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Berlusconi, il ricordo di D’Alema: «Forse aveva qualche ragione sui magistrati»

L’ex premier di centrosinistra riconosce la «crescita del potere “politico” della magistratura» negli anni in cui l’avversario fu travolto dalle inchieste. Ma, secondo lui, occorreva riequilibrare il rapporto tra i poteri dello Stato più che gridare al complotto.

14 Giugno 2023 13:11 Debora Faravelli
Navi e aerei alla Colombia, D'Alema e Profumo indagati. Perquisizioni della Digos di Napoli in corso a Roma.

Tra i tanti politici che, tramite un’intervista, un post sui social o un necrologio hanno voluto ricordare Silvio Berlusconi (CLICCA QUI PER IL LIVE DEI FUNERALI IN DUOMO) c’è anche Massimo D’Alema, già Presidente del Consiglio dei ministri rientrato nel Partito Democratico dopo l’esperienza, conclusa ufficialmente pochi giorni fa, con Articolo 1. Riconoscendo nel Cav «un avversario ma un uomo capace di suscitare ammirazione e persino simpatia dal punto di vista umano», ha ammesso che «probabilmente ha avuto qualche ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici».

Massimo D’Alema ricorda Silvio Berlusconi

Intervistato dal Corriere della Sera, l’ex premier ha infatti riconosciuto che «l’indebolimento del sistema dei partiti lasciò campo ad una crescita del potere “politico” della magistratura, che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente». C’è un però: secondo lui il leader di Forza Italia ha male interpretato il fenomeno, che era reale, ritenendolo un complotto dei magistrati di sinistra contro di lui – più che, come spiega D’Alema, una conseguenza dello squilibrio nei rapporti tra i poteri dello Stato. E dunque «il tema era il riequilibrio, non il complotto contro Berlusconi». E alla fine quel suo scontro con i giudici «ha creato un clima nel quale non è stato possibile fare nessuna riforma».

Le elezioni del ’94 e il segreto del successo del Cav 

L’ex presidente ha poi ricordato le elezioni del 1994, quelle in cui il leader di Forza Italia, appena sceso in politica, sconfisse l’Alleanza dei Progressisti e arrivò a Palazzo Chigi. «Capii che ci avrebbe battuto abbastanza presto, anche perché vidi che buona parte dell’elettorato salentino del mio collegio di Gallipoli, tradizionalmente democristiano, stava slittando verso “il candidato di Berlusconi”, un esponente del Movimento sociale che in condizioni normali avrebbe preso il 5 per cento. Mi resi conto che lui era riuscito a mobilitare il corpo profondo del moderatismo italiano contro “il pericolo comunista”». Il segreto del suo successo? «Riuscire a catalizzare il voto conservatore e a riempire il vuoto lasciato dalla caduta del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani, ndr) nel nome dell’anticomunismo ma anche presentandosi come “il nuovo” contro la vecchia politica dei partiti». Una miscela geniale di tradizione e innovazione, ha riconosciuto D’Alema.

Il quale, infine, si è anche espresso sulla proclamazione del lutto nazionale per oggi, giornata dei suoi funerali. Una scelta intrapresa dal governo Meloni che nelle scorse ore ha suscitato non poche polemiche da parte dell’opposizione, che l’ha ritenuta eccessiva ed esagerata. Per D’Alema, però, non dovrebbe essere materia di scontro: «È una decisione che corrisponde ad un sentimento non di tutti, certo, ma di una parte importante degli italiani».

 

 

 

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