È la notizia del giorno, forse già del 2023, sicuramente una delle più importanti degli ultimi 30 anni, almeno in tema di mafia: l’arresto da parte del Ros del super latitante Matteo Messina Denaro, irrintracciabile dal 1993, è destinata a far discutere a lungo, anche all’estero. In attesa di capire se ‘U Siccu parlerà, tirando fuori i segreti che custodisce, Tag43 pubblica tre estratti di libri di Chiarelettere che parlano (anche) della figura del boss.

1 – Da Hanno fermato il Capitano Ultimo di Pino Corrias
«Il Capo è ammirato dalla stragrande maggioranza dei carabinieri. Quando scoprivano che lavoravi con lui, ti chiedevano: “Davvero?”. Ma se c’era un superiore in zona, allora abbassavano la voce, avevano paura. Sulle indagini non c’è gara. Se domani dicessero al Comandante di andare a prendere Matteo Messina Denaro, lui ci riuscirebbe».
«I mafiosi non sapevano che avevamo individuato la casa di Riina e di conseguenza identificato la famiglia sconosciuta dei Sansone che lo ospitava. Potevamo continuare a seguirli senza scoprire le nostre carte. Mori era d’accordo. Caselli ci diede ragione. Ma dopo anni, quando i suoi colleghi ci hanno messo sotto inchiesta, lui non ha mai avuto il coraggio di ammetterlo. Disse che non sapeva, non immaginava… Invece sapeva tutto. Compreso il fatto che il cancello di via Bernini, che dava l’accesso al comprensorio delle ville, non si poteva sorvegliare, i miei carabinieri sarebbero rimasti troppo esposti.
Invece ha negato. Sempre. Disse che per 18 giorni lo avevamo tenuto all’oscuro. Sia io che Mori. Ma qualcuno può immaginare che dopo quell’arresto clamoroso, mentre decine di investigatori lavoravano giorno e notte, si riunivano, parlavano, andavano e venivano, tutti assediati dai giornalisti, dalle televisioni, dall’urgenza delle indagini, Gian Carlo Caselli, il capo di tutte quelle operazioni, non chiede niente proprio a noi? E noi non lo aggiorniamo ogni volta che spunta il sole?».

2 – Da Il patto sporco e il silenzio di Saverio Lodato e Nino di Matteo
«Hai voglia a dire che la mafia è stata sconfitta, che la mafia è scomparsa, che la mafia non commette più delitti eccellenti e stragi. Che Totò Riina e Bernardo Provenzano sono passati a miglior vita. O che il cerchio si è finalmente stretto attorno a Matteo Messina Denaro, l’introvabile super latitante alla guida – così dicono – di una Cosa Nostra rifatta, sopravvissuta a sé stessa, ancora più impalpabile di prima. È da trent’anni che il cerchio si stringe».
«A proposito dell’infinita latitanza di Provenzano, che aveva preso il posto di Riina, dopo il suo arresto, cioè alla guida di Cosa Nostra, la Corte scrive: “Vi erano dunque indicibili ragioni di ‘interesse nazionale’ a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra che sancivano l’egemonia di Provenzano e della sua strategia dell’invisibilità”. Fuori dal gergo per addetti ai lavori, sta a significare che Provenzano doveva essere lasciato in santa pace. Lo scenario della compromissione si chiude con queste parole: “Un superiore interesse spingeva a essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso”».

3 – Da Il patto di Sigfrido Ranucci e Nicola Biondo
«Ritengo che adesso le “carte” le abbia Matteo Messina Denaro, che è il “gioiello” di Totò Riina». «È una storia tragica ma rassicurante nella sua tragicità: gli assassini sono stati identificati e condannati, la mafia cruenta di Riina è stata sconfitta, dunque non è più un pericolo. Il sottotesto di questa narrazione è che si può procedere a smontare la legislazione antimafia approvata nel periodo delle stragi. La storia è affascinante, ma si fonda sulla falsificazione culturale della riduzione della mafia alla sua componente militare, omettendo la verità storica ormai documentata da tante sentenze: Riina e i suoi erano solo una delle componenti di un sistema di potere ramificato che annoverava al suo interno presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari, presidenti di Regione, assessori regionali, capi dei servizi segreti, capi della polizia, banchieri e via elencando. Uno stuolo interminabile di colletti bianchi appartenenti ai piani alti della piramide sociale».
