Manny Pacquiao, uno dei pugili più forti al mondo, ha annunciato che nel 2022 si candiderà alla presidenza delle Filippine. L’atleta ha iniziato la sua carriera politica nel 2007, nel 2010 ha fatto il suo ingresso nella Camera dei rappresentanti e dal 2016 è un senatore. Domenica 19 settembre ha accettato la nomina nel corso dell’assemblea nazionale di Pdp-Laban, partito centrista di cui è leader e all’interno del quale non mancano le divergenze. Si tratta, infatti, dello stesso gruppo a cui appartiene anche il controverso presidente Rodrigo Duterte, con il quale Pacquiao ha avuto contrasti molto forti. La parte dutertista di Pdp-Laban, dal canto suo, qualche giorno fa ha annunciato la candidatura di Cristopher Bong Go, braccio destro dell’attuale capo di stato, (che in caso di vittoria di Go diventerebbe vicepresidente). Il binomio Go-Duterte è stato letto dagli oppositori come una mossa del secondo per rimanere al potere aggirando la costituzione, che gli vieta un terzo mandato. E anche se Go ha dichiarato di non voler accettare la nomina, nel partito la spaccatura tra Pacquiao e Duterte rimane molto forte.
Eppure, i due in passato erano stati molto uniti. Pacquiao, ultracattolico, era stato al fianco del presidente nella sua violentissima guerra alla droga. Una stretta severissima, confluita in vere e proprie esecuzioni di Stato che, dal 2016, hanno portato alla morte di oltre 6 mila tra spacciatori e tossicodipendenti (secondo le stime ufficiali, ma ci sono Ong che sostengono come le vittime siano almeno il triplo). Pacquiao aveva anche appoggiato le richieste di Duterte di reintrodurre la pena di morte, e grazie all’atleta nel 2019 la senatrice Leyla De Lima era stata rimossa dalla presidenza della commissione giustizia e diritti umani. La sua colpa? Indagare proprio sulla campagna antidroga del presidente.
Pacquiao-Duterte, la sfida che divide il Pdp-Laban
Ma la storia adesso è cambiata e il pugile ha di recente accusato Duterte di corruzione nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione dei fondi pubblici per contrastare la pandemia. Secondo Pacquiao, più di 10 miliardi di pesos filippini (200 milioni di dollari) in aiuti destinati alle famiglie povere non sarebbero stati contabilizzati, aggiungendo che quella fosse solamente la punta dell’iceberg: di recente, il Senato ha aperto un’indagine contro l’esecutivo sul presunto sovrapprezzo di forniture e attrezzature mediche acquistate nel programma per contrastare la pandemia. Da lì ne è nato un inevitabile contrasto che ha spaccato il partito.
Pacquiao tra senato e ring
«Il tuo tempo è scaduto!», ha tuonato Pacquiao nei confronti del presidente, prospettando il carcere per i funzionari governativi corrotti. «Sono un combattente, sarò sempre un combattente dentro e fuori dal ring», ha dichiarato domenica il pugile 42 enne: «Accetto la candidatura a presidente della Repubblica delle Filippine». Nonostante l’enorme popolarità di cui gode, nei sondaggi Pacquiao è indietro rispetto ad altri candidati, compresa la figlia del presidente, Sara Duterte-Carpio. In 26 anni di carriera come pugile ha vinto otto titoli mondiali in altrettante categorie diverse, diventando l’unico nella storia a riuscirci, e nel 2011 è stato lo sportivo più pagato al mondo con 32 milioni di dollari. Nel 2016, dopo aver conquistato la cintura dei pesi welter Wbo, è diventato il primo senatore in carica di qualsiasi nazionalità a vincere un titolo mondiale di pugilato. Nel 2015 è stato protagonista insieme a Floyd Mayweather del Match del secolo, l’incontro di boxe con montepremi di 200 milioni di dollari, il più ricco della storia: il pugile filippino, uscito sconfitto, ne ha incassati solo 80.
Non solo Pacquiao, gli altri sportivi in politica
Pacquiao non è il primo atleta di altissimo livello a darsi alla politica. Nel calcio gli esempi sono tanti: sarà stato l’aver avuto a che fare per anni con Silvio Berlusconi, ma molti di questi vengono dal Milan. Kakhaber Kaladze, difensore georgiano in rossonero dal 2001 al 2010, è stato ministro dell’Energia e delle Risorse naturali e vicepremier tra il 2012 e il 2017, anno in cui è diventato sindaco di Tblisi. George Weah, primo Pallone d’Oro africano nel 1995, nel 2018 è diventato addirittura Presidente della Liberia. Un altro ex milanista e Pallone d’Oro come Gianni Rivera è stato deputato e Parlamentare europeo.
È andata decisamente peggio la carriera in politica di Josefa Idem, ex canoista che ha portato cinque medaglie olimpiche – tra cui un oro – all’Italia. Dopo aver ricoperto incarichi come responsabile allo sport prima al comune di Ravenna (2001-2007), poi per la regione Emilia-Romagna, fu eletta al Senato nel 2013 con il Partito democratico e nominata da Enrico Letta ministra per le Pari opportunità, lo Sport e le Politiche giovanili. Dopo due mesi, però, si dimise per delle presunte irregolarità nel pagamento di Ici e Imu. Meglio è andata a Valentina Vezzali, probabilmente la più forte schermitrice di sempre: eletta alla Camera con Scelta civica nel 2013, dal 2021 è sottosegretario con delega allo Sport nel governo Draghi.
All’estero ha avuto fortuna Vitaliy Klicko, pugile per tre volte campione del mondo dei pesi massimi Wbo e Wbc, eletto sindaco di Kiev nel 2014, carica che ricopre tutt’ora. Il «Non vedo, non sento, non parlo» in risposta a un giornalista di Al Jazeera, che gli aveva chiesto di commentare le immagini di alcune milizie ucraine con simboli nazisti sugli elmetti, aveva suscitato più di una critica. I contrasti con Erdogan hanno costretto Hakan Sukur, ex attaccante turco passato da Inter e Parma, a dimettersi da parlamentare dell’Akp e fuggire negli Stati Uniti: su di lui pende un mandato d’arresto di Ankara perché accusato di aver partecipato al tentato golpe del luglio 2016. Ora vive a Washington e per sbarcare il lunario fa il tassista di Uber e vende libri. Romario, ex Barcellona e campione del mondo con il Brasile nel 1994, è entrato in parlamento nel 2010 e dal 2021 è vicepresidente del Senato.