guardie doganali che, contrariamente a ciò che mostrano le immagini durante le visite presidenziali, non muovono un dito per fermarle. E poi, da lì ci sono taxi abusivi che per altri 20 dollari arrivano fino a Tapachula. È qui che comincia il vero inferno. Passando per i sentieri accidentati nei dintorni della città, i migranti  corrono il rischio di essere “cacciati” e poi deportati dalla Guardia nacional, o di rimanere vittima di bande locali che li aggrediscono e spogliano dei loro averi, e non solo. «Ci hanno portato via tutto, anche i vestiti. E le donne le hanno stuprate, davanti ai nostro occhi», ha detto a Tag43 Alfredo, un honduregno di Pedro Sula che dopo diversi tentavi e un sequestro da parte dei narcos era riuscito ad arrivare fino al centro del Messico. Un medico, anche lui honduregno, che lavora lungo le ferrovie che i migranti percorrono illegalmente a bordo della “Bestia”, treni merci che viaggiano verso Nord, ci ha detto che molte donne centroamericane prendono contraccettivi fin dalla partenza dai loro Paesi, avendo la certezza di essere stuprate lungo il cammino. E, paradossalmente, un certificato medico che accerti una violenza sessuale può essere la loro unica salvezza, come ha spiegato Wendy, una haitiana la cui speranza di ottenere asilo in Messico era proprio su quel pezzetto di carta al quale si aggrappava con amarezza.

l'inferno dei migranti centroamericani in Messico
Migranti haitiani e centroamericani per le vie di Tapachula (Getty Images).

Carenze igieniche e scontri tra migranti: la crisi di Tapachula

Diverse sono le voci della società civile che parlano già di emergenza a Tapachula. Mancano servizi, bagni pubblici, e sono a rischio la sicurezza e la sanità pubbliche. Le violazioni ai diritti umani sono all’ordine del giorno. E la tensione cresce. In gennaio le autorità hanno intercettato un camion all’interno del quale viaggiavano ammucchiati 359 migranti illegali provenienti dal Centroamerica, fra cui 55 minorenni non accompagnati. E in dicembre dell’anno scorso, un altro camion con a bordo 120 persone è uscito di strada quando si dirigeva a Tuxla, capitale del Chiapas: il bilancio è stato di 58 migranti morti. A Tapachula si intensificano anche i conflitti etnici. L’anno scorso sono stati rimpatriati 114 mila stranieri, secondo le stime del governo. Gli stanziali, però, sono ancora molti, troppi. Due settimane fa, 200 manifestanti, in maggioranza haitiani e africani, hanno assalito gli uffici del centro per la migrazione scontrandosi con la Guardia nacional. E pochi giorni dopo è scoppiata una rissa tra gruppi di migranti africani e latinoamericani armati di pietre e bastoni per rivendicare il diritto a essere ricevuti dalle autorità, a scapito degli altri. Una crisi umanitaria, una situazione ormai fuori controllo, che si consuma proprio mentre i presidenti Andrés Manuel Lòpez Obrador e Joe Biden, in un recente incontro, hanno fatto mostra delle loro buone relazioni, presentando programmi di aiuti economici al Centroamerica per frenare l’immigrazione (Sembrando Vida e Construyendo el Futuro). Tapachula, lontana dai riflettori, sembra confermare il detto che “i panni sporchi si lavano in famiglia”; e meglio se nella stanza più dimenticata, nascosta, della casa.

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