Diecimila anni dopo la sua scomparsa, un gigante del passato potrebbe camminare nuovamente sulla Terra. Non è Jurassic Park, eppure i punti in comune sono tanti. Alcuni scienziati americani infatti hanno dato avvio a un programma volto a riportare in vita i mammut lanosi, imponenti animali della tundra artica da tempo estinti. Se ne discuteva da più di un decennio, ma ora finalmente sembra che il sogno possa diventare realtà. A dirigere i lavori sarà la compagnia di bioscienze e genetica Colossal, co-fondata da Ben Lamm, imprenditore del settore hi-tech, e George Church, professore di genetica alla Harvard Medical School. La società, che negli anni ha aperto la strada a nuovi approcci dell’editing genetico, ha infatti messo sul piatto 15 milioni di dollari.
15 milioni per creare un ibrido tra i mammut e gli elefanti asiatici
L’idea di fondo prevede di ibridare i vecchi giganti artici con gli elefanti asiatici, la cui estinzione è oggi sempre più temuta. Punto di partenza sarà prelevare alcune loro cellule della pelle in modo da mescolarle ad altre staminali che trasportano il Dna dei mammut. Queste ultime, identificate in alcuni esemplari congelati e recuperati nel permafrost, sembrano infatti essere pienamente compatibili per un processo del genere. Gli embrioni ottenuti verranno poi fatti sviluppare in una madre surrogata o, addirittura, in un utero artificiale. Se tutto andrà secondo i piani – e gli ostacoli sono tutt’altro che banali – i ricercatori sperano che i primi cuccioli vedano la luce entro i prossimi sei anni.
«Il nostro obiettivo è creare un elefante resistente al freddo che somiglierà e si comporterà come un mammut», ha detto Church al Guardian. Ma anche dare nuove speranze di sopravvivenza agli elefanti asiatici, dotandoli di geni che consentano loro di resistere alle rigide temperature artiche, capaci di scendere anche 40 gradi sotto lo zero. Gli scienziati però sperano anche che il loro inserimento nell’ecosistema possa aiutare a ripristinare un habitat degradato a causa della crisi climatica, ad esempio abbattendo gli alberi e ripristinando le praterie ormai quasi scomparse.
Comunità scientifica divisa sui nuovi mammut
Intanto la comunità scientifica si divide. Se alcuni infatti hanno accolto con gioia il nuovo progetto genetico, altri sono più riluttanti. È il caso della dottoressa Victoria Herridge, biologa evoluzionista presso il Museo di storia naturale di Londra, la quale ritiene poco plausibile l’idea. «Si parla di un esperimento su vasta scala di proporzioni enormi», ha detto la scienziata. «Occorrerebbero centinaia di migliaia di mammut, i cui tempi di gestazione sono di 22 mesi. Senza dimenticare che si tratta di esemplari che non raggiungono la maturità prima dei 30 anni».
Per Gareth Phoenix, professore di ecologia delle piante e del cambiamento globale presso l’Università di Sheffield, si tratta di «una grande sfida nel vasto Artico, dove diversi ecosistemi coesistono in più condizioni ambientali». Scettico anche sull’efficacia dell’abbattimento degli alberi: «In queste regioni boschive, gli alberi e la copertura di muschio sono fondamentali per proteggere il permafrost», ha concluso il ricercatore. «Rimuoverli e calpestare con violenza il terreno rappresenta l’ultima cosa da fare».