Matteo Salvini e il fallimentare slogan dubitativo “Credo”
Lo slogan di cui va tanto fiero Salvini è in realtà un'arma a doppio taglio. L'obiettivo era buttarla sul religioso. Ma il non sveglissimo elettore leghista basico capisce che nemmeno Matteo è sicuro di quel che dice. La pubblicità non tollera il dubbio e pretende certezze. Se no chi compra?
Corso accelerato di copywriter per la Lega di Matteo Salvini. Se su un manifesto annunci: “Indipendenza energetica e nucleare sicuro” e sotto ci scrivi “Credo“, il leghista basico che lo vede mentre guida capisce che non ne sei certo, che la butti là, ma chissà se davvero esiste una indipendenza energetica e un nucleare sicuro. “Pace fiscale Flat tax 15 per cento. Credo”: idem. Trasformi cioè qualcosa in cui pretendi di riporre le tue certezze in una nebulosa. Alla messa della domenica, dove Salvini non va mai, si recita: «Credo in un solo Dio, Padre del Cielo e della Terra». Non si dice «un solo Dio, padre del cielo e della terra. Credo», perché se si dicesse così la professione di fede verrebbe inficiata dal dubbio che il Dio potrebbe anche non essere uno solo. Ascolti, Salvini, come sarebbe suonato bene: «Credo nella pace fiscale e nella flat tax al 15%» – se non fosse blasfemo per altre ragioni, tutte spiegate perfettamente da Luigi Marattin e da Carlo Cottarelli – alle orecchie dei suoi non sveglissimi elettori. Il problema è che i suoi spin doctor le hanno detto che la deve buttare per forza sul religioso, perché pensano che quelli che la votano nel 2022 siano uguali alle beghine e ai contadini che nell’Italia rurale del 1948 attribuirono la maggioranza assoluta dei seggi alla Democrazia cristiana.

Slogan copiato pari pari da una campagna del 2008 di Daniela Santanchè
Ha dovuto comprarsi il rosario, ha appeso immaginette della Madonna dietro alla scrivania mentre il Master of Balance Luca Morisi, prima di decadere dall’incarico, le suggeriva – perché c’è un diavolo in lei – di sfondarsi di mojito tra le cubiste del Papeete. Questa incertezza ondivaga tra il sacro e il profano l’hanno assimilata i suoi copywriter, che l’hanno evidentemente riversata nello slogan copiato pari pari da una campagna del 2008 di Daniela Santanchè («Io credo. In un futuro migliore», diceva la Pitonessa, e sotto, a smentirla: www.storace.it). Non si copiano gli slogan in pubblicità, sarà la lezione amara che imparerà la mattina del 26 settembre. Nemmeno il grafico ha indovinato: perché sotto alla parola “Credo” ha posizionato una specie di pay off: “negli italiani”, “in un’Italia pulita”, ma riquadrandolo di giallo, in caratteri tipografici piccoli, mentre “Credo” è scritto grande in bianco, e sembra quindi collegato non “agli italiani” che seguono, ma alla Flat tax che lo precede.

Gli spot, le head line sui poster, devono ostentare sempre certezze granitiche
Insomma, un disastro: da Milano Marittima a Medjugorje, dai baci al prosciutto ai baci alla Madonna di Lourdes, una confusione indescrivibile sembra possederla e deve averla trasmessa durante il briefing ai creativi, che sono usciti dal meeting con una copy strategy non perfettamente chiara. Immediatamente è partita sui social, lanciata da Paride Vitale, la #credochallenge e via con: «Questa campagna gli farà perdere un sacco di voti. Credo», «Mi ha cagato in testa un piccione, sarò fortunata. Credo», «Sarebbe meglio la ritirasse questa campagna. Credo». La pubblicità, in tutte le sue forme, non tollera il dubbio. Gli spot, le head line sui poster, ostentano sempre certezze granitiche. Devono farlo, se no chi compra? Si immagina: “Dash lava più bianco. Credo”, “Più lo mandi giù più ti tira su. Credo”, “Fatti, non parole. Credo”. Ecco, quest’ultimo slogan, senza il “Credo”, lo suggeriamo alla Lega per la prossima campagna ma lei, purtroppo, non ci sarà: Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia le avranno detto di guardarsi intorno, come sta già facendo il suo direttore creativo. Credo.