Da alter ego di Carlo Fuortes, spesso limitata nell’azione dallo strapotere dell’ex amministratore delegato, anche sui rapporti con Mario Draghi, ad ago della bilancia nel consiglio di amministrazione, in grado di spostare gli equilibri grazie al voto di valore doppio in caso di parità. Marinella Soldi è la presidente della Rai e in molti scommettono che nell’ultimo anno di mandato a Viale Mazzini uscirà sempre più dal perimetro stretto delle funzioni di garanzia e avrà un impatto via via maggiore sui dossier caldi dell’azienda.

Renzi vuole mettere lo zampino anche nella tivù pubblica
«È stata eletta in quota Pd, ma sembra rispondere più a Matteo Renzi e Paolo Gentiloni e infatti ha fatto arrabbiare i dem schleiniani ultimamente», confessa una fonte Rai qualificata. In effetti, è stato notato l’atteggiamento benevolo con cui l’ex premier di Rignano, pur stando all’opposizione, ha accolto il nuovo corso nella tivù pubblica. La prima azienda culturale del Paese spesso anticipa gli scenari nazionali e a Mazzini si preconizza l’esperimento in vitro della costruzione di quel centro politico in cui il leader di Italia viva vorrebbe giocare un ruolo da protagonista, con la stessa ambizione da ago della bilancia di Soldi rispetto al futuribile ballottaggio tra i due poli principali qualora passasse la riforma costituzionale del premierato o del “sindaco d’Italia”.

Resistenze su Chiocci al Tg1 e su Volpi a Rai Sport
In ogni caso, la coppia di dioscuri meloniani, l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi, deve portare il primo pacchetto di nomine al cda del 25 maggio. Urge designare i direttori di genere cui tocca perfezionare i palinsesti, ma anche sulle testate ci saranno da subito delle novità (benché, forse, più limitate delle attese). Crescono le resistenze interne su Gian Marco Chiocci al Tg1, ma la premier Giorgia Meloni è pronta a forzare la mano, malgrado il fronte sindacale sia al momento particolarmente caldo. E mal di pancia si registrano pure sull’ipotesi di Jacopo Volpi a Rai Sport, in quota Forza Italia, perché dovrebbe comunque andare in pensione a giugno 2024 (chi spinge per Angela Mariella su quella poltrona enfatizza inoltre le esigenze di equilibrio nella rappresentanza di genere).

A Carboni il contentino Rai Parlamento: una sconfitta per il M5s
Francesco Pionati e la stessa Mariella si contendono Radio Rai (ma quest’ultima potrebbe finire alle Relazioni istituzionali): la Lega è comunque sovra rappresentata, continuando a tenere in mano anche la TgR con Alessandro Casarin. Sicuro poi il trasloco di Andrea Vianello a San Marino. Intanto a Giuseppe Carboni, fermo da 18 mesi, verrà proposto il contentino di Rai Parlamento, una soluzione che segnerebbe la prevista sconfitta del Movimento 5 stelle e lo scarso impatto dell’accordo tra Giuseppe Conte e Meloni. Antonio Preziosi, in quota Fi, si prepara a planare sul Tg2 al posto di Nicola Rao che dovrebbe andare alla Comunicazione, con il controllo sulle Relazioni istituzionali, Relazioni esterne e Ufficio stampa.

Orfeo saldo al Tg3, il Pd non schleiniano tiene il colpo
Il Pd non schleiniano, dal canto suo, mantiene le posizioni. Mario Orfeo resta saldo al Tg3 e la filiera che fa capo a Gentiloni e Dario Franceschini terrà per il momento poltrone di grande potere economico come Rai Fiction, Rai Cinema e Rai Cultura. La novità è che Meloni sembra volerci andare con i piedi di piombo e dunque probabilmente toccherà l’anno prossimo al nuovo cda, all’indomani delle elezioni europee, rivoltare la tivù di Stato come un calzino. «Siamo di fronte a un’operazione che procede in maniera lenta e, in definitiva, all’insegna della conservazione di un certo blocco di potere. La Rai così non rispecchierà gli equilibri istituzionali: c’è un progetto sul centro politico che vede la presidente protagonista», spiegano da Viale Mazzini.

Divisioni nella maggioranza sulle sorti del canone
Intanto, l’8 giugno Soldi e Sergio saranno auditi in Commissione di Vigilanza. Mentre i vertici Rai si lambiccano con il risiko delle nomine, restano sul tappeto tutti i nodi strutturali, a partire dalle divisioni nella maggioranza circa le sorti del canone: un enigma che si riverbera sul piano industriale e sul contratto di servizio. Un’altra brutta gatta da pelare che Meloni, in questa fase, si sarebbe volentieri risparmiata.