Incompreso

Stefano Grazioli
17/11/2021

La crisi dei migranti in Bielorussia fa parte di una partita più ampia che vede il Cremlino contro l'Occidente, dall'Ucraina alla fornitura di gas. Ue e Usa non cedono al compromesso mentre Putin vorrebbe solo essere trattato come Erdogan o Bin Salman. L'analisi.

Incompreso

Quella bielorussa è una crisi internazionale, non è solo un duello tra Minsk e Bruxelles con la partecipazione accidentale di Varsavia. E come tale non può essere risolta senza la collaborazione della Russia. L’Unione europea deve trattare con Vladimir Putin, l’unico che può fare pressione su Alexander Lukashenko. Allo stesso tempo, l’Europa non può trattare con il Cremlino solo su un fronte, quando i dossier aperti sono molti, la maggior parte dei quali riconducibili a una battaglia più ampia che vede contrapposta la Russia agli Stati Uniti. Il problema dei migranti ai confini tra Ue e Bielorussia è solo un tassello della Guerra fredda ritornata in grande stile dopo il cambio di regime in Ucraina nel 2014 e lo spostamento del baricentro di Kiev verso Occidente.

Bielorussia, Ucraina e gas: i fronti della nuova Guerra fredda

Lasciando fuori gli scenari extraeuropei, dalla Libia all’Afghanistan passando per la Siria e l’Iran, sono tre i campi principali che impegnano da un lato la Russia e dall’altro l’Unione europea: la Bielorussia appunto, l’Ucraina e la questione energetica. Gli Stati Uniti non sono solo uno spettatore, ma un attore fondamentale e la Casa Bianca pesa più dei palazzi europei. Il quadro è complesso, ma è chiaro che senza compromessi con la Russia l’Occidente non può sperare di risolvere i problemi più urgenti, dall’immigrazione dall’Afghanistan e dall’Iraq alla guerra nel Donbass, dove il vaso di Pandora è stato scoperchiato dalle miopi tattiche di Washington e Bruxelles.

Putin si offre di mediare sui migranti mentre Lukashenko minaccia di bloccare il gas

Gli ultimi giorni sono stati effervescenti. Putin si è offerto di fare il mediatore tra Bielorussia e Ue sui migranti. Lukashenko ha minacciato di bloccare il transito di gas verso l’Europa a fronte di nuove sanzioni. Angela Merkel non è riuscita ad abbandonare tranquillamente il Kanzleramt e ha già telefonato un paio di volte a Mosca e Minsk per cercare di far ragionare i due autocrati che non aspettano altro di vedere scoppiare un’altra crisi in Europa. Ursula von der Leyen non ha neanche provato a ragionare con Russia o Bielorussia, visto che nessuno l’avrebbe ascoltata. Putin dal canto suo non ha mai considerato l’Europa un interlocutore, ma questo era già un problema che aveva Henry Kissinger, anche se la frase su chi rispondesse al numero di telefono dell’Europa è una fake news. Lo stesso Kissinger che, dopo la crisi ucraina del 2014, aveva scritto sul Washington Post che per rimettere insieme i cocci sarebbe stato vietare a Kiev l’ingresso nella Nato. E non è finita. A Mosca la settimana scorsa è passato il capo della Cia William Burns e i media a Washington hanno rilanciato l’allarme per una possibile invasione russa dell’Ucraina condiviso anche dalla Nato che ha messo in guardia circa una insolita concentrazione di forze russe sui confini. A Kiev, invece, il presidente Volodymyr Zelensky si è lasciato scappare l’occasione per mettersi in buona luce non proponendo all’Europa di accogliere i migranti che passano dalla Bielorussia come qualcuno dalla Germania, anche guardando ai propri interessi, gli aveva consigliato.

Lo stop sospetto alla certificazione del Nord Stream 2 

La novità da Berlino è che il processo di certificazione di Nord Stream 2, il secondo gasdotto di Gazprom che aggira l’Europa centrale passando sotto il Baltico, è stata sospesa temporaneamente per ragioni legali. Come ha spiegato l’Agenzia federale tedesca delle reti (Bundesnetzagentur), la procedura di certificazione «è possibile solo se l’operatore è organizzato secondo una forma giuridica di diritto tedesco». L’annuncio, che ha provocato un’impennata del prezzo del gas sul mercato europeo, è arrivato proprio quando l’operatore del gasdotto aveva deciso di creare una filiale in Germania per soddisfare le regole dell’Ue che richiedono ai produttori di gas di essere legalmente separati dalle società che trasportano il carburante. Lo stop è stato salutato positivamente dalla compagnia polacca PGnIG. Varsavia del resto si è sempre opposta alla realizzazione del Nord Stream 2 perché aumenterebbe la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia. Le coincidenze di queste tipo sono sospette. Se Lukashenko bloccasse, con il permesso di Mosca ovviamente, il transito attraverso Yamal, la pipeline che porta gas passando da Bielorussia e Polonia, e la quantità che passa in Ucraina non fosse sufficiente per soddisfare il fabbisogno europeo, allora l’apertura di Nord Stream sarebbe vitale. I bastoni tra le ruote al progetto russo-tedesco sono stati messi sempre dalla politica, statunitense ed europea, la stessa che dice che Mosca usa l’energia come arma impropria.

Il vero obiettivo del Cremlino

Come se ne esce? Ci vorrebbero la saggezza e il realismo di Henry Kissinger, che nessuno al momento sembra avere. Quello che è certo è che a Bruxelles e Washington non sembrano ancora aver capito come funzionano le cose al Cremlino, più di 20 anni dopo l’arrivo di Putin. La Russia non si convince certo imponendo sanzioni, né aiuta la tattica dell’escalation, anzi. Il che non vuol dire che bisogna piegarsi al volere di Mosca su ogni terreno, i compromessi si fanno ad ampio raggio, do ut des. L’Europa e gli Stati Uniti lo hanno sempre fatto e lo fanno, dalla Turchia all’Arabia Saudita, e Putin non vuole altro che essere trattato come un qualunque Erdogan o Bin Salman.