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Eurosa

Metsola completa con Lagarde e von der Leyen il tridente di donne ai vertici di istituzioni Ue. Nel vecchio continente poi sono cinque le premier alla guida dei rispettivi Paesi. Esaurite le note positive, il gender gap salariale e occupazionale resta, però, evidente.

18 Gennaio 2022 18:1118 Gennaio 2022 18:12 Stefano Iannaccone
Roberta Metsola sarà la nuova presidente del Parlamento europeo: le altre donne nei ruoli di vertice della politica

Roberta Metsola è l’ultima punta di un tridente europeo tutto al femminile. Dopo Christine Lagarde al vertice della Bce e Ursula von der Leyen al comando della Commissione, anche per succedere a David Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento, la preferenza è caduta su una donna. Così dalle istituzioni dell’Ue giunge un segnale al resto dell’Europa, Italia compresa, dove è ormai agli sgoccioli la corsa al Quirinale e non sono mancati nomi rosa tra le ipotesi per il post-Mattarella. Al netto di storie e percorsi differenti, ad accomunare, le tre donne dell’Unione è sicuramente l’estrazione conservatrice: Metsola appartiene al partito nazionalista maltese, ma anche Lagarde e von der Leyen provengono da forze di centrodestra, tutte aderenti al Partito popolare.

My congratulations to @RobertaMetsola on her election as @EP_President, who follows in the footsteps of Simone Veil and Nicole Fontaine as the third woman in the role. Dialogue with the Parliament is key for our accountability – I look forward to working together! pic.twitter.com/ACWy03syPw

— Christine Lagarde (@Lagarde) January 18, 2022

Sono cinque le donne a capo dei rispettivi governi negli stati Europei

Spostando la lente all’interno dei Paesi europei, poi, sono cinque le donne a rivestire la carica di primo ministro. Altre due hanno cessato il mandato a ridosso della fine del 2021. In tal senso, il Nord Europa, non è difficile da immaginare, rappresenta come sempre la bussola. In Svezia, negli scorsi mesi come Ministra di Stato, ossia capo del governo, si è insediata al culmine di diversi tira e molla Magdalena Andersson, leader socialdemocratica che ha preso il posto del dimissionario Stefan Lofven. Soprannominata Bulldozer per la determinazione con cui persegue gli obiettivi, la sua figura si era affermata su scala nazionale già nel 2014, da ministra delle Finanze nell’esecutivo guidato dal predecessore, di cui oggi ha raccolto l’eredità.

Roberta Metsola sarà la nuova presidente del Parlamento europeo: le altre donne nei ruoli di vertice della politica
Magdalena Andersson, prima ministra svedese (Getty)

Ancora più a Nord, in Islanda, invece, già dal novembre 2017 c’è una una premier al potere: è Katrín Jakobsdóttir, 45 anni, storica esponente dei Verdi locali. Nel 2009, ad appena 32, era già ministra dell’Educazione e della cultura. Sanna Marin, attuale premier finlandese, rientra a pieno titolo nella categoria delle enfant prodige e a soli 34 anni è approdata alla guida del governo di Helsinki, dopo una parentesi di qualche mese da ministra dei Trasporti. Marin, leader dei socialdemocratici, è anche la più giovane premier al mondo. In Norvegia, invece, ha ceduto da poco il testimone Erna Solberg ex prima ministra, esponente del partito conservatore, che, archiviati otto anni al potere, nell’ottobre del 2021 è stata sostituita dal leader del partito laburista Jonas Gahr Støre.

Estonia e Lituania, anche nelle repubbliche baltiche il governo è a tinte rosa

Altro riferimento assoluto, in termini di contrasto al gender gap in politica, è l’area dei Paesi baltici. Kaja Kallas, 45 anni, è la premier estone dal gennaio 2021. In precedenza era stata già eurodeputata, dal 2014 al 2018, diventata poi, proprio dal 2018, leader del Partito riformare, un soggetto di stampo liberalconservatore. Poche settimane prima, nel dicembre 2020, nella vicina Lituania, Ingrida Simonyté, 46 anni, aveva tracciato la via, assumendo il ruolo di prima ministra a Vilnius. Come per le sue colleghe, non è stata una scalata a sorpresa: dal 2009 al 2012 era stata ministra della Finanze, avviandosi verso la leadership, conquistata nel 2018, dell’Unione della Patria – Democratici Cristiani di Lituania, partito conservatore. Diversa la situazione nell’Europa continentale, dove il deficit resta evidente, benché non vada dimenticata la figura di Angela Merkel, cancelliera tedesca per sedici anni e figura forte nell’intero scacchiere continentale.

Roberta Metsola sarà la nuova presidente del Parlamento europeo: le altre donne nei ruoli di vertice della politica
Kaja Kallas, a capo del governo estone (Getty)

Il divario salariale tra uomini e donne in Europa

Detto delle note positive, in Europa restano evidenti le criticità sul tema. Al comando dei Paesi non citati ci sono, naturalmente uomini, per un risultato finale che li vede prevalere con un impietoso 21 a 5. A ciò si aggiunge una quotidianità complessa anche al di fuori delle aule della politica. Secondo l’ultimo report ufficiale, risalente al 2019, «il divario retributivo di genere per ora lavorata nell’Ue si attesta al 14,1 per cento ed è cambiato solo in minima parte nell’ultimo decennio». In questo quadro l’Italia non è messa male: la differenza è del 4,7 per cento in favore degli uomini, mentre altri Paesi, come Lituania ed Estonia veleggia sopra il 21. Un paradosso se si pensa che, come detto, sono tra i cinque Paesi a guida femminile. Sopra il 19 per cento, invece, ci sono Austria e Germania.

In tutti i Paesi dell’Ue le donne con un lavoro sono meno degli uomini

Tuttora aperta resta la questione del lavoro: «Il divario occupazionale di genere si è attestato all’11,7 per cento nel 2019, con il 67,3 per cento delle donne impiegate nell’Ue rispetto al 79 per cento degli uomini». L’Italia, nel caso specifico, non brilla. Nella la Penisola le donne con un lavoro sono 53,8 per cento, appena sopra la Grecia che raggiunge il 50 per cento. Ma in Islanda il dato tocca l’83 per cento, in Germania, Lettonia e Lituania va oltre il 75, in Francia sfiora il 70. Rimane poi un’evidenza: «Il tasso di occupazione degli uomini è stato superiore a quello delle donne nel 2019 per tutti i 27 Stati membri dell’Ue», spiega un report di Eurostat. «Lo stesso dicasi per l’intero periodo compreso tra il 2005 e il 2019 – prosegue il documento – con due eccezioni che hanno riguardato la Lettonia nel 2010 e la Lituania nel 2009 e nel 2010». C’è insomma ancora un bel po’ da migliorare.

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