La mappa dei rischi del 2022 di Sace

Matteo Innocenti
03/03/2022

La mappa interattiva di SACE evidenzia una diffusa stabilità nei livelli di rischio di credito globale. Rinviata l’auspicata inversione di tendenza dopo i marcati incrementi del 2021.

La mappa dei rischi del 2022 di Sace

Il contesto macroeconomico globale è in fase di progressivo consolidamento e prosegue la crescita del commercio internazionale di beni, che è tornato su volumi superiori a quelli pre-crisi, ma i rischi all’outlook globale restano comunque significativi. È la fotografia scattata dalla Mappa dei Rischi 2022 di SACE, il cui mappamondo interattivo online, giunto alla XVI edizione, delinea i profili di rischio per le imprese che esportano e operano in 194 mercati esteri. «Rappresenta una bussola a supporto delle imprese italiane per orientarsi in un contesto internazionale, oggi più che mai, sempre più fluido e incerto. Sono passati due anni dall’inizio della pandemia e il contesto macroeconomico globale è in progressivo miglioramento, seppur in maniera differenziata tra i Paesi», ha spiegato l’ad Pierfrancesco Latini, sottolineando come «il 2022 sarà un anno caratterizzato ancora da rischi significativi, in particolare politici, soprattutto alla luce del conflitto russo-ucraino». La mappa, che si avvale di un set aggiornato di indicatori che permettono di valutare, insieme ai tradizionali fattori di rischio di credito e rischio politico, anche aspetti di sostenibilità come cambiamento climatico, benessere sociale e transizione energetica, evidenzia una generale stabilità del quadro dei rischi del credito globali, senza mostrare l’auspicata inversione di tendenza dopo i marcati incrementi del 2021.

SACE, sostegno al Made in Italy

«Sostegno all’export partendo dalle vocazioni settoriali nazionali, quelle del Made in Italy e delle eccellenze delle filiere produttive, a cui si associa un impegno trasversale per le infrastrutture, la digitalizzazione e i progetti green; tutto questo per creare un sistema più competitivo e più sostenibile. Questo è in sintesi l’impegno di SACE per il Sistema Paese», ha dichiarato l’ad Latini, in occasione della presentazione della Mappa dei Rischi 2022. «Un impegno che, da inizio pandemia, si è tradotto in circa 90 miliardi di euro di risorse mobilitate per le imprese italiane, il doppio rispetto al tradizionale impegno di SACE. Questo in concreto significa: esportazioni assicurate, garanzie su finanziamenti, commesse aggiudicate sia in Italia che all’estero». Tali risorse, ha aggiunto Latini, «hanno avuto impatti tangibili e reali anche sull’economia italiana: oltre 1 milione di posti di lavoro sostenuti, 215 miliardi di euro sul valore della produzione e 80 miliardi di euro sul valore aggiunto».

I trend per aree geografiche, tra rischi di credito, politici e di sostenibilità

Il profilo di rischio del credito delle varie aree geografiche è rimasto sostanzialmente invariato, rispetto al 2021, confermando il divario tra le fragilità dei Paesi emergenti e la maggiore solidità di quelli avanzati. Ad ogni Stato, per ciascun indicatore, è associato un punteggio da 0 (rischio minimo) a 100 (massimo).

Il rischio di credito  

Per quanto riguarda il rischio del credito, ovvero il rischio che la controparte estera (sovrana, bancaria o corporate) non sia in grado o non sia disposta a onorare le obbligazioni derivanti da un contratto commerciale o finanziario, le principali geografie avanzate presentano un profilo creditizio sostanzialmente invariato: da segnalare una timida inversione di marcia da parte della Grecia. In Europa emergente e CSI il rischio di credito risente della guerra in Ucraina: basti pensare alle sanzioni imposte da numerosi Paesi, che ostacolano i pagamenti nelle relazioni commerciali con l’estero, impattando il rischio di credito delle controparti pubbliche e private della Russia (passata da 62 a 70). Soffrono anche Bielorussia (da 82 a 88) e Turchia (da 82 a 83).

La regione Subsahariana anche nel 2022 presenta casi in cui il quadro delle finanze pubbliche si riflette negativamente sugli score, come dimostrano Kenya (da 71 a 75), che si avvicina alle incerte elezioni presidenziali del prossimo agosto con un’economia colpita dagli effetti della pandemia, e Etiopia (da 75 a 88), dove il conflitto tra forze governative e i secessionisti sta determinando impatti negativi sulle già deboli finanze pubbliche. La regione del Medio Oriente e Nord Africa ha registrato un generale miglioramento grazie ad alcune situazioni economiche piuttosto resilienti: Arabia Saudita (da 37 a 33), Emirati Arabi Uniti (da 38 a 36). Stabili Marocco (60) e Egitto (78), grazie al recupero degli scambi commerciali e un timido ritorno del turismo.

