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Figli dei vestiti a fiori

Compie 70 anni Marimekko il brand finlandese che ha sdoganato le fantasie ispirate alla natura. La storia del successo di capi diventati sinonimo di libertà

13 Agosto 2021 19:2013 Agosto 2021 20:25 Camilla Curcio

La storia di Marimekko, brand finlandese diventato celebre per le sue stoffe colorate e arricchite di vistose stampe optical, coincide con la rinascita del paese nel secondo dopoguerra. Quella che, agli inizi, era una piccola maison tessile, si è trasformata in poco tempo in una delle protagoniste indiscusse del fashion system internazionale, espandendosi anche nel settore dell’arredamento e conquistando artisti e personaggi che hanno fatto la storia della moda, dalla first lady Jackie Kennedy (che ne indossò diversi vestiti durante la campagna elettorale del marito per la presidenza degli Stati Uniti) alla pittrice statunitense Georgia O’Keeffe. 

Marimekko, una moda lunga 70 anni

A poggiare la prima pietra di un progetto che, dalle origini a oggi sembra non aver perso mai quota, è stata l’imprenditrice Armi Ratia che, assieme al marito Viljo, ha fondato il marchio nel 1951. Lo spirito bohémien che pervade le collezioni di Marimekko sembra essere una diretta proiezione di una personalità fatta di contrasti, a metà tra la spensieratezza dell’informalità. Un mix celebrato in un libro pubblicato quest’anno, in occasione del 70esimo anniversario della griffe, e che sembra sopravvivere anche nelle creazioni più recenti. Come la nuova capsule realizzata in collaborazione con l’azienda giapponese Uniqlo e costellata di capi morbidi e vivaci. «Quando Armi ha ideato Marimekko, la sua idea era quella di evitare strade già battute nell’ambito dell’industria tessile», ha raccontato alla BBC Minna Kemell-Kutvonen, responsabile dello sviluppo del prodotto per l’azienda, «Allora, andavano tanto i motivi floreali e lineari, quella era la norma. Ratia ha deciso di muoversi controcorrente, puntando sull’astratto e sulle tinte meno sobrie per ottenere un risultato unico nel suo genere e diverso da tutto quello che c’era in giro». Un’impresa dalle premesse coraggiose che, in qualche anno, l’avrebbe portata a guidare un’eccellenza del design d’abiti e del lifestyle nata dalle ceneri della fabbrica di stoffe del marito, andata in bancarotta due anni prima.

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Marimekko, il vestito di Mary

La scelta del nome, ovviamente, non fu casuale. In finlandese, marimekko significa il vestito di Mary, un’espressione che ben sintetizzava l’intenzione dell’azienda di proporre indumenti adatti a tutte le donne, dallo stile contemporaneo e perfetti per la vita quotidiana. Pezzi che sapessero assecondare il desiderio di innovazione e ottimismo di un paese che tentava di ricostruirsi dopo un conflitto. «Sin dalle sue origini, l’obiettivo del brand è sempre stato quello di rendere felici le persone, sollevare il morale generale, abbattuto da tutto quello che, allora, succedeva intorno», ha spiegato Kemell-Kutvonen. È nel 1953 che inizia il vero exploit di Marimekko, con la creazione di uno dei prodotti di maggior successo: si tratta della camicia Jokapoika, creata dal giovane designer Vuokko Eskolin-Nurmesniemi e ispirato alle casacche dei contadini finlandesi. La stampa, nota come Piccolo Print e originariamente limitata ai pezzi della collezione maschile, venne ben presto cooptata anche da quella femminile, trasferendosi su vestiti ampi e dalle linee fluide. L’alternativa perfetta ai corsetti strettissimi in voga negli Anni Cinquanta. Ad arricchire il catalogo di motivi adoperati nella confezione degli abiti, anche il desiderio di Ratia di rendere omaggio alle sue origini rurali. «Molte stampe presentano decorazioni tipiche della cultura slava», ha spiegato Laird Borrelli Persson, autore del manuale Marimekko: The art of printmaking, «Ovviamente, non sono mai stati adoperati in purezza, ma continuamente rinnovati e rielaborati fino a diventare moderni e ad assecondare il desiderio di libertà presente nel DNA della griffe».

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Marimekko alla conquista del mondo

Pur legandosi molto alle tradizioni locali, Marimekko riuscì ben presto a valicare i confini nazionali. Fino a raggiungere l’America. Dapprima, rubando il cuore alle studentesse dell’Università di Harvard, che ne trasformarono i vestiti in vere e proprie uniformi da intellettuali. Poi, diventando marca d’elezione di Jackie Kennedy, che riuscì a portare uno degli abiti sulla copertina di Sports Illustrated nel 1960. Da quel momento, le vetrine di San Francisco, New York e Chicago iniziarono a riempirsi di accese tinte pastello e stampe che sarebbero diventate un must della maison. Da quella coi meloni a quella con le anfore, disegnata da una Maija Isola appena 22enne e ignara del fatto che sarebbe diventata la designer di punta, con all’attivo più di 500 grafiche, tra cui la più celebre, quella coi papaveri rossi e fucsia su sfondo bianco. Oltre a lei, a riempire i laboratori dell’atelier, anche schiere di giovanissimi ed eclettici creativi giapponesi che, a modo loro, hanno contribuito a rinnovarne l’ispirazione, contaminandola con l’architettura. 

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Marimekko, la crisi degli anni 90

Dopo qualche crisi passeggera tra 1960 e 1970, è nel 1990 che l’azienda diventa protagonista di un tracollo apparentemente insanabile. Fino all’arrivo della nuova proprietaria, Kirsti Pakkanen. Oggi, c’è ancora una donna al timone: la ceo Tiina Alauhta-Kasko. Quello che, secondo gli addetti ai lavori, mantiene in vita il successo di Marimekko nel panorama contemporaneo è, senza dubbio, l’attenzione alla sostenibilità, nata da un legame con un rito particolare, che vedeva le madri passare i loro vestiti alle figlie. E che il brand, nel 2021, ha deciso di trasformare in una tendenza, lanciando l’iniziativa Pre-Loved Scheme, una vera e propria compravendita online di articoli realizzati e prodotti tra 1960 e 1980. Ma non è tutto. L’amore per l’ambiente si riconosce anche nella ricerca applicata ai metodi di lavoro e ai tessuti, scelti tra fibre prevalentemente biodegradabili e perfetti per dare vita a t-shirt, camice e gonne da usare per correre, saltare, lavorare o protestare in piazza.

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