Michele Merlo, il padre: «Il medico indagato per la morte? Non ce l’ho con lui»
Secondo la perizia, la giusta diagnosi avrebbe salvato il giovane cantante, stroncato dalla leucemia a 28 anni.
«No, basti sapere che è tutt’ora il mio medico di base. L’ho visto anche l’altro giorno per delle impegnative, ma di Michele non abbiamo più parlato. Se sono arrabbiato è invece con il sistema sanitario che non funziona più, bisogna rivolgersi al privato». Così risponde Domenico, il padre di Michele Merlo, morto a seguito di una leucemia fulminante. Il giovane era diventato famoso a seguito della sua partecipazione al noto programma televisivo X Factor. L’intervista al Corriere della Sera arriva dopo la notizia che il ragazzo si sarebbe potuto salvare con le giuste cure. Invece, il giovane fu rimandato a casa.
Michele Merlo, cosa ha detto il padre
Al momento, l’unico che deve rispondere dell’accusa di omicidio colposo è proprio il medico di famiglia. Secondo Domenico Merlo, però, i medici dell’ospedale non avrebbero dovuto sottovalutare le chiazze viola sulla pelle del 28enne. Se avessero fatto le analisi – secondo il padre – avrebbero scoperto la leucemia e avrebbero disposto le cure più adeguate. Invece, l’ematoma alla coscia sinistra è stato confuso come uno strappo muscolare.

«Non è quel dottore il problema, ma la sanità veneta e nazionale che non funzionano per niente, siamo ridotti ai minimi termini: i tagli, gli ambulatori pieni, gli ospedali trattati come aziende che devono creare utili quando invece devono salvare vite. La morte di Michele è figlia di tutto questo» spiega Domenico, secondo il quale la negligenza avrebbe pesato sulla morte del ragazzo. A stabilirlo, però, ora deve pensarci un giudice. A fine settembre ci sarà l’udienza del giudice per le indagini preliminari.
Le parole del padre: «Oggi Michele sarebbe ancora con me»
Il padre non ha dubbi. «Se mio figlio fosse stato sottoposto tempestivamente alle terapie necessarie sarebbe qui con me o in un letto di ospedale» rivela. Ora Domenico Merlo sta proseguendo la sua battaglia non per i risarcimenti, ma per dare giustizia al giovane.

«Mio figlio purtroppo non me lo restituisce più nessuno e non è certo una questione di soldi, di risarcimenti. Non pretendo niente da nessuno, sia chiaro. Lo faccio solo perché voglio giustizia. Solo questo» conclude.