È uscito il nuovo album dei Depeche Mode. Si intitola Memento mori, Ricordati che devi morire. Senza l’aggiunta della troisiana, «mo me lo segno». Tutti abbiamo riso alla fulminante risposta che il comico napoletano dava a Savonarola in Non ci resta che piangere, ma qui da ridere c’è davvero poco.

Memento mori non è la reazione alla perdita di Fletch
Memento mori è il primo disco, usiamo una parola novecentesca per una delle più importanti band che ci hanno accompagnato nel passaggio di millennio, dopo la morte di Fletch. Un disco che parla di morte e più in generale di mortalità, di quell’aura di fragilità che l’essere mortali ci regala, sempre che essere fragili sia in effetti un regalo e non una condanna. Ma Memento mori non è il disco che Martin Gore e Dave Gahan, l’ordine, quando si tratta di scrittura, deve essere categoricamente questo, hanno buttato giù come reazione alla perdita del loro compagno. Una perdita improvvisa, l’anno scorso, che li ha amputati della parte meno visibile, e volendo anche meno ascoltabile, il reale ruolo di Fletch è stato a lungo oggetto di dibattito tra i fan della band come tra gli addetti ai lavori. Dave Gahan indubbiamente nel ruolo di frontman carismatico – sulla falsariga di un Bono o di un Michael Stipe, nomi fatti non esattamente a caso quando si parla di band che ci hanno traghettato dal 900 agli Anni Zero, lì coi Depeche Mode – Martin Gore in quello di mente creativa, vero propulsore della band quando si tratta di comporre e scrivere. Fletch era però una sorta di filtro tra le due personalità così esplosive e importanti, e anche la parte razionale della band, al punto che in molti si sono chiesti, ci siamo chiesti, che ne sarebbe stato del progetto Depeche Mode.

L’elettronica si riprende la scena come non capitava da anni
Memento mori, album scritto e in parte inciso quando ancora Andrew Fletcher, questo il suo vero nome, era tra noi, ci dice che la band c’è ancora, anzi, che forse c’è come non capitava da anni. Come se l’improvvisa dipartita di un terzo del gruppo avesse spinto gli altri due verso una compattezza che da tempo sembrava, almeno in studio, perduta – Spirit, ultimo lavoro di inediti era risultato decisamente scialbo – l’elettronica a riprendersi la scena in maniera perentoria, come non capitava ormai da anni e anni. Un disco importante, difficile da decifrare, forse, a caldo, ma sicuramente importante, perché è nella freddezza automatica e robotica delle macchine che i Depeche Mode da sempre, sono capaci di trovare il lato più empatico e sensibile dell’essere umano, portando quella fragilità che così bene si incarna nella voce cavernosa di Dave Gahan, a livelli che oggi come oggi sembra nessun altro sappia toccare. Già con la prima traccia, My Cosmos is Mine – Memento mori è un disco vero e proprio, un album quasi concept, sensato parlarne pensando a una tracklist, come si faceva quando i dischi si ascoltavano su supporti fisici passati per apparecchi atti a riprodurre musica – è chiaro come Gahan e Gore facciano sul serio, presentando un suono decisamente omogeneo, centrato, un suono che richiama alla mente l’elettronica dei loro esordi, e volendo, anche quella di chi la praticava anche prima che diventasse un suono alla moda, penso ai New Order, certo, e volendo anche a ai precedenti Joy Division.
Memento mori è la prova che nei codici informatici può albergare l’anima
Su tutto, e non potrebbe che essere così, visto che stiamo parlando di due giganti, le personalità monolitiche dei superstiti, superstiti che si vedevano tali a prescindere dalla dipartita del loro socio ben prima che il loro socio dipartisse, una visione della vita come una sorta di battaglia che non potrà che essere persa, il solo amore, anzi, Amore, quello assoluto, a fornirci una possibilità di salvezza. Ascoltare Always You o Soul With Me, un Martin Gore in odor di crooning spettacolare, per credere. Certo, in epoca di ascolti velocissimi, brani pensati per funzionare nei Reel, TikTok e una manciata di secondi a disposizione per attirare l’attenzione, proporre un lavoro che affronti un tema come la caducità dell’essere umano, un faccia a faccia più con la vita che con la morte, sembra gesto folle, al limite con un patologico autolesionismo, ma sapere che i Depeche Mode sono ancora davvero in mezzo a noi, non solo come una statua da esibire al museo delle cere, è quantomeno rincuorante, se non addirittura salvifico. Memento mori si candida già da ora a essere uno degli album di questo balzano 2023, prova provata che anche negli algoritmi e nei codici informatici, già ci avevano provato riuscendoci i Kraftwerk, può albergare l’anima.