In occasione del 60esimo anniversario di Amnesty International, stasera 3 giugno alle 21.20 Rai Tre trasmette in prima visione il film A private war. Diretta da Matthew Heineman e con protagonista Rosamund Pike, la pellicola racconta la storia della reporter del Sunday Times Marie Colvin e del suo instancabile lavoro per documentare i luoghi distrutti dalla guerra. Dall’Iraq all’Afghanistan, passando per la Libia, Colvin ha dedicato la sua vita a un mestiere che le ha regalato meritati riconoscimenti ma l’ha messa di fronte anche a parecchi rischi. Fino al peggiore degli epiloghi: quando, a 56 anni, viene tragicamente uccisa assieme al fotografo Rémi Ochilik, durante un’offensiva dell’esercito locale a Homs, in Siria.
A private war: la vera storia di Marie Colvin
Classe 1956, nata nel Queens e cresciuta a Oyster Bay, è subito dopo la laurea in antropologia a Yale che Marie Colvin inizia la sua carriera di giornalista come reporter della United Press International (UPI). Parte dalla sede di Trenton, si sposta poi a New York e infine a Washington. La gavetta e il talento la portano, ben presto, ad assumere le redini della redazione francese dell’UPI a Parigi, l’ultimo incarico prima di trasferirsi definitivamente al Sunday Times. Il quotidiano per cui lavorerà dal 1985 fino al 2012, l’anno della sua morte. Dal 1986, diventa corrispondente del giornale dal Medio Oriente e, nel 1995, inizia ad occuparsi di Esteri. È la prima a intervistare il leader libico Gheddafi dopo l’Operazione El Dorado Canyon. Nel corso di quel colloquio, il generale dichiara apertamente impossibile la riconciliazione tra Libia e USA, addossando tutta la colpa dell’incomunicabilità tra i due stati sul presidente Ronald Reagan. La sua passione per il Medio Oriente la porta a documentare le guerre in Cecenia, Kosovo, Sierra Leone, Zimbabwe, Sri Lanka e Timor Est. Proprio nel corso di quest’ultima, nel 1999, dà mostra di un coraggio notevole, portando in salvo oltre 1500 donne e bambini da un’area completamente assediata dalle forze armate indonesiane. Rifiutandosi di abbandonarli, rimane con loro per oltre 4 giorni, documentando l’accaduto fino alla liberazione.
A private war: rischiare la vita in nome del giornalismo
L’estrema devozione nei confronti del mestiere porta Marie Colvin più volte a rischiare la vita. Perde l’uso dell’occhio sinistro in Sri Lanka, nel corso della guerra civile. L’esplosione di una granata la colpisce in pieno volto mentre si sposta da un’area controllata dalle Tigri Tamil a una controllata dal governo. Da quel momento, la benda che è costretta a indossare diventa il simbolo del suo coraggio. Lo stesso che, nonostante il grave stress post traumatico che si trova ad affrontare, la spinge a completare il reportage di 3000 parole da consegnare al giornale. Nel 2011, impegnata a documentare la primavera araba in Tunisia, Egitto e Libia, viene nuovamente contattata per intervistare Gheddafi, assieme ad altri due colleghi che avrebbe potuto scegliere liberamente. Per il primo colloquio del generale dall’inizio della guerra, Colvin porta con sé Christiane Amanpour di ABC News e Jeremy Bowen di BBC News.
A private war: la morte in un attentato
È nel febbraio del 2012 che la sua audacia la mette di fronte a un bivio. Attraversato il confine siriano in sella alla sua motocicletta, ignorando il veto del governo sull’entrata di giornalisti stranieri senza permesso, Marie Colvin viene trattenuta nel distretto di Bab Amr, nella parte ovest di Homs, ed è da lì che appare per l’ultima volta in collegamento con la BBC, Channel 4, CNN e ITN News. Descrive nel dettaglio gli attacchi spietati dell’esercito siriano ai danni di edifici e persone. Parla di quello di Homs come del peggiore conflitto a cui le sia mai capitato di assistere. Muore il 22 febbraio, assieme al fotografo Rémi Ochlik mentre lasciano la sede media non ufficiale durante l’offensiva di Homs. Secondo l’autopsia, fu uccisa dall’esplosione improvvisa di un dispositivo pieno di chiodi piantato, secondo il governo, da terroristi. Questa versione dei fatti viene respinta dal fotografo Paul Conroy, con i due al momento dell’attacco. Conroy racconta di come il fuoco dell’artiglieria siriana avesse colpito il media centre, una linea appoggiata anche dal giornalista Jean Pierre Perin, che ha aggiunto come i militari avessero preso di mira l’edificio mediante segnali via satellite.
A private war: dalla vittoria in tribunale di Cat Colvin al biopic
Nel luglio del 2016, la sorella Cat cita in giudizio il governo siriano, considerandolo responsabile della morte della giornalista in base a una serie di prove che la vedevano come target. Tre anni dopo, nel gennaio 2019, il tribunale dichiara il governo di Assad colpevole, condannandolo al pagamento di una multa di 300mila dollari e confermando la versione secondo cui Colvin fosse stata uccisa per far sì che il suo lavoro venisse silenziato. Il biopic A private war, interpretato da Rosamund Pike, racconta nel dettaglio tutta la storia della giornalista, a partire da un articolo uscito per Vanity Fair a cura di Marie Brenner, Marie Colvin’s Private War. Tra il 2000 e il 2012, il suo lavoro ottiene fior fior di riconoscimenti: dal premio come Journalist of the year al Foreign Reporter of the Year, passando per l’Anna Politkovskaya Award.