La morte di Maurizio Costanzo e le mie giornate con nonna e zia Pia: il racconto della settimana

Quando ho letto della sua morte, nella mia testa non c’era più il Maurizio Costanzo Show ma la brioche che mia zia Pia mi faceva trovare tutte le mattine con la Gazzetta, il plaid di mia nonna, la minuscola tv in bianco e nero sempre accesa in camera di mia cugina Laura. E così di colpo mi sono sentito irrimediabilmente triste. Il racconto della settimana.

La morte di Maurizio Costanzo e le mie giornate con nonna e zia Pia: il racconto della settimana

Per la sua irregolarità ancora oggi Palazzo Fidia, al numero 2 di via Melegari, trasmette, a chi lo guarda da fuori, un senso di assoluta instabilità e di totale squilibratezza. Costruito nel 1924 in seguito alla bonifica dei terreni Sola-Busca tra Corso Venezia e via Serbelloni e progettato dalla mente dell’architetto Aldo Andreani, all’epoca in città fu un autentico scandalo tanto che, definito dai più “inquietante”, quando fu completato nel 1929 nessun milanese ci voleva andare ad abitare.

Mia nonna, immigrata a Milano dalla Sicilia intorno al 1920, fu una delle prime a trasferirsi in quello strambo palazzo di nove piani con suo marito Luciano e lì rimase all’incirca fino ai primi Anni 90 quando gli ultimi appartamenti in affitto vennero venduti. Si può dire che a Palazzo Fidia passarono l’infanzia le sue quattro figlie, Lidia, Amelia, Maria Pia e mia madre Renata e che per tutti noi cugini fu simbolicamente un punto di riferimento affettivo imprescindibile. Ci stavo spesso quando ero piccolo, da nonna, e per me era una vera festa, poiché sfuggivo agli assurdi regolamenti di stampo nazista a cui ero costretto a sottostare a casa mia, in via Amedeo d’Aosta, in perenne ostaggio di uno stuolo di severissime tate e governanti, capitanate dalla temibile compagna di mio padre, una specie di Veronica Lario senza pretese artistiche, di nome Valentina.

Un giorno l’ho detto perfino al mio psycho: «Sai che da piccolo volevo farmi adottare da Maurizio Costanzo?». Non so, forse perché in qualche modo mi ricordava mio padre, con l’abito blu e la camicia button-down aperta senza cravatta o forse perché avevo letto da qualche parte che era golosissimo di dolci come lo era lui

A casa di nonna vivevo libero, senza regole, allo stato brado e non avevo paura della casa grandissima che vivevo come un avamposto lontano dal regime e ottimo labirinto pieno di nascondigli in cui rifugiarsi per due lunghi week end al mese e durante tutte le feste comandate. A casa di nonna potevo mangiare ciò che volevo, rimpinzarmi di dolci senza orari, scegliere un qualsiasi romanzo da leggere pescandolo dalla sterminata biblioteca del soggiorno e soprattutto fare scorpacciate di cartoni animati non-stop, evitando completamente di preoccuparmi di compiti o bazzecole simili. Fu in quel periodo che mi appassionai alla lettura spaziando da classici come il libro Cuore di Edmondo de Amicis a romanzi d’avventura assolutamente ragguardevoli tipo Papillon di Henri Charrière, Gorky Park di Martin Cruz Smith o come Il Padrino di Mario Puzo. Ricordo come fosse ieri il fascino sterminato che quei libri polverosi, con le pagine ingiallite dal fumo, esercitavano su di me, capaci com’erano di portarmi in mondi proibiti e lontani. Riguardo ai cartoni animati invece i miei preferiti erano senza dubbio quelli violentissimi trasmessi dalle tv private che a casa mia non potevo guardare, tipo KenShiro o L’uomo tigre, ma anche Capitan Harlock o Jeeg robot d’acciaio, oltre ai miei soliti Holly & Benji, Lady Oscar, Occhi di gatto, Pollon, i Puffi, il Tulipano Nero e compagnia bella, che venivano trasmessi dalla trasmissione Bim Bum Bam, condotta da Paolo Bonolis da Licia Colò e dal mio idolo assoluto, il pupazzo Uan. Spararsi overdose di cartoni animati in vena a casa di nonna era abbastanza semplice, perché le quattro televisioni presenti nel disordinatissimo appartamento erano sempre accese, dal mattino alla sera, senza soluzione di continuità, 24/24. Gli eroi di Palazzo Fidia erano i vari Corrado, Raimondo Vianello, Marco Columbro, Mike Bongiorno, Gerry Scotti, che si alternavano sui vari schermi uno dopo l’altro, a tutte le ore del giorno, con i loro quiz e i loro varietà di intrattenimento fino all’ora di cena, quando tornavano a casa dal lavoro anche la zia Pia e la cugina Laura e la programmazione continuava, dopo la visione del telegiornale, fino a notte fonda con l’immancabile proiezione collettiva del Maurizio Costanzo Show, programma al quale in maniera quasi carbonara mi era consentito assistere, raggomitolato sotto le coperte, purché mi fossi lavato i denti e messo in pigiama senza fare troppe storie. Seguivo la trasmissione in preda ad un febbrile interesse, e consideravo Costanzo, in testa al suo variopinto Circo Barnum, quasi uno di famiglia, tipo un lontano e facoltoso zio baffuto con sempre delle cose interessanti da raccontare e dei personaggi singolari da presentarti.

