Bufera sul Metropolitan Museum di New York. Oltre mille opere della collezione, 300 delle quali esposte nelle sale, deriverebbero dal traffico clandestino di reperti archeologici. È quanto afferma l’inchiesta Hidden Treasures (Tesori nascosti) dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) in collaborazione con Finance Uncovered e varie testate globali tra cui L’Espresso. Il Met, che raccoglie tesori inestimabili provenienti da tutto il mondo, avrebbe omesso di verificare la provenienza di alcuni manufatti al fine di accrescere il suo primato e il prestigio. Più di 800 reperti erano di proprietà di un mediatore internazionale, già indagato in Italia ma salvato dalla prescrizione.

I rapporti del Met di New York con un banchiere indagato in Italia
Come hanno sottolineato gli autori dell’inchiesta, il Met di New York è in possesso di 1109 reperti storici di provenienza sospetta. Fra questi ci sono statue, antichi vasi e oggetti di valore inestimabile provenienti da ogni angolo del mondo. Le gallerie ospitano infatti manufatti del Medioriente e dell’antica Grecia, oltre che del Nepal, dell’India e della Cambogia, senza dimenticare l’Italia. Proprio il nostro Paese ha una posizione di rilievo nella vicenda per via del banchiere Jonathan P. Rosen, cui appartenevano circa 800 opere oggi al Met, e di Robert Hecht. Investitore immobiliare il primo, raffinato esperto d’arte il secondo, fondarono negli Anni ’80 la Atlantis Antiquities, società statunitense che gestiva il mercato di antichi manufatti in tutto il mondo. Loro fornitore italiano era Giacomo Medici, uno dei massimi trafficanti internazionali di reperti archeologici rubati.
More than 1000 artifacts in the catalog of North America's largest museum, the famed Metropolitan Museum of Art, are linked to alleged looting and trafficking figures. #themet #art https://t.co/jnWQqqQZao pic.twitter.com/3vGjMG1pcP
— ICIJ (@ICIJorg) March 22, 2023
Per alcuni loro affari nel nostro Paese a cavallo degli Anni ’80 e ’90 finirono nel mirino della Procura di Roma, che nel 1997 aprì le indagini per furto e traffico internazionale di opere d’arte. Nel 2005 si giunse alla condanna di Medici a 10 anni di reclusione in primo grado, poi ridotti a otto in Corte d’appello. Quanto ad Hecht, il lunghissimo processo si chiuse diversi anni dopo con il proscioglimento per prescrizione. E Rosen? Come riporta L’Espresso, gli episodi a lui attributi erano vicinissimi alla prescrizione già prima di aprire il procedimento a suo carico. Pertanto, non è mai stato rinviato a giudizio e sottoposto a processo. Eppure nel 2013 finì al centro di un altro scandalo in Usa per 10 mila tavolette mesopotamiche donate alla Cornell University. Si ipotizzò fossero state trafugate dall’Iraq nella Guerra del Golfo, ma non emersero mai le prove di illeciti.
La conferma di «transazioni spericolate» nel libro di memorie di un ex direttore
«Non penso che Bob (Hecht) rivelasse al Met la provenienza delle opere», ha detto all’Icij Bruce McNail, ex partner di Robert e fornitore del Met negli Anni ’50. «Io nemmeno sapevo nulla, ma intuivo. È un business gestito dalla mafia, bisogna stare molto attenti». La Atlantis Antiquities aveva infatti legami con Gianfranco Becchina, mercante di Castelvetrano vicino alla criminalità organizzata siciliana e Matteo Messina Denaro. Parole pesanti dunque, che trovano riscontro nelle memorie di Thomas Hoving, direttore del Metropolitan dal 1967 al 1977. In un saggio ha raccontato 10 anni di «transazioni spericolate» pur di accrescere prestigio e rinomanza della struttura nel mondo. «Essere complici dei trafficanti era necessario», ha scritto nel libro. L’inchiesta dell’Icij giunge in un periodo turbolento per il Met che già negli ultimi anni era finito nel mirino di molteplici sequestri, tra cui un sarcofago egizio d’oro e busti greci.