Il gollismo primordiale sospettoso des anglosaxons paga sempre in Francia, a destra e a sinistra, e questa potrebbe essere una delle chiavi di lettura delle dichiarazioni rese a due giornali dal presidente Emmanuel Macron durante il ritorno da Pechino, la settimana scorsa, e centrate sulla indisponibilità dell’Europa a essere suiviste. Cioè a seguire Washington sulla questione di Taiwan. Un tono neogollista potrebbe servire, dopo un mese di violente proteste giacobine sulla blanda riforma pensionistica e di disordini di piazza, a elevare la statura del presidente. In più c’era nell’intervista un appello accorato (giusto, ma da circostanziare) a una autonomia strategica «che deve essere la lotta dell’Europa» e una stoccata, assai discutibile ma che profuma di gollismo puro, alla «extraterritorialità del dollaro», sapore di altri tempi, quando il (parziale) e teorico ancoraggio all’oro della moneta Usa – finì nel 1971-73 – sconfinava a volte per l’Europa in una tassa monetaria.

Macron rivendica un’autonomia strategica dell’Europa ma la copertura Nato è destinata a durare a lungo
Senza autonomia strategica l’Europa è destinata «a uscire dalla storia» in questi anni di profondo cambiamento mondiale, ha aggiunto giustamente Macron. Questo vorrebbe dire spendere meglio per la difesa e non più in ordine sparso, avere una strategia diplomatica e militare univoca e presto unica, e dato che confiniamo con chi l’arma atomica ce l’ha e la brandisce, avere una credibilità nucleare, ben oltre il piccolo arsenale francese. Ma l’era della diffusione dell’atomo da guerra è finita, nel mondo civile, e quindi la copertura Nato sembra destinata a durare a lungo. Fino a quando potranno e vorranno gli Stati Uniti. Il ministro delle Finanze Bruno Le Maire, a Washington per l’Fmi, ha subito smorzato la polemica, aggiungendo che il viaggio a Pechino era stato concordato con il presidente Joe Biden, e che non c’era nessun problema per l’amicizia franco-americana. Non è difficile immaginare che cosa sarebbe successo in Europa dopo l’attacco a Kyiv se non esistesse la Nato: saremmo da tempo alla trattativa diplomatica per vedere che cosa vuole Mosca. Vorrebbe per l’Europa occidentale, in versione aggiornata, più o meno ciò che voleva nel 1946 e 47; vorrebbe la crisi del legame speciale Usa-Europa, ai suoi occhi una aberrazione geografico-politica; e vorrebbe essere considerata la sola vera potenza di terra dalle steppe alla Manica, e trattata di conseguenza. Ma lo è solo sul piano nucleare e su quello delle materie prime, è priva di qualsiasi soft power, come si è visto con il fulmineo dissolvimento del suo impero europeo dopo il 1989, e non ha più quell’arma ideologica che in realtà già scricchiolava molto nel 1945, dopo le grandi purghe staliniane, ma ancora affascinava non pochi, ignari o fedeli.

Solo per noi europei la Guerra fredda è tornata calda
Una seconda chiave di lettura dell’exploit macroniano, più profonda, riguarda il rischio concreto che l’Europa debba pagare, storicamente, l’alto prezzo dell’irrilevanza prossima futura mentre i rapporti di forza globali si stanno assestando su equilibri assai diversi da quelli risalenti alla fine alla Seconda Guerra mondiale. Allora l’Europa aveva accettato giocoforza un ruolo subalterno, a Ovest nell’area americana, e a Est inevitabilmente un ruolo coloniale sotto il Cremlino. La guerra d’Ucraina ci riporta in parte a quegli schemi, mentre però il resto del mondo è cambiato, e non pensa più tenendo conto degli schieramenti della Guerra fredda, cose passate per gli indiani, molti altri asiatici e africani, e non solo. Vedono e si adattano alla concorrenza politica ed economica fra Usa e Cina, e vedono il desiderio di potenza russo, reale sul piano militare e delle materie prime, ma con dietro un Pil inferiore a quello italiano. La Guerra fredda per noi europei, dal febbraio 2022 è tornata invece, e calda.
I motivi storici per cui non esiste una mediazione europea sull’Ucraina
Roma non è mai stata una Capitale del peso di Parigi, Londra o Berlino, perché l’unità d’Italia è stata tardiva e l’Italia non ha avuto – né poteva avere – lo straordinario successo industriale tedesco della seconda metà dell’800. Quindi Roma ha sempre saputo, nonostante le finzioni di sempre e la retorica dell’era fascista, di contare relativamente poco. Mentre per Parigi e altre Capitali l’irrilevanza, dimostrata in ultimo dal fatto che i russi non sono a Kyiv solo perché esistono gli Stati Uniti, ha un peso maggiore. Molti si chiedono come mai non ci sia una linea avanzata europea sulla questione ucraina, come mai non esista una mediazione europea che porti alla pace. Dovrebbero ricordare meglio gli ultimi 78 anni di storia europea partendo da quando il nostro bel continente si era, per la seconda volta in una generazione, suicidato, dissanguato, rovinato finanziariamente, autodistrutto economicamente e moralmente e presto, a partire dal 47, quando Washington mise a fuoco una strategia con il Piano Marshall, fu portato a scegliere: o con l’America, che spingeva fortemente allora per quella che sarebbe diventata l’Europa di Bruxelles, o per una neutralità fra i due fronti. Anche vari Paesi dell’Est con già il partito comunista pronto al comando avrebbero volentieri aderito al Piano, ma Mosca disse no. E apparve chiaro che a Ovest qualsiasi neutralità sarebbe stata equivalente a una finlandizzazione, cioè una sovranità limitata condizionata dal Cremlino. Mosca si oppose duramente all’Europa di Bruxelles, considerata uno strumento della Guerra fredda (in parte era vero, ma è uno strumento che ci ha servito in genere bene), e neppure oggi prenderebbe in considerazione un ruolo di mediazione della Ue, entità che non esiste, ha ripetuto varie volte anche con l’attuale ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Il divieto di qualsiasi alleanza fra i Paesi dell’Europa occidentale era un principio che Stalin cercò di imporre con tenacia, aggravando anche con questo la rottura con Washington e Londra.

