Frenesia. Credo che il termine giusto sia frenesia. È la frenesia che ci sta, chi più chi meno, io decisamente meno, spingendo verso una forma di socialità quasi primordiale, mai come quest’anno impazzano i megaeventi, gli stadi, le grandi arene, le spiagge di Jovanotti, tutti ammassati, festanti, sudati e bruciati dal sole, ma comunque uniti in un ritrovato senso di comunità che a volte, raramente, ha la musica come collante.
I piccoli concerti e i festival indipendenti arrancano ancora
Non si spiega perché, altrimenti, in questo boom a pagare scotto siano quelli di nicchia, i piccoli festival, i concerti che ambiscono a non troppi spettatori, quelli indipendenti, davvero, o semplicemente quelli che per loro natura non possono o non vogliono ambire a coccolare la massa, come se mai come oggi fosse necessario essere tanti, fanculo le élite, fanculo le minoranze nannimorettiane, fanculo chi, di suo, già fatica a stare in piedi. È che essere frenetici in un contesto di nicchia, suppongo, è faccenda quantomeno impegnativa, perché ci si deve impegnare parecchio per fare casino se si è in pochi, selezionati, periferici, mentre a far baccano in mezzo alle moltitudini, lo sa bene anche il Diavolo, è faccenda quantomeno più semplice, da portare a casa in poche battute.

Anche nella musica continuano a funzionare solo i big
Resta che i piccoli eventi boccheggiano, arrancano, a volte implodono, mentre i grandi prosperano. Certo, c’è che molti prosperano su biglietti venduti quasi tre anni fa, prima cioè dello stand-by dovuto al Covid 19, mentre i piccoli a suo tempo andarono un po’ tutti a ramengo, costringendo organizzatori e piccoli promoter a ripartire da zero. Ma se è vero che in questi ultimi due anni e mezzo i poveri si sono ulteriormente impoveriti, seguiti su quella china dalle classi di mezzo, i miliardari e milionari sono riusciti a espandere i propri averi. Vedere come anche nella musica a “funzionare” siano prevalentemente quelli grossissimi lascia quantomeno spaesati, perché non essendo un gigante ambisco da sempre a vivere in un mondo dove anche i nani abbiano le stesse possibilità dei pivot, non dico di schiacciare a canestro, ma almeno di poter azzeccare ogni tanto un tiro da fuori.

Una filiera che si poggia solo sul macro è destinata a durare poco
Chiaro è che una filiera che si poggi solo sul macro, è evidente anche a chi di filiere poco ne capisce, è destinata a durare poco, perché i grandi eventi per altro si svolgono quasi solo d’estate, in primis, e perché viviamo in un Paese di paesini, non certo di metropoli. Replicare quella tipologia di conformazione geografica anche nel campo degli spettacoli ha permesso il sostentamento di circa un milione di persone, tante operano nel settore, volendo anche algidamente lasciar da parte ogni questione culturale e anche di mero intrattenimento, dei quali, direi, hanno diritto di usufruire un po’ tutti, non solo chi intorno ai grandi poli urbani vive. Se è vero come è vero che in molti, tra gli operatori del settore, parlo della manovalanza, quelli che solitamente non si notano molto non essendo gli artisti sotto le luci della ribalta, si sono visti costretti a cambiare mestiere, affamati e messi alla canna del gas, al punto che quest’anno, nei grandi eventi, c’è stata una vera e propria caccia ai professionisti, pensare che il boom dei vari Vasco, Ultimo, Cremonini, Max Pezzali, Jova Beach Party e affini sia da guardare come il segno tangibile di un indubbio stato di salute del settore è come pensare che siccome i ventenni in genere non hanno problemi di salute nel campo della geriatria, se non in casi particolari, è inutile pensare di mettere in piedi ospedali rivolti a quella scienza. Pazienza se poi gli anziani finiscono al campo santo un po’ prima di quanto cure adeguate avrebbero potuto permettere. Forse sarebbe il caso di aspettare a cantare vittoria. O almeno, va pur bene intonarla in coro insieme a qualche altro migliaio di persone dentro uno stadio, ma finché non si riuscirà a sentirla intonare da qualche centinaia di spettatori dentro un teatro, o in un locale dove si fa musica dal vivo, bè, proprio di vittoria non si può parlare.