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Tokyo 2020

Ho visto Maratona

La gara tra le più attese delle olimpiadi, chiuderà i Giochi. Da Bikila che vinse scalzo a Baldini eroe ad Atene nel 2004, le storie che hanno contribuito a rendere unica la corsa.

7 Agosto 2021 15:457 Agosto 2021 15:54 Stefano Iannaccone
Da Bikila che vinse scalzo a Kanakuri, il giapponese, che sparì nel nulla mentre era al comando: le storie più significative della maratona

Un uomo solo di fronte a una sfida enorme, lungo un percorso di 42 chilometri e 195 metri. Un interminabile tratto di strada da attraversare, per celebrare la distanza che separa Maratona ad Atene, dove questa corsa è nata ed è diventata leggenda, come i suoi interpreti. Segnati dalla fatica e determinati a centrare un risultato storico. La gara oggi rappresenta la chiusura delle olimpiadi, è una delle ultime prima che il sipario cali e i Giochi si trasferiscano altrove.

L’impresa di Abebe Bikila, il campione scalzo

Ripercorrendo l’album delle più celebri le lancette tornano indietro al 1960. Nello scenario di Roma, circondato dalla bellezza antica della Capitale, apparve un uomo che sgambettava, a piedi nudi, battendo sui sampietrini e logorando gli avversari. Era l’etiope Abebe Bikila che iscrisse il proprio nome nella leggenda sportiva, soprattutto per aver trionfato senza scarpe, guadagnandosi il soprannome di corridore scalzo. «Gareggio così per sentire meglio cosa mi sussurra la strada», fu la motivazione che diede ai giornalisti incuriositi. Genuino, inconsapevole di aver firmato un’impresa epica. Quattro anni dopo, fresco di operazione all’appendice, bisserà il successo questa volta con le scarpe ai piedi, firmando persino il record mondiale.

Vanderlei de Lima, il podista aggredito in gara 

Ma c’è un’altra immagine, anche più recente, che è rimasta scolpita nella memoria e ritrae il brasiliano Vanderlei de Lima, sulle strade di Atene, nella gara vinta dall’azzurro, Stefano Baldini. L’atleta sudamericano era al comando con un vantaggio di circa 30 secondi, al chilometro 36, quando uno squilibrato, in kilt, lo placcò facendogli perdere del tempo prezioso. Non fu solo una questione di cronometro, in quell’istante, all’apice dello sforzo, il brasiliano accusò il contraccolpo psicologico e il sorpasso di Baldini divenne conseguenza inevitabile. Accanto alla grande affermazione dell’italiano, così rimase indelebile il saluto commosso, fatto di baci, che Vanderlei de Lima rivolse al pubblico assiepato sugli spalti della pista. Nessun risentimento, anzi tanta gioia. Nonostante tutto arrivò terzo, conquistando un bronzo dal sapore senza dubbio particolare.

Un’altra istantanea indelebile è fissata a Mosca, nell’Olimpiade del 1980: il portacolori della Germania dell’Est, Waldemar Cierpinski, già vincitore dell’oro nel 1976, raggiunse e superò l’olandese Gerard Nijboer, fino a quel momento leader, nel giro di pista finale. Una sorta di volata in cui lo scarto tra i due fu di appena 17 secondi. A 32 secondi di ritardo giunse il sovietico Satymkul Dzhumanasarov, che riuscì a prendersi il bronzo in un podio tra i più serrati della storia della maratona. Con l’oro Cierpinski realizzò una storica doppietta olimpica, eguagliando Bikila, unico altro atleta a riuscire nell’impresa.

Londra 1908, la storia di Dorando Pietri 

Delle maratone olimpiche ci sono anche cartoline del passato, un po’ sbiadite, sospese tra il dramma e l’epica. Ai Giochi di Londra del 1908, l’italiano Dorando Pietri arrivò barcollante e stremato agli ultimi 500 metri: cadde più volte in quello che era diventato un autentico calvario. I giudici di gara e i medici, preoccupati dalle sue condizioni di salute, lo aiutarono a rialzarsi. Pietri volle continuare fino alla fine, riuscendo a tagliare il traguardo prima di tutti. Lasciò la pista in barella, completamente sfinito. La vittoria fu però contestata dagli statunitensi e da Johnny Hayes, giunto secondo. Il ricorso venne accolto e Pietri fu squalificato, perdendo l’oro olimpico. Ancora oggi resta un mito, un’immagine simbolica della fatica di una maratona.

Stoccolma 1912, il dramma di Francisco Lazaro 

All’Olimpiade di Stoccolma del 1912 andò addirittura peggio. In quella maratona, caratterizzata da un insolito caldo, perse la vita il portoghese Francisco Lazaro. L’atleta fu colpito da un malore, causato dalla fatica e da un regolamento che all’epoca vietava addirittura i rifornimenti di acqua. La tragedia si consumò intorno al chilometro trenta e Lazaro divenne il primo atleta a perdere la vita durante i Giochi dell’era moderna. Tra le cause della disidratazione, si sarebbe scoperto in un secondo momento, anche la scelta di coprirsi il corpo di cera per evitare ustioni. Un sistema che tuttavia impedisce la traspirazione della pelle e diventa un acceleratore in una situazione già precaria.

Shizo Kanakuri, il maratoneta sparito nel nulla

Quei Giochi, però, sono ricordati anche per un altro evento, decisamente più leggero. Il giapponese Shizo Kanakuri, grande favorito della vigilia, finì letteralmente disperso, mentre guidava la competizione. Il leader della corsa scomparve nel nulla. Ai giudici di gara non risultava né tra quelli giunti al traguardo, né tra i ritirati. Scattarono le indagini della polizia e si scoprì che il maratoneta, sfiancato dal caldo, aveva accettato un succo di frutta da uno spettatore, che lo aveva invitato a rinfrescarsi e a ristorarsi in casa. Kanakuri accettò e appena si appoggiò sulla poltrona si addormentò. Un sonno talmente profondo, che al risveglio la gara era abbondantemente terminata. In qualche modo fece ritorno in Giappone. Decenni più tardi, il podista finì simbolicamente la competizione. Nel 1967, ormai 76enne, venne invitato dalle autorità per completare il percorso partendo dal punto esatto in cui si era fermato. Insomma, una maratona lunga quasi 55 anni.

Tag:Olimpiadi2020
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