Le radici dell’antiamericanismo in Germania e in Italia
L’antiamericanismo è un vecchio sentimento europeo rilanciato quando, dopo la Prima Guerra mondiale, gli americani dettero vita alla prima conquista dell’Europa, finanziaria soprattutto, economica, e come way of life. Quella degli Anni 20 fu, per certi aspetti, la vera americanizzazione per un’Europa che scopriva un mondo poco conosciuto, a volte lo amava e a volte no. Venti anni dopo venne il resto, con i liberatori, poi il generale Marshall e il suo piano economico, e poi la Nato, e l’America onnipresente. Sembrava che la fine dell’Urss nel ’91 voltasse pagina, ma il tutto è stato quasi resuscitato da Vladimir Putin attaccando l’Ucraina, e brandendo minacciosamente l’arsenale nucleare russo di stampo sovietico. Chi aveva idee chiare sulla Russia non si meravigliava, a inizio 2022, per l’uso delle armi, da considerare scontato prima o poi, perché la Russia ha sempre inteso così i propri rapporti con i vicini che non chinano il capo. L’Europa della Ue era tutta sull’euro e ha dovuto giocoforza tornare su diplomazia e difesa. I tedeschi sono i più stressati, sia per ovvie ragioni geografiche, sia perché è forte in Germania la vecchia corrente russofila, risalente al Trattato di Rapallo tedesco-sovietico dell’aprile 1922, che vedeva come naturale un’alleanza tra l’industria tedesca e le materie prime russe. Ma è una teoria. I tedeschi quindi non sempre vedono bene la Francia che invoca una strategia europea e preferiscono i loro affari, all’ombra della Nato se necessario. Anche gli italiani sono filorussi, a modo loro, più per un’antica affinità che li vedeva, come i russi, ai margini di un’Europa della Belle époque tutta su Senna, Tamigi, Reno e Sprea, che per un lascito del comunismo, che pure esiste, insieme ai più consistenti conati di sovranismo. E poi, sbagliando, si ritengono lontani dall’Ucraina, che invece è più vicina a Trieste di quanto Trieste lo sia a Palermo.

Prima o poi l’ombrello Usa sull’Europa si chiuderà: alzare lo sguardo non è sbagliato
Macron insiste sulla necessità di una visione europea che non sia la fotocopia di quella americana e poiché ci separano quasi 6 mila chilometri di Oceano è normale che sia così, fatti salvi i comuni interessi. Ha parlato di strategia anche per smarcarsi, alla vigilia di una fase per lui cruciale, dalla bassa cucina della politica interna, e ha commesso l’errore di dire che l’Europa non «seguirà» gli Stati Uniti su Taiwan prima di conoscere il futuro e sapere bene che cosa esattamente Washington farà con Taiwan in caso di prova di forza cinese. Il tutto mentre gli Stati Uniti sono vitali nel difendere gli interessi europei legati al caso Ucraina. Chi legittimamente obietta sull’Ucraina e parla di “pensiero unico”, cerchi di confrontarsi prima con i Paesi del Nord Europa, Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca, più i Baltici e altri che con la Russia hanno particolare dimestichezza, e capire come ragionano in materia e perché. Detto questo, è già abbastanza singolare che un’area ricca abbia la propria difesa strategica affidata essenzialmente a un alleato distante 6 mila chilometri e questo da 74 anni. Potranno passarne altri 74, ma prima o poi finirà. La vicenda Donald Trump indica che a dire basta, magari sbagliando e per stizza e ignoranza, potrebbero essere gli stessi Stati Uniti. Alzare lo sguardo non è un errore.