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Matteo Renzi, gli scivoloni de Il Mostro

Con la campagna per le Amministrative già cominciata, Renzi tira fuori dal cilindro un memoir che in realtà è una resa dei conti. Nel suo stile, insomma. Tanto che Ermini ha già annunciato querela. Un modo per riprendersi la scena dopo anni di scivoloni e di frequentazioni finite nel mirino.

17 Maggio 2022 16:5017 Maggio 2022 16:53 Luca Di Carmine
renzi, il Mostro e la resa dei conti

Non sperateci, non c’è modo di fermarlo. Renzi è una forza della natura, comunque la pensiate. Le sue perle sono parte, ormai, del linguaggio comune e nel suo ultimo libro Il Mostro.  Inchieste, scandali e dossier. Come provano a distruggerti l’immagine (ed. Piemme) non ne risparmia una. Una lunga carrellata che, in realtà, diventa una resa dei conti punto per punto, persona per persona, veleno per veleno. Nel suo stile, insomma.

L’annunciata querela di David Ermini 

È di poche ore fa, ad esempio, l’annuncio di querela del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura David Ermini (ex?) amico storico di Renzi citato nelle sue pagine senza troppi giri di parole: «Egli è diventato vicepresidente del Csm grazie al metodo Palamara e io sono uno di quelli che possono testimoniarlo». Apriti Cielo! Replica e controreplica a suon di minacce, con Renzi che tuona: «La storia è talmente ricca di aneddoti che sarà piacevole raccontare in sede civile a cominciare dal numeroso scambio di sms di questi anni», lasciando intendere di aver conservato messaggi, sms, pizzini, biglietti degni dei migliori anni del dossieraggio da Prima Repubblica. Finisce così, almeno per il momento, una lunga amicizia cominciata nel 2004 quando entrambi erano giovani impegnati in politica in quel di Firenze. Ma, si sa, in politica e a Firenze le cose non finiscono mai. Se non altro non a suon di carte bollate.

Matteo Renzi, gli scivoloni de Il Mostro
Il libro di Matteo Renzi Il Mostro.

Un memoir in mezzo alla campagna per le Amministrative

Il ‘bomba’ non ci sta ad aspettare in silenzio e di lato che la Storia si compia, o meglio, non senza di lui, non è nel suo carattere. E così, se la campagna elettorale per gli altri partiti è già cominciata (complici le imminenti Amministrative) Renzi tira fuori dal cilindro un memoir in cui, ufficialmente, vuole mettere ‘i puntini sulle i’ su vicende che lo hanno visto e lo vedono coinvolto. In realtà sta passando alla conta. La sua immagine è un po’ appannata, di scivoloni in questi anni ne ha presi e qualcosa bisogna pur fare. Sono lontani, infatti, i tempi in cui poteva aspirare a Chigi, e quando alla comunicazione c’era quel geniaccio di Nomfup (alias Filippo Sensi). Nessuno ha dimenticato le sue roboanti dichiarazioni nei migliori salotti televisivi quando diceva «Andare al governo senza voto? Mai!» oppure «Enrico (Letta, ndr) non si fida di me, ma sbaglia: io sono leale». Era il 2014, Enrico ancora se lo ricorda. Matteo, in verità, ci ha abituati a giorni ricchi di sorprese, come quando in un tweet (subito rimosso) a proposito del fenomeno migratorio scrisse: «È un dovere morale aiutare gli altri ma a casa propria», degno del miglior Salvini o «Se riesci a vincere il nemico e sconfiggerlo, non hai più un motivo per stare insieme». Forse si riferiva alla distruzione del Pd. Come dimenticare le sempre annunciate dimissioni? Le uniche che ha presentato, dopo aver lasciato i Dem, sono quelle delle sue ministre, Bonetti e Bellanova, come un vero coup de théâtre (annunciato da giorni) per far cadere il Conte II.

Il Mostro e i suoi scivoloni: il nuovo libro di Renzi
Renzi con bin Salman nell’opera di Harry Greb apparsa a Roma (Getty Images).

Le frequentazioni di Renzi finite nel mirino

Sarà per il carattere (a cui ha dedicato anche un capitolo nel suo libro), sarà per il suo modo di fare, fatto sta che il consenso perduto non riesce più a recuperarlo, navigando sempre intorno al 2 per cento. Certo, anche le persone che frequenta negli ultimi tempi avranno avuto il loro peso. Gli incontri nelle piazzole dell’autogrill con esponenti dei servizi, le conferenze “rinascimentali” in Stati non proprio democratici, o gli incontri segreti in Costa Smeralda con l’emiro del Qatar quando il Paese discuteva di vaccini, Green Pass e riforma della giustizia. Ma lui è così, il ruolo che si è ritagliato è quello del protagonista. Si è convinto di essere stato protagonista anche durante le ultime elezioni del Quirinale quando, a prescindere dal prestigio del Capo dello Stato, hanno perso tutti. Dall’alto del suo 2 per cento ha sentenziato anche su questo. «Dicevo a tutti che per la solidità delle istituzioni la cosa più logica mi sembrava spostare Mario Draghi al Quirinale e rinforzare il profilo politico del governo. Non era un passaggio facile». Nessuno sembra averlo ascoltato e lui ha trovato il colpevole, o meglio i colpevoli: «Temo, però, che i suoi collaboratori più stretti – soprattutto Francesco Giavazzi e Antonio Funiciello – abbiano costruito una strategia sbagliata. L’errore dei Draghi’s Boys è stato quello di pensare di arrivare al Quirinale contro la politica». Lo stesso Funiciello, ex renziano ed ex altre cose, braccio destro dell’amico storico Luca Lotti e a capo della squadra per il Sì al referendum costituzionale. Funiciello, uomo per tutte le stagioni, che sa muoversi benissimo nei corridoi del potere. Renzi ha preferito, però, farsi un altro nemico. D’altronde, il politologo Giovanni Sartori ci aveva visto lungo: «Renzi? Non lo voterei mai (…) ha solo l’ansia di arrivare al potere. È uno abile, furbo, però disposto a barattare tutto».

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