Lucio Battisti 80, le continue evoluzioni di un artista fantasioso

Michele Monina
05/03/2023

Il 5 marzo 2023 Lucio Battisti avrebbe compiuto ottant’anni. In tutta la sua carriera è cambiato quattro o cinque volte: pop, classico con Mogol, rivoluzionario, in odor di black music, elettronico. Mai politicizzato, resta ancora oggi quello che ha lasciato il segno più grosso nella nostra cultura musicale popolare.

Lucio Battisti 80, le continue evoluzioni di un artista fantasioso

Il 5 marzo 2023 Lucio Battisti avrebbe compiuto ottant’anni. Forse dovremmo dire che oggi Lucio Battisti “avrebbero” compiuto ottant’anni, perché di Lucio Battisti non ce n’è stato sicuramente solo uno. Ma andiamo con ordine. Anni fa è uscito un romanzo di fantascienza dello scrittore Lewis Shiner che in Italia è stato tradotto col titolo Visioni rock. In un presente alternativo si raccontano le vicende di Roy Shackleford, riparatore di apparecchi hi-fi, che miracolosamente riesce a viaggiare nel tempo, andando a facilitare la chiusura di tutta una serie di album divenuti leggendari per il loro non essere mai stati pubblicati, da Jimi Hendrix ai Beatles, passando per i Beach Boys, lo Smile poi tirato fuori da Brian Wilson unico tra i titoli citati che poi ha visto la luce anche nella nostra realtà, e i Doors. Se Roy Shackleford fosse stato un riparatore di stereo italiani, immagino, avrebbe sicuramente dovuto far visita a Lucio Battisti, a ragione considerato uno dei più grandi cantautori che il nostro non esattamente floridissimo campo ha avuto la fortuna di ospitare. Il problema di Roy Shackleford, però, o meglio quello di Lewis Shiner, sarebbe stato appunto quello di capire in quale esatto momento della carriera di Lucio Battisti irrompere, perché nel corso di una carriera partita negli Anni 60 e terminata, causa morte, nel 1998, con 17 album all’attivo, di Lucio Battisti ne possiamo contare una quantità piuttosto impressionante, così come, ma questo non dovrebbe affatto sorprendere, di suoi aspiranti cloni sia quando era in vita sia in seguito.

Il 9 settembre 1998 moriva a Milano Lucio Battisti. Tag43 vi dà il buongiorno con una clip tratta da "Teatro 10", in cui il cantautore duetta con Mina.
Lucio Battisti. (da Youtube)

Quante volte diciamo “senti come suona battistiana questa canzone”?

Dato per assodato che no, non ci sono stati più Lucio Battisti – quello sarebbe stata la trama di un altