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Mezzaluna calante

Nella zona irachena tra Tigri ed Eufrate, l’antica Mesopotamia, l’aumento della temperatura colpisce duro: i raccolti vanno distrutti, il bestiame è allo stremo e manca l’acqua potabile. La culla della civiltà è diventata una tomba.

6 Novembre 2021 18:506 Novembre 2021 18:55 Redazione
Nella zona tra Tigri ed Eufrate l'aumento delle temperature colpisce duro: raccolti distrutti, mancanza di acqua e gente costretta a emigrare

Là dove c’era la Mesopotamia, la mezzaluna fertile tra il Tigri e l’Eufrate, la culla della civiltà, oggi non rimane nulla. In quest’area – divisa tra Iraq, Siria, Iran e Turchia – non vive più nessuno. Gli edifici di mattoni e fango sono vuoti, «resti della vita umana che su questa terra è diventata impossibile». Colpa del cambiamento climatico e della scarsità d’acqua. Nel sud dell’Iraq «si avverte un senso di fine», come scrive in un lungo reportage il Washington Post. Decine di villaggi contadini sono stati abbandonati, resistono solo famiglie isolate qua e là. L’arrivo dell’acqua salata da sud sta distruggendo queste terre millenarie e, secondo l’Onu, ogni anno più di 260 chilometri quadrati di terreno finiscono desertificati. L’approvvigionamento idrico nella regione è un grosso problema: negli ultimi anni le precipitazioni sono state al di sotto della media, Turchia e Iran hanno arginato i propri corsi d’acqua a monte indebolendo il flusso in arrivo, mentre una corrente salata proveniente dal Golfo Persico si è spinta verso nord risalendo i fiumi iracheni. Il sale ha raggiunto così le porte di Bassora, a 135 chilometri dalla costa.

L’Iraq si riscalda più velocemente del resto del Pianeta

Quest’estate le temperature in Iraq hanno superato il record di 51 gradi, mentre la siccità ha limitato l’accesso a cibo, acqua ed elettricità per circa 12 milioni di persone che vivono tra l’Iraq e la Siria. Questa, al momento, è tra le regioni che si stanno riscaldando più velocemente rispetto al resto del mondo. Il bestiame muore, i giovani vanno via, i contadini non possono che chiedersi se rimanere o andarsene. Ormai, per irrigare i campi e nutrire gli animali, gli agricoltori sono costretti a riempire le loro barche di acqua comprata a molti chilometri di distanza. Le palme, universalmente riconosciute tra i simboli del Medio Oriente, sono quasi del tutto scomparse.

Raccolta delle canne a Bassora (Getty).

L’aumento delle temperature si è avvertito lentamente. Anno dopo anno, le estati sono diventate più calde, i casi di colpi di calore sono aumentati, i bufali hanno iniziato ad ammalarsi e i pesci a morire sulla riva. La temperatura media dell’Iraq è aumentata circa del doppio rispetto al resto del Pianeta. Secondo gli esperti ciò che sta accadendo in Iraq non è che un assaggio di ciò che avverrà nel resto del mondo. Nel Paese, poi, il surriscaldamento ha accentuato la carenza di tutto, dal cibo all’elettricità: la pesca è praticamente scomparsa, la produzione di grano si prevede che diminuirà del 70 per cento in futuro. Nelle province senza fiumi, le famiglie spenderanno sempre di più per avere l’acqua potabile.

Gli iracheni costretti a emigrare per il cambiamento climatico

Il risultato non può che tradursi in migrazione di massa. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, nel 2019 più di 20 mila iracheni sono sfollati per mancanza di accesso all’acqua potabile. Ma spostarsi in altri Paesi o altre città significa mettere a dura prova mercati del lavoro deboli dove la disoccupazione è già alta, con conseguente aumento delle tensioni tra migranti e residenti, con i secondi che incolpano i nuovi arrivati della mancanza di acqua ed elettricità. A far loro gioco c’è anche la politica, che soffia sul rancore verso gli immigrati per nascondere i propri fallimenti. Tra i pochi rimasti nel sud dell’Iraq, molti lo fanno perché non possono permettersi nemmeno di andarsene: «Quasi tutti ci hanno lasciato», ha detto un abitante alla testata americana, «ci è rimasto solo Dio».

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