Circa 130 persone sono state uccise dagli jihadisti di Katiba Macina, gruppo affiliato ad Ansar Dine, sospettato a sua volta di aver legami con Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb islamico. È questo il bilancio dell’ennesima strage di civili in Mali, Stato africano fondamentale per il controllo della regione del Sahel. Secondo le testimonianze, tra sabato 18 e lunedì 20 giugno tre villaggi – Dialassagou, Dessagou e Dianweli – sarebbero stati attaccati nella regione di Badiagara, nel centro del Paese. Gli jihadisti avrebbero accusato la popolazione locale di complicità con i mercenari del gruppo Wagner, compagnia di proprietà dell’oligarca russo Evgenij Prigozhin, uomo legato a doppio filo a Putin.
La presenza russa in Mali e la rottura tra Bamako e l’Europa
La presenza russa nella regione fa parte di un più ampio piano di Mosca per controllare il Sahel, una regione strategica per la gestione dei flussi migratori e il contrasto al terrorismo, ma anche per bilanciare l’ascesa cinese in Africa e aumentare gli scambi economici e commerciali nel continente. Il Mali, ex colonia francese poi passata sotto l’influenza sovietica durante la Guerra Fredda, ha subito due recenti colpi di Stato. L’ultimo, avvenuto nel maggio 2021, ha portato al potere una giunta militare vicina a Mosca. Gradualmente i rapporti con la Francia e i Paesi europei, tra cui l’Italia, presenti con varie missioni militari si sono deteriorati anche per la crescente presenza della Wagner e per gli accordi di cooperazione militare tra Mosca e Bamako. Tra dicembre e gennaio si è consumata la rottura definitiva con Parigi e gli Stati europei presenti in Mali. Strappo che ha portato i vertici europei a ricollocare i propri soldati nei Paesi confinanti o a farli rientrare in patria.

Tra gennaio e maggio le forze armate hanno ucciso oltre 500 persone
Da quel momento la situazione in Mali si è aggravata. Gli episodi di violenza ai danni della popolazione si sono intensificati. Si tratta di azioni “punitive”: i miliziani jihadisti accusano la popolazione di collaborare con i soldati maliani e i mercenari russi; questi ultimi accusano invece i civili di collaborazionismo con i ribelli. Si stima che tra gennaio e maggio siano state uccise circa 550 persone dalle forze armate: un numero maggiore rispetto alle vittime cadute per mano dei terroristi. Il peggiore di questi attacchi è avvenuto alla fine di maggio nella cittadina di Moura, nel centro del Mali. I soldati sono arrivati a bordo di alcuni elicotteri e hanno circondato il centro abitato chiudendo ogni via di fuga. Il bilancio delle vittime è compreso tra le 300 e le 400 secondo le stime più prudenti, la maggior parte delle quali civili. Secondo varie testimonianze al massacro avrebbero partecipato anche i miliziani del gruppo Wagner, accusati di aver compiuto anche altre stragi di civili arrivando ad uccidere almeno 456 persone tra gennaio e aprile.
L’avanzata del terrorismo jihadista nel Sahel
L’intervento dei militari maliani e dei mercenari del gruppo Wagner – alcuni dei quali recentemente si sono rifiutati di combattere perché non pagati da aprile – non si sta quindi rivelando particolarmente efficace nel contrasto al terrorismo che sta avanzando nel Sahel. La regione è stata infatti proclamata la «settima provincia dello Stato islamico in Africa». A questo clima di terrore va aggiunta la grave crisi alimentare che ha colpito l’intera area. Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), circa 18 milioni di persone nella regione affronteranno una grave crisi alimentare nei prossimi tre mesi. Per far fronte all’emergenza l’Onu ha stanziato 30 milioni di dollari dal Fondo centrale di risposta alle emergenze (Cerf) per Burkina Faso, Ciad, Mali e Niger. I fondi per il Sahel arrivano così a 95 milioni di dollari.