In Confindustria c’è una categoria che non si dà mai pace: quella degli ex presidenti, soprattutto se vengono da esperienze imprenditoriali di non grande rilevanza. La sindrome è ben nota nell’ambiente, e ha a che fare con il venir meno del palcoscenico. Da presidenti, infatti, sono quasi ogni giorno sugli scudi della cronaca, interlocutori della politica, intervengono a incontri istituzionali e sono al centro dell’attenzione. Il problema è quando i riflettori si spengono: cosa resta loro dell’antica gloria? Come premio di consolazione per la perdita di visibilità solitamente vengono paracadutati nell’Università Luiss, l’ateneo di Confindustria che offre loro una piccola compensazione all’improvvisa e drastica perdita di potere.

La sindrome da astinenza di potere degli ex presidenti
Tra gli ultimi presidenti, è il caso di Luigi Abete e Vincenzo Boccia (rispettivamente presidente e consigliere della Luiss Guido Carli), il predecessore di Carlo Bonomi, che stanno vivendo giorni difficili. Il primo, finita la lunga parentesi in Bnl, con la coda delle grane di Askanews e Cinecittà. Il secondo con le tristi vicende delle Arti Grafiche Boccia, l’azienda tipografica di famiglia. Ad accomunarli, un certo disagio nei confronti di Bonomi che ha preso la presidenza come un mestiere e per questo vi si dedica a tempo pieno. Portando a casa anche qualche risultato, il più eclatante una discreta sintonia con Mario Draghi, che non a caso lo scorso settembre è intervenuto all’ultima assemblea generale dando lustro a un evento che negli ultimi anni aveva sofferto una certa perdita di peso. E più di uno spazio nei grandi giornali da cui spesso viene intervistato.

Il golpe di Boccia e Abete contro Boccardelli
La visibilità di Bonomi, che dopo lo spaesamento del lombardo calato a Roma sta acquistando una certa abilità nel muoversi nei palazzi e salotti che contano, sta mandando in bestia Abete e Boccia che hanno deciso di profittare del loro ruolo e rivalersi in Luiss. Primo passo, che è anche una dichiarazione di guerra, il tentativo di estromissione del direttore generale della Business School Paolo Boccardelli, salito di recente agli onori della cronaca in quanto membro del cda anche di Tim, e il suo staff, per inserire manager di secondo piano e portare la Business school in Borsa. Obiettivo non dichiarato ma facilmente intuibile: puntare a farne un centro di potere autonomo rispetto a Confindustria.

I mal di pancia di Gros-Pietro, Severino e Caltagirone
L’operazione sta creando molti mal di pancia tra i confindustriali, anche per il modo in cui è stata portata avanti. In un primo momento infatti Boccia e Abete avevano fatto sapere che la loro iniziativa godeva del piano mandato degli attuali vertici di viale dell’Astronomia. A protestare visto i risultati conseguiti da Boccardelli in questi anni in termini di prestigio internazionale e di fatturato (da 8 a 27 milioni ) alcuni pezzi da novanta che siedono nel consiglio dell’ateneo, in primis Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Banca Intesa, e Paola Severino, ex ministra della Giustizia e tra le candidate al Quirinale. Ma fra tutti chi la sta prendendo peggio è Franco Caltagirone il quale, tra un acquisto e l’altro di azioni Generali dove sta combattendo la sua battaglia per scalzare l’ad Philippe Donnet, ha pompato nella Luiss qualcosa che si avvicina ai tre milioni di euro. Contrario alla quotazione anche un altro affezionato supporter dell’università, Gianni Letta, che ha fatto presente come la trasformazione in spa farebbe immediatamente perdere alla Luiss tutte le collaborazioni con le altre business school internazionali.