Bomba d’acqua nelle Marche, nove morti, quattro dispersi, oltre 50 feriti (ma il bilancio potrebbe drammaticamente aumentare) paesi isolati, danni ingenti alle persone e alle cose. Quando cresci in un piccolo paese, come cantava Lou Reed, ti abitui all’idea che se si parlerà della tua terra natale a livello nazionale sarà sempre e soltanto per brutte situazioni.
Non chiamiamolo maltempo: è il frutto dell’emergenza climatica di cui dovremmo occuparci
Così è oggi. La mia regione, le Marche, è stata colpita da quello che con una certa ingenuità viene ancora oggi chiamato maltempo, ma che evidentemente è il frutto più chiaro di quell’emergenza climatica che da tempo dovrebbe essere al primo posto della nostra agenda. La provincia di Ancona è stata particolarmente devastata. Sassoferrato, Ostra, Barbara e altre zone dell’entroterra senigalliese sono state letteralmente sommerse da acqua e fango; il Misa, fiume che si getta in mare proprio a Senigallia, è esondato, allagando tutta la zona di Cesano. Anche il Pesarese è stato duramente colpito, il comune di Cantiano sommerso senza possibilità di un imminente rientro nelle case da parte degli abitanti, sfollati come del resto anche quelli di Barbara, di Pianello, parte di quelli di Serra dei Conti. Le vittime, almeno quelle fin qui recuperate, erano di Ostra, Trecastelli, Bettolelle, Barbara: tutte in provincia di Ancona.

Fin qui la cronaca, drammatica. Con famiglie che hanno perso tutto. I paesi di campagna si configurano spesso con case singole, al massimo dotate di due piani, e le alluvioni tendono per loro natura a distruggere quello che si trova ai piani inferiori, senza possibilità di scampo. Si piangono lutti importanti, tra i dispersi risultano ancora due bambini, uno dei quali strappato letteralmente dalle mani della madre dalla furia delle acque e del fango. Stando a quanto ha riferito l’assessore alla Protezione civile della Regione Marche, Stefano Aguzzi, il maltempo – sempre lui – ha colpito la regione all’improvviso, senza che venisse indicato un pericolo imminente, e l’esondazione del Misa è stata repentina e imprevedibile. Si parla di pioggia caduta in quantità ingenti, in un paio d’ore circa la metà di quanta è di solito prevista nel corso dell’intero anno. Lo stesso Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile, arrivato in zona, ha parlato di imprevedibilità degli eventi.
Delle Marche ormai si parla solo in occasione di cataclismi naturali
Ora, torniamo all’incipit, a quel crescere in un piccolo paese, quel ritrovarsi nei titoli di testa solo in caso di brutte situazioni, tragedie, stragi, morti. Sono nato nelle Marche, regione piuttosto anonima, non fosse per alcune indubbie bellezze paesaggistiche e di ordine culturale. Una regione non troppo dissimile, per conformazione morfologica, alle vicine Umbria, Toscana, Lazio, al punto che muovendosi per le campagne difficilmente si potrebbe capire in quali di queste regioni ci si trova, non fosse per la quasi totale assenza di turisti, specie di turisti stranieri. Delle Marche si parla quasi sempre per questioni legate a cataclismi naturali. L’ultima volta, probabilmente, è stato per il tremendo terremoto del 2016, noto come “il terremoto di Amatrice” anche se il maggior numero di comune colpiti, e quando si dice colpiti si intende distrutti, si trovano nelle Marche, come del resto era capitato anche nel 2009, dove il terremoto che aveva raso al suolo L’Aquila aveva lasciato ingenti danni nel Maceratese e nell’Ascolano. In mezzo, tanto per non farsi mancare niente, una alluvione nel 2014, e chi scrive è nato proprio in Ancona, città che ha avuto un terribile terremoto nel 1972, una terribile frana 10 anni dopo e che ciclicamente è colpita da colpi di coda della natura.

