Il 7 marzo scorso Repubblica.it, rubrica Zampa, riferiva la commovente storia di Benedetta, una giovane single siciliana che, recatasi in ospedale per prepararsi a un’interruzione di gravidanza, veniva convinta a tenere il bambino dopo aver visto una cagna randagia che allattava otto cuccioli nel cortile nel nosocomio. Era stata «calamitata da quella dolcezza infinita e dalla forza che questa madre aveva dimostrato». Che la storia sia vera o no, il problema non sono le scelte personali di Benedetta, ma il fatto che un giornale laico e “progressista”, alla vigilia dell’8 marzo, abbia pubblicato un articolo che, girala come vuoi, alle donne del 2023 addita come maternità esemplare quella di una cagna di strada, che anche senza un tetto sulla testa e un compagno, porta avanti la sua gravidanza fino alla fine e partorisce impavidamente da sola in un cortile, sfamandosi degli avanzi di una mensa ospedaliera.

La donna capisce da sola se una maternità surrogata la svilisce o no, con buona pace della Consulta e di Roccella
C’entra quell’articolo con il riaccendersi delle polemiche sul cosiddetto utero in affitto, l’emergenza planetaria che il governo Meloni intende stroncare negando il certificato di filiazione ai figli delle coppie omogenitoriali? C’entra sì. Perché l’idea che la donna sia un essere così fragile e bisognoso di guida che chiunque – soprattutto uomini, ma anche altre donne e perfino cani – sa meglio di lei come deve usare il suo utero non alligna solo a destra o nella testa della ministra Eugenia Roccella, che pur essendo fervente cattolica, in materia di diritti riproduttivi è sulla stessa linea dei personaggi della serie Shtisel. È ben più diffusa, e in sfere ben più autorevoli di Repubblica. Parlo della Corte Costituzionale, che nel 2017 ha condannato la maternità surrogata in quanto «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Ora, con tutto il rispetto per la Corte Costituzionale, solo se si fa coincidere la dignità della donna con le sue funzioni riproduttive e materne, da espletare preferibilmente in un contesto etero e monogamico, portare in grembo il figlio di un’altra coppia può essere una «lesione intollerabile». E, in ultima analisi, ogni donna maggiorenne è in grado di capire da sola se collaborare a una maternità conto terzi la svilisce o no. Io, ad esempio, a certe condizioni avrei accettato: la gravidanza mi viene bene, anzi, mi dona, e se posso completare la felicità di due brave persone tanto meglio, altro che circonvenzione di diseredata, come la vede Roccella. Imparo ora che se avessi fatto la terzista, per l’onorevole Mollicone (FdI) avrei commesso un reato più grave della pedofilia: evidentemente secondo lui farsi i bambini è meno abominevole che farli (può darsi che la sua fosse una boutade; nel dubbio, preferirei non si avvicinasse troppo ai miei figli).

Ci sono esperienze ben più lesive della dignità femminile che consentire ad altri di diventare genitori
Ci sono esperienze molto più avvilenti e lesive della dignità femminile che far crescere un bambino nella propria pancia per consentire ad altri di diventare genitori. E non mi riferisco solo agli interrogatori alle vittime di stupro o a certi colloqui di lavoro in cui si richiede ancora bella presenza e si offrono retribuzioni ridicole. Ai tempi delle bisnonne, le madri povere, o quelle che avevano perso in fasce il proprio bambino, diventavano le balie dei figli dei ricchi, per risparmiare alle signore le fatiche dell’allattamento e portare a casa qualche soldo. Svezzavano frettolosamente il proprio bambino per riservare il latte al figlio dei ricchi, e tutto il periodo di lavoro non potevano avere una vita normale, bere alcol o avere rapporti sessuali che avrebbero “inquinato” il prezioso secreto. Il rapporto fra la balia e il piccolo, spesso più intimo, tenero e affettuoso di quelli con genitori troppo impegnati o distanti, veniva bruscamente troncato quando il bimbo cresceva (solo i protagonisti delle tragedie potevano permettersi di tenere in casa una nutrice vita natural-durante). Eppure nessuna legge oggi vieta di fare la balia, gratis o a pagamento, anzi, donare il proprio seno o il proprio latte a neonati sconosciuti, come da anni fa, per esempio, Paola Giannatempo, è considerato un atto di nobile generosità.

Violenza ostetrica, quando le donne sono veramente trattate da ‘incubatrici’
Ma torniamo alla maternità surrogata, tema in cui la fisiologica misoginia e omofobia della nostra politica si incrocia con la bigotta riluttanza a riconoscere che ognuno ha diritto a decidere del proprio corpo, finché questo non mette in pericolo la vita e il benessere altrui (a questa riluttanza dobbiamo non solo l’assenza di una legge sul fine vita, ma anche quella di una vera e organica legge sui trapianti, ancora regolati dalle Disposizioni transitorie). Lamentare che la gravidanza per altri è riduzione della donna a “incubatrice umana” è perlomeno bizzarro. Finché le donne sono lavatrici umane, lavastoviglie umane e robot da cucina umani nessuno dice niente, però incubatrici no, non sta bene, è poco dignitoso. Mah. E comunque le donne vengono già trattate da incubatrici nemmeno molto umane dei propri figli, come dimostrano i già dimenticati episodi di trascuratezza e vera e propria cattiveria di cui sono vittime partorienti e puerpere in tanti ospedali, dove della loro dignità, sensibilità, quando non della loro integrità fisica, importa ben poco.

Il governo Meloni colpisce solo i figli delle coppie arcobaleno
Torniamo a chiamare la maternità surrogata “utero in affitto”, come piace a Meloni? Okay, in Italia preferiamo l’utero di proprietà, anche se la manutenzione è un bell’impegno. Considerato però che (stando ai dati raccolti nei Paesi dove la maternità surrogata è legale e regolamentata) a ricorrervi sono sette volte su 10 coppie eterosessuali, mentre il no al certificato di filiazione emesso del governo Meloni colpisce solo i figli delle coppie arcobaleno, la destra in fondo si accontenterebbe che sull’utero ci fosse scritto «non si affitta a omosessuali» (P.S: già che vuole sindacare sull’affitto di monolocali uso foresteria, potrebbe anche vietare a proprietari edili senza scrupoli di affittare a prezzi esorbitanti bugigattoli in cui starebbe stretto anche un feto. Forse questa pratica non lede la dignità della donna, ma la salute della colonna vertebrale sì).