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Rosa un giorno, rosa per sempre

Dai campionissimi a Carneadi di ventura, in 90 anni sono tantissimi i ciclisti che hanno indossato almeno un giorno il simbolo del primato al Giro. Qualcuno, però, ha anche detto no alla maglia più bella.

30 Maggio 2021 09:4530 Maggio 2021 10:06 Stefano Iannaccone
La Maglia rosa compie 90 anni: l'hanno indossata tanti campioni, ma c'è anche chi ha detto no al simbolo del primato al Giro d'Italia

«La Maglia rosa è quella cosa che mai non riposa, chi la conquista, domani la può perdere. Ma di chi sarà, di chi sarà». Il leggendario ritornello del Principe De Curtis, nel suo celebre film Totò al Giro d’Italia, racconta, con innata classe comica, il valore del simbolo del primato. Che spesso, come recita la canzoncina, passa di spalla in spalla, finché non arriva a Milano, tradizionale (con qualche eccezione) luogo di premiazione e arrivederci all’anno prossimo. La Maglia rosa è il Giro d’Italia. Almeno dal 1931, momento in cui ha bagnato il suo esordio sulla scena. 

Il sogno Maglia rosa 

Indossarla è il sogno per qualsiasi ciclista, anche fosse per un solo un giorno. Se non ci credete, potete sempre chiederlo al giovane ungherese Attila Valter, partito da Torino come un semisconosciuto e per tre tappe bardato della divisa più bella. Quanto sia grande la gioia di indossarla, del resto, lo ha mostrato a tutti il colombiano Egan Bernal. Padrone delle Dolomiti, nella tappa di Cortina ha rischiato di perdere il controllo della bici, pur di far vedere, al traguardo, il rosa fin lì celato da una mantellina, protezione necessaria nelle giornata di tregenda.

Chi ha detto no alla Maglia rosa

Eppure c’è anche chi ha opposto il gran rifiuto alla Maglia rosa. Non certo per alterigia, ma in segno di rispetto verso avversari colpiti da vicende più o meno clamorose. È il caso Paolo Savoldelli, il Falco per la sue doti da discesista. Nel Giro del 1999, il 5 giugno dice «no, grazie» al simbolo che ogni ciclista agogna. Figurarsi un italiano. Sono le ore terribili dell’estromissione di Marco Pantani dalla competizione: l’ematocrito è al di sopra della soglia consentita e il dominatore della corsa viene messo fuori gioco proprio dopo lo strabiliante trionfo a Madonna di Campiglio. Il Falco, secondo e distaccato di oltre 5 minuti, diventa automaticamente leader della generale. Nonostante la grande concitazione del momento, riesce a conservare la lucidità. Niente rosa per lui, meglio essere il Falco, che un avvoltoio pronto a speculare sulle disgrazie del Pirata.

Il no alla Maglia rosa, “tradizione bergamasca”

Ma Savoldelli poteva contare su un illustre precedente. Un altro grande campione, ironia della sorte anche lui bergamasco, giusto 30 anni prima aveva preso la stessa, clamorosa, decisione. Felice Gimondi, ritrovatosi in vetta per la squalifica a Eddy Merckx nel 1969, optò per il gran rifiuto. Il Cannibale era stato trovato positivo a un controllo antidoping. La notizia aveva creato grande sgomento: il campione belga era stato intervistato lo stesso giorno, in lacrime e in balia degli eventi. Un vero shock, una situazione a cui Gimondi decise di non dare il colpo di grazia.

Michele Scarponi, Maglia rosa post-datata

E tra corsi e ricorsi, c’è stato chi ha dovuto accontentarsi di una consegna post-datata. come accaduto al compianto Michele Scarponi. Il ciclista, morto in un drammatico incidente nel 2017, figura nell’albo d’oro del Giro d’Italia 2011. Quell’anno, però, alla premiazione finale c’era Alberto Contador sullo scalino più alto del podio. L’Aquila di Filottrano era al suo fianco, in seconda posizione. La vittoria gli sarebbe stata assegnata a tavolino, in seguito alla squalifica per doping inflitta al ciclista spagnolo. Il campione marchigiano ha così ottenuto una parziale consolazione: ricevere la Maglia rosa alla partenza dell’edizione successiva. Risarcimento, certo, ma imparagonabile all’emozione di metterla su davanti al pubblico di Milano.

Perché, e qui si torna al punto di partenza, la Maglia rosa incarna la realizzazione di un sogno che Alessandro De Marchi, nel podcast Giroglifici, spiega in maniera cristallina. Il Rosso di Buja ha avuto la gioia di portare in questo Giro d’Italia il simbolo del primato. E le sue parole non necessitano di postille: «Una cosa che ho imparato da questi tre giorni è che bisogna credere nelle belle storie. Negli ultimi due anni io avevo un po’ perso questa capacità che hanno i bambini di credere alle favole. Quando cresci, quando diventi adulto forse la perdi un po’. Ma è importante, anche da grandi, credere nelle belle storie. Nelle cose belle». Credere nella Maglia rosa.

 

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