Sempre al Massimo. La vita di Piombo, che non a caso si chiama Massimo, è un esempio di genialità italica. E nel libro che lo stilista ha appena pubblicato le dimostrazioni ci sono, eccome: V V V – Vestire Viaggiare Vivere, pubblicato da La nave di Teseo, appare come la sintesi di una filosofia esistenziale. Se Winston Churchill si esibiva al mondo intero con una singola “V”, quella della vittoria, a Piombo ne servono tre: che poi è lo stesso numero delle lettere di Ovs, il colosso dell’abbigliamento che ha voluto cambiare forma e linguaggio affidandosi al suo estro, una scelta coronata da aumenti vertiginosi di fatturato, per la gioia dell’amministratore delegato Stefano Beraldo.
Piombo: «Scegliere un libro, o un abito, presuppone sempre una riflessione»
Quando, in una conversazione creativa, essendo un “piombista” di lungo corso, ricordo alcune frasi del suo testo, come «l’esempio è qualcosa che si semina in un campo selvatico», lui sottolinea che quella terra ancora non toccata dall’essere umano «è meglio di un foglio bianco che attende la scrittura». Perché tra quelle zolle «ci sono spazi dove puoi provare la creatività», e la prova viene fornita «dalle varietà di prodotti che la terra può far crescere, praticamente infiniti». E non c’è contraddizione, nella volontà di scrivere e racchiudere i suoi pensieri in un volume: «Ho sempre sentito forte affinità tra libri e vestiario. In libreria si va per cercare letture, nei negozi di abbigliamento si va per scovare il modo migliore per ‘farsi leggere’ dagli altri. I punti di contatto non finiscono qui: scegliere un libro, o scegliere un abito, presuppone sempre una riflessione; a priori non sappiamo se ci sarà un effettivo utilizzo delle cose acquistate». La mente di Piombo è così, capace di stupirti a ogni frase: tanto che Vittorio Sgarbi, nella postfazione, in un testo davvero ispirato, evidenzia che «il nome è pesante, il cuore leggero, la testa fantasiosa, gli occhi festosi, l’anima volatile. È Massimo da Varazze, detto ‘Piombo’, lo stilista». Che poi è il camiciaio del critico d’arte, uno stilista per cui «è elegante chi non vuole farsi vedere». Per Sgarbi , Piombo «è generoso e avaro, affettuoso e ritroso, elegante e trasandato. In ogni caso conosce le stoffe come io conosco Giorgione o Caravaggio; e nessuno le conosce meglio di lui, come nessuno li conosce meglio di me. Ma la sua stoffa è diversa, perché è una stoffa interiore».

Una costante ricerca del bello attraversando epoche passate
La passione di Piombo per l’arte emerge anche quando nel libro scrive che «è nei musei che la vita ci appare degna di essere vissuta»: per lui si tratta di un elemento fondamentale dell’esistenza, la ricerca del bello attraversando epoche passate, da abbinare sempre al movimento. Perché «nulla può sostituire la sorpresa quasi infantile che ci accoglie all’arrivo in un nuovo luogo per noi». C’è la voglia di viaggiare, e non a caso Piombo è ligure, di annotare luoghi della mente e del cibo: l’appendice elenca una serie di locali visitati e amati dallo stilista, con commenti inconsueti per i lettori delle classiche guide, come quello dedicato a un locale sardo «piccolo quasi quanto i dolcetti che si vendono», e la passione per gli alberghi senza insegne, totalmente anonimi, come accade ancora in Francia, «pochi ospiti, molta privacy». Perché lui stesso confessa: «Vengo da una terra di gente arroccata sui monti, e che va per mare, quindi ho una visione particolare dei luoghi che visito, come se li dovessi sempre osservare da due prospettive diverse». Sì, Piombo possiede davvero quella “bacchetta magica” evocata da Marco Mottolese nell’introduzione del libro. Quella di chi ha sempre avuto la «capacità straordinaria di decidere, in un attimo, quale sia la cosa giusta da fare». Senza mai dimenticare che bisogna saper vestire, viaggiare e vivere.