La morte di Maurizio Costanzo e le mie giornate con nonna e zia Pia: il racconto della settimana
Palazzo Fidia a Milano.

Un giorno l’ho detto perfino al mio psycho: «Sai che da piccolo volevo farmi adottare da Maurizio Costanzo?». Non so, forse perché in qualche modo mi ricordava mio padre, con l’abito blu e la camicia butto-down aperta senza cravatta o forse perché avevo letto da qualche parte che era golosissimo di dolci come lo era lui. Maurizio Costanzo, già. Praticamente un collega: partito anche lui dalla radio e anche lui, come me, firma per un periodo del Messaggero. «Non riesco neanche a prendere il caffè al mattino, se prima non l’ho letto», diceva. «Che lavoro fa Costanzo?», avevo chiesto un pomeriggio davanti ad una tazza di tè a mia nonna, «il presentatore?». «No», mi rispose, «Costanzo è un giornalista», aggiunse, come a sottolineare che si trattava di un qualcosa di diverso e di leggermente superiore. Così da quel momento in poi al «Cosa vuoi fare da grande?», rispondevo deciso: «Il giornalista, come Costanzo!». E il mio sogno, più che parteciparvi, magari seduto insieme ad Anna Falchi, a Sgarbi o Ceccherini, era di condurlo personalmente lo Sciò, troneggiante sullo stesso sgabello davanti alla platea del Teatro Parioli in Roma, senza baffi ma in compenso con indosso la cravatta. Ricordo che qualche anno dopo rimasi particolarmente colpito dal famoso attentato mafioso del 1993 di via Ruggero Fauro ai danni della sua Mercedes, scampata per un pelo al fragoroso botto, e successivamente parecchio deluso nel vederlo prestarsi a condurre la domenica pomeriggio un programma francamente inguardabile perfino per i tempi come Buona Domenica. «Difficile non riconoscere», scrive Andrea Minuz sul Foglio, «per esempio che L’uno contro tutti di Carmelo Bene resta agli atti come vetta dell’arte contemporanea, installazione vivente, happening. Il miglior trattato mai scritto sulla società dello spettacolo».

Poco importa che negli ultimi 20 anni Costanzo non abbia trasmesso in tv un solo minuto degno di essere ricordato. Il suo funerale, trasmesso in diretta sia in tele che su internet, si è trasformato in una sterminata liturgia collettiva al pari di quanto sarebbe successo per un Capo di Stato o  un Papa. Tipo Lady Diana in Dino Erre Collofit

Del resto, a una settimana dalla sua scomparsa, su di lui è stato scritto di tutto. Per alcuni solo un piduista massone creatore seriale di mostri, per altri un genio che ha inventato la televisione moderna in Italia. Sicuro è però che tra gli Anni 80 e i primi anni 2000 è stato l’uomo più temuto e più potente dell’intero showbiz. Poco importa che negli ultimi 20 anni Costanzo non abbia trasmesso in tv un solo minuto degno di essere ricordato, il Belpaese se n’è fregato: la tv ha reso omaggio al proprio maestro in maniera magniloquente e fragorosa, gli organi di stampa ne hanno celebrato solennemente in coro la grandezza e infine il suo funerale, trasmesso in diretta sia in tele che su internet, ha bloccato mezza Roma e si è trasformato in una sorta di sterminata liturgia collettiva al pari di quanto sarebbe successo per un Capo di Stato o per un Papa. Tipo Lady Diana in Dino Erre Collofit. Sinceramente a me non importa nulla di questo, non sono qui ad applaudire o contestare il personaggio, di cui tra l’altro avevo perso le tracce già da molto tempo. La cosa che mi ha riportato alla mente la morte di Maurizio Costanzo è stata semplicemente una parte della mia infanzia, come avrebbe potuto fare una vecchia canzone o un odore legato a un qualche ricordo. Per certi versi una sorta di madeleine proustiana che mi ha fatto fare un viaggio indietro nel tempo; così che nella mia testa non c’era tanto più il Maurizio Costanzo Show quanto l’atrio di Palazzo Fidia, totalmente ricoperto da marmi, col pavimento intarsiato e le nicchie alle pareti. O la brioche che mia zia Pia mi faceva trovare tutte le mattine prima di andare al lavoro sul tavolo della cucina assieme a una copia della Gazzetta dello Sport. Ho così rivisto il plaid scozzese arancione di mia nonna, la copertina di Papillon con sopra la gigantesca farfalla che mi portavo dietro ovunque, la minuscola televisione in bianco e nero sempre accesa in camera di mia cugina Laura. E così di colpo mi sono sentito irrimediabilmente triste, malinconico, perché mi sono reso conto che, oltre a non esserci più Maurizio Costanzo, soprattutto, nell’appartamento al nono piano di Palazzo Fidia non ci sono più né mia Zia Pia né mia nonna. «Sipario!», avrebbe detto qualcuno.