La Natura Matrigna di Leopardi non c’entra nulla
L’alluvione del 2014 colpì – qualcuno potrebbe parlare di sfiga, qualcuno magari tirare in ballo quella Natura Matrigna cui lo scrittore più famoso di questa terra, Giacomo Leopardi, ha dedicato parte delle sue rime – esattamente le stesse zone colpite dalla Bomba d’acqua arrivata ieri pomeriggio. Siccome non credo alla sfiga, è evidente che se nel giro di otto anni un fiume, il Misa, esonda due volte esattamente nello stesso punto, siamo di fronte non solo a una natura che col tempo si è fatta più feroce, ingelosita dal nostro non prendercene cura, ma a errori umani di cui, ci si augura, prima o poi qualcuno risponderà. Durante l’estate ho avuto modo di passare del tempo nella mia terra natale, girandola in lungo e in largo. Ho visto i fiumi praticamente ridotti a piccoli rigagnoli, ho visto i campi arsi dal caldo e dal sole, ho visto i greti dei letti pieni di tronchi e sterpaglie, vista l’assenza di acqua, rimasti evidentemente lì da mesi, se non da anni. Quegli stessi alberi e sterpaglie sono ben visibili nei tanti video che troviamo in Rete delle ore più tragiche di questa brutta situazione, ammassati nelle anse dei fiumi, o raccolti a tappo sotto i ponti. Facile che poi i fiumi esondino, specie se l’acqua piovuta è così tanta e in così poco tempo. Il letto del fiume asciutto complica il tutto.
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— JUST IN | World (@justinbroadcast) September 16, 2022
Non è stata una tragedia o una fatalità, ma una fatale assenza di prevenzione
Anche parlare di tragedia è sbagliato. Non perché la morte di 10 persone e tutto quel che è successo a quelle famiglie e quelle comunità non sia una tragedia, ma perché la parola tragedia porta con sé una certa fatalità che, in assenza di interventi umani, sembra essere troppo generosa nei confronti di chi ha responsabilità a riguardo. Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche, lo ha detto chiaramente, a fronte dell’eccezionalità delle precipitazioni di ieri, con quei 420 millimetri di pioggia in poco più di un’ora. È chiaro che la totale assenza di prevenzione abbia avuto un peso esso sì fatale per lo svolgimento dei fatti. Sono otto anni, denuncia Farabollini, che le Marche sono da questo punto di vista abbandonate a loro stesse, e questi sono, sembrerebbe, i risultati. I tre morti dell’alluvione del 2014, vittime dell’esondazione del Misa, sembra non abbiano lasciato traccia nella memoria, i 10 di oggi stanno lì a reclamare una qualche responsabilità. Come le reclamano i sindaci dei Comuni dell’Anconetano, perché se è vero che la bomba d’acqua era imprevedibile, Cantiano, paese letteralmente spazzato via dalla furia dell’acqua, è stato colpito almeno un paio d’ore prima che la medesima acqua e pioggia arrivasse dalle parti di Ostra e Senigallia. Non si poteva davvero fare nulla quantomeno per evacuare quelle zone? Magari per salvare qualche vita, visto che le vittime sono tutte concentrate lì, spesso colte di sorpresa mentre erano in auto o in giro? Responsabilità cui basta solo dare un nome e cognome, quindi.

La fine del Modello Marche tanto decantato da Giorgia Meloni
Del resto, anche una lettura veloce dei fatti locali porta a pensare che la recente elezione alla guida della regione del presidente Acquaroli, per la prima volta un partito di destra alla guida di una Regione tendenzialmente sempre rossa, sia figlia del Terremoto del 2016, o meglio, della totale assenza di interventi a riguardo da parte della precedente gestione, quella del presidente Ceriscioli, Pd, colpito e affondato proprio per la sua assenza in quelle zone. Un ribaltone politico senza precedenti in quelle lande, sorprendente e, per certi versi, anche clamoroso. Al punto che Giorgia Meloni è proprio nelle Marche, nella ancora rossa Ancona, ad aver cominciato la campagna elettorale, sbandierando ovunque il Modello Marche, il presidente Acquaroli e il suo agire usato a mo’ di manifesto su cui plasmare le mosse del prossimo governo, nel caso i sondaggi dicano il vero. Stabilito che se responsabilità ci sono e non sono certo solo di chi ora è alla guida della Regione – ci mancherebbe altro, sono problemi atavici, questi, che per essere risolti richiederanno anni, anni comprensivi di un notevole cambio di mentalità – resta che al momento è la destra di Fratelli d’Italia a guidare le Marche, e se nulla è stato fatto nell’ultimo anno e mezzo per mettere in sicurezza quelle zone già disastrate è in parte anche colpa loro. Che il Modello Marche diventi una sorta di letterale Libro Nero di come non muoversi una volta arrivati sugli scranni del potere potrebbe essere l’auspicio di chi oggi conta le salme e i danni se mai chi conta salme e danni avesse voglia e tempo per lasciarsi andare ad auspici invece che a strilli e pianti. Perché mai come ora naufragar non è dolce in questo mare di fango.