Gli effetti economici della pandemia non hanno risparmiato una delle aree più dinamiche a livello globale come l’Asia: peggiorano Cina (da 44 a 48), Sri Lanka (da 86 a 96), Filippine (da 48 a 50), e Myanmar (da 88 a 97), dove il persistente scontro tra forze democratiche e militari ha generato una crisi, anche umanitaria. Migliora invece l’India (da 65 a 63). In America Latina resta complessa la situazione della Bolivia (da 79 a 81), che ha affrontato la pandemia all’indomani di tornate elettorali convulse e con un assetto istituzionale fragile. Ancora in chiaroscuro le prospettive del Messico (da 47 a 46) e del Brasile (invariato a 57), Paesi che mantengono una crescita inferiore al potenziale: Le dinamiche del debito pubblico rimangono al centro anche della delicata situazione dell’Argentina (da 87 a 84) e che si trova di fronte a un nuovo snodo cruciale alla luce dell’accordo con il Fmi.

Il rischio politico

Di particolare attualità gli indicatori di rischio politico, che comprendono i rischi di guerra, disordini civili e violenza politica, i rischi di esproprio e di violazioni contrattuali e i rischi di restrizioni al trasferimento e alla convertibilità valutari: in generale hanno segnato un aumento, anche se differenziato tra Paesi emergenti e avanzati. Nell’Europa emergente e CSI, il contesto politico in Russia non può non risentire del quadro sanzionatorio, attuale e atteso, e delle possibili risposte del Cremlino. L’Ucraina sconta in maniera evidente l’intervento militare della Russia. I reali impatti sull’economia non sono chiaramente noti, trattandosi di un evento attualmente in corso e in continua e repentina evoluzione, ma non è difficile immaginare che anche in presenza di una risoluzione rapida del conflitto, le controparti nel Paese saranno più in difficoltà a onorare i propri debiti.

Molto frastagliato il quadro del rischio di violenza politica in Africa, che tra il 2021 e l’inizio del 2022 ha contato cinque colpi di Stato militari: Ciad, Guinea, Mali, Sudan, Burkina Faso. I Paesi che si affacciano sul Golfo Persico mostrano una diffusa stabilità politica, sebbene sia sporadicamente aumentato il rischio di attacchi terroristici, per lo più provenienti dallo Yemen. In America Latina, non è da escludere una nuova ondata di proteste nel corso del 2022: il calendario delle elezioni di quest’anno prevede due appuntamenti di grande rilievo: le presidenziali in Colombia nella tarda primavera e quelle in Brasile a ottobre, tradizionalmente caratterizzate da una forte polarizzazione interna. L’area asiatica riporta un livello di violenza politica relativamente contenuto, sul cui peggioramento tuttavia ha pesato la persistente conflittualità del Myanmar e le violente proteste che hanno caratterizzato Hong Kong nell’ultimo biennio. In un’ottica più di medio termine, sarà importante vedere il proseguo del confronto internazionale tra Cina e Stati Uniti: sebbene si registri un indubbio ritorno al multilateralismo non mancano contrasti tra i due grandi attori in diversi ambiti internazionali.

Il rischio di sostenibilità

E poi ci sono gli indicatori di sostenibilità. Il set comprende un indicatore di rischio di cambiamento climatico, che monitora le principali criticità climatiche (come alte temperature, fragilità idrogeologica e vento) e i relativi impatti socio-ambientali, a cui si aggiungono due campi di analisi: il primo di benessere sociale, (approfondisce la demografia, l’uguaglianza, il livello di salute, l’istruzione e il lavoro), il secondo di transizione energetica (misura lo stato di avanzamento e gli effetti geopolitici della riconversione verso un nuovo mix energetico, quale fattore di resilienza).

Le evoluzioni negative del clima e il loro impatto sulle risorse naturali si ripercuotono sulle popolazioni, favorendo tensioni tra le comunità locali. Vale per l’Africa del Nord e Subsahariana, soggetta a fenomeni di siccità e desertificazione, come in Nigeria, dove il rischio climatico è a 79 in un area in cui la media è 66, ma anche per Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana. Nel Sud Est asiatico alto rischio per il Bangladesh (climatico pari a 95 rispetto alla media dell’area di 70), dove l’aumento delle alluvioni ha provocato il dislocamento dalle aree rurali a maggioranza hindu verso le aree urbane a maggioranza islamica, determinando aspri scontri. In generale appare sempre più chiaro come, nell’ambito della lotta al cambiamento climatico e della connessa necessità di una transizione energetica, l’inazione non sia una strada percorribile. Politiche di investimento lungimiranti, infatti, potranno consolidare il continuo e tendenziale miglioramento nelle performance in materia di transizione energetica, in particolare in Europa e America Latina.