E anche questo Qatar 2022 ce lo siamo levati… di torno. È stata una sofferenza, per noi italiani fuori dai giochi ancora una volta, la seconda di fila. Per di più un torneo invernale, per la prima volta nella storia, con la nebbia fuori dalla finestra invece della birra gelata da bere con gli amici davanti al maxi schermo o a bordo piscina. Un mezzo disastro emotivo per noi, un epilogo che però ha inebriato il mondo, con la finale Argentina-Francia 3-3 e poi decisa ai rigori già fortissimamente candidata a diventare la partita più bella della storia. Forse non se lo meritava un atto conclusivo del genere, questo Mondiale. Con l’ombra della corruzione che si è allungata sulla Fifa sin dalla scelta di assegnare l’organizzazione agli emiri, con le polemiche sui diritti dei lavoratori calpestati e le migliaia di migranti morti, 6.500 secondo il Guadian, sull’altare della costruzione degli stadi, le battaglie civili silenziate e persino l’immagine celebrativa finale “macchiata” dallo zampino qatariota. Insomma sarà anche stata bella, ma la Coppa del mondo in salsa araba non ci mancherà. Ecco perché.

Messi voto 10 sul campo, ma quella tunica grida vendetta
Il protagonista annunciato, sull’ultimo giro di giostra, a 35 anni. O adesso o mai più, per scacciare forse per sempre i paragoni asfissianti con Diego Armando Maradona. E alla fine Leo Messi ha fatto quello che doveva fare, trascinando l’Argentina alla vittoria finale. Più di così, cos’altro? Certo, il cammino dell’Albiceleste è stato tutto sommato in discesa – prima della super sfida con la Francia, le non irresistibili Arabia Saudita, Messico, Polonia, Australia, Olanda e Croazia -, ma non è colpa degli argentini se le altre big si sono fatte rispedire a casa tutte prematuramente, una dopo l’altra. E poi ci sono pure i cinque rigori a favore in sette partite, un’enormità, a rappresentare una spintarella mica male. Ma alla fine, anche col sospetto di essere stata apparecchiata, ci siamo ritrovati la finale più giusta, con una vittoria meritata. Certo, la personalità sul campo è svanita sul palco della celebrazione post partita, quando a Messi è stato infilata la tunica nera, il bisht, tipica della tradizione araba, indossata di solito in occasioni speciali come matrimoni e feste, ma stavolta diventata simbolo della sottomissione dell’intera Fifa e di un campione al potere del Paese ospitante. Come rovinare la foto di una vita, con la coppa in mano e alzata al cielo. Leo poteva forse ribellarsi e non infilarsela? Impossibile per chi non vive nelle favole, visto che qatarioti sono anche i soldi che lo stipendiano, al Paris Saint Germain. Per sognatori e amanti del lieto fine, ripassare nel 2026, in Canada-Stati Uniti-Messico.

Mbappé fenomenale, si saprà consolare con i soldi dell’emirato
Un altro che si fa (stra)pagare dai soldi del Qatar, Kylian Mbappé: 24 anni domani, ha disputato un Mondiale splendido, coronato dalla partita della vita in finale, con tre gol più il rigore segnato nella sequenza dopo i supplementari. Ha fatto tutto lui, trascinando una Francia irriconoscibile contro gli argentini: avevano davvero l’influenza del cammello i suoi compagni? O persino il Covid? Lui invece scoppiava di salute, poi è scoppiato in lacrime, con il presidente Emmanuel Macron che ha provato invano a consolarlo, venendo bellamente ignorato. Avrà altri modi di consolarsi, il giovane Kylian: al di là del futuro dalla sua parte, il recente e mostruoso rinnovo con il Psg gli garantisce una cifra intorno ai 50 milioni l’anno. Che per gli amanti dei numeri fanno a spanne 4,2 milioni al mese, 1,05 milioni alla settimana, 148 mila euro al giorno, 6.150 euro all’ora, 102 euro al minuto e 1,7 euro al secondo: insomma il tempo lenisce le ferite, mai come in questo caso. Se poi è vero il gossip che lo vede legato alla fidanzata modella transgender Ines Rau, che smacco sarebbe stato per gli organizzatori portarla alla finale, ossessionati come sono dalla censura di ogni amore “arcobaleno”. Ma anche qui, non esistono eroi contro i propri datori di lavoro.

Qatar voto 4: serve ben altro per pulirsi la coscienza
Organizzazione impeccabile, per carità. Svolgimento dello spettacolo pure, senza intoppi. Ma non c’è manifestazione sportiva che tenga a cancellare tutto il contesto, politico e sociale, in cui si è svolta questa coppa del Mondo. Il peggio del peggio in rapida carrellata: le accuse di corruzione partite da lontano e tornate attualissime con lo scandalo del Qatargate che ha colpito il parlamento europeo, i già citati lavoratori morti nei cantieri del deserto, la Fifa addomesticata e il patetico discorso del presidente Gianni Infantino (quello del «oggi mi sento gay, migrante, disabile, africano…»), la fascia da capitano pro-Lgbtq+ proibita per paura di chissà quale messaggio dirompente e rivoluzionario sull’amore omosessuale, le ridicole prestazioni sul campo della nazionale di casa, peggior performance di una squadra del Paese ospitante nella storia dei Mondiali, il messaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky bloccato sempre dalla Fifa prima della finale, le attiviste delle Pussy Riot arrestate, lo squallido teatrino finale della tunica fatta indossare forzatamente a Messi. Lo chiamano sportwashing, ma ci vuole ben altro di un pallone per ripulirsi un’immagine così lercia.
