Il colpo grosso l’ha fatto il Maggio Musicale Fiorentino. Non senza una certa dose di buona sorte, il sovrintendente Alexander Pereira, ex Scala ed ex Salisburgo, ha indovinato le date di apertura dell’83esima edizione dello storico festival: 26 e 27 aprile, prima un concerto sinfonico diretto da Daniele Gatti (tutto dedicato a Stravinskij nel cinquantenario della morte) poi l’opera inaugurale, Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, con Daniel Harding sul podio. Esattamente i giorni della “grande riapertura” in Italia dei teatri e dei luoghi di spettacolo.
La scommessa del Maggio
È stata così gratificata la politica di Pereira, che ha scelto di puntare su un calendario preciso, senza rincorrere le illazioni su restrizioni e parziali concessioni, accettando il rischio di possibili cancellazioni. Una scommessa rischiosa, per rendere possibile la quale il Maggio ha lasciato a margine le iniziative in streaming (qualcosa c’è stato, meno che altrove). Ma alla fine vincente: ora Firenze si presenta al pubblico con un calendario quasi normale (ferma restando la notevole riduzione del pubblico), mentre altrove in Italia la riapertura è lenta e a volte problematica. A maggior ragione, allora, fa riflettere il fatto che all’ingresso del sito Internet del Maggio il visitatore trovasse ancora il 5 maggio un vistoso avviso sulla possibilità di trovare posto per l’ultima replica dell’opera inaugurale, che è andata in scena il 6 maggio.

Non è automatico dedurne che il ritorno del pubblico nei teatri musicali segni un po’ il passo, ma è intuitivo che la ripresa sia cauta e che non tutti, fra gli appassionati, siano ancora pronti al rientro, a differenza di quanto sostiene una vulgata pervicacemente proclamata. Perché l’incrocio fra l’interesse delle proposte e i timori di chi magari è ancora in attesa di vaccinazione rende la situazione molto fluida.
A teatro sì, ma se ne vale la pena
Il fatto è che Adriana Lecouvreur non è opera di particolare “appeal” festivaliero e inaugurarci il Maggio, pandemia o no, è stata comunque una scommessa. E soprattutto, non è dimostrato che appena aperte le porte, gli appassionati in crisi di astinenza corrano a teatro per proposte del genere. Corrono se ritengono che valga la pena. Come dimostra il tutto esaurito (da tempo) del concerto fiorentino dei Wiener Philharmoniker diretti da Riccardi Muti, in calendario il 10 maggio. O l’impossibilità di acquistare on line un biglietto per Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, previsto in quattro repliche al Teatro della Pergola dalla fine di giugno, con la nuova regia del fuoriclasse Robert Carsen. E vale la pena di precisare che sia il teatro del Maggio che la Pergola possono attualmente mettere in vendita circa 500 posti per spettacolo, il massimo possibile con le norme vigenti. Il caso fiorentino è più sintomatico di altri perché in riva all’Arno il calendario esiste ed è articolato, ma la grande riapertura pare aver già archiviato l’effetto psicologico dell’evento molto atteso. Il pubblico si mette in moto senza fretta perché la cautela sanitaria giustamente non è mai troppa e perché le proposte a volte non sono attraenti, a volte non ci sono affatto. Risultato? Non è detto che 500 posti siano pochi.

Il cinema soffre ancora la concorrenza dello streaming
Il discorso vale per il cinema, che dopo i piccoli exploit di qualche apertura in orari antelucani, buoni per il solito inutile folclore narrativo, ora devono fare i conti da un lato con la poca consistenza della distribuzione (e meno male che gli Oscar li hanno assegnati!) e dall’altro con la concorrenza dello streaming sulle tivù di casa. Si tratta di scegliere se vedere Nomadland su grande schermo in una sala con rigorosi distanziamenti o comodamente sul divano, come si faceva da tempo e in esclusiva negli ultimi 12 mesi: un’alternativa che forse non è nemmeno tale. E vale per tutte le istituzioni garantite dal Fondo Unico statale per lo Spettacolo (il cosiddetto Fus), cioè Teatri Stabili, Fondazioni lirico-sinfoniche e Istituzioni Concertistiche Orchestrali, che durante la chiusura per pandemia hanno navigato al riparo dalle sciagure gestionali, magari trovando il modo perfino di dare un ritocco ai debiti che oberano molti bilanci.
Ormai si lavora per la stagione 21-22
Il panorama è multiforme. Se al Piccolo di Milano il calendario da qui a giugno è corposo, altrove si naviga ancora a vista. E teatri di alto livello come La Scala o La Fenice, tutto sommato già poco attivi durante la chiusura (che pure lasciava ampie possibilità operative) ora non appaiono particolarmente agili, diciamo così, nel rimettersi in moto. A Milano, la fine di maggio porterà la rossiniana Italiana in Algeri, nella storica edizione di Jean-Pierre Ponnelle, ma a quanto pare solo in streaming, ed è chiaro che tutte le energie sono ormai già rivolte all’autunno e soprattutto all’inaugurazione della stagione 21-22, il prossimo 7 dicembre. A Venezia – forse l’unico teatro musicale a non avere proposto un’opera da ottobre scorso fino a oggi – il calendario si ferma alla fine di maggio e prevede solo concerti, aperti al basso numero di spettatori consentito dalle norme.

Arena di Verona capofila della protesta
In realtà, la grande partita, culturale e politico-sanitaria, è già quella degli eventi estivi. Il limite di 1000 spettatori per le rappresentazioni all’aperto ha suscitato molte reazioni negative, anche scomposte. Capofila della protesta è Verona, dove l’Arena semivuota per il secondo anno consecutivo – a onta di un calendario fitto e ampio, dai primi di giugno, fra lirica e pop-rock – sarebbe in effetti un fiero colpo all’economia cittadina. Il sindaco Federico Sboarina, in accordo con la sottosegretaria alla cultura Lucia Borgonzoni, sostiene un protocollo che permetterebbe di avere metà della capienza anche nell’anfiteatro romano, cioè 6 mila spettatori invece dei 1.000 dell’attuale normativa. L’estate scorsa, il ciclo di concerti “emergenziali” organizzati dalla Fondazione Arena aveva accolto al massimo (e non sempre) 3 mila persone, disposte solo sulle gradinate. Non è chiaro cosa possa o debba succedere nei numerosi altri luoghi dello spettacolo all’aperto in Italia, visto che alla fine le deroghe potrebbero arrivare a macchia di leopardo, per iniziativa delle Regioni. Ormai già superata la questione del coprifuoco, che avrebbe condizionato la programmazione estiva ma è destinato a essere allentato o rimosso, è evidente che gli aggiustamenti in corsa sulla capienza arriveranno. In che misura, al netto della controversia politica, dati epidemiologici permettendo, è tutto da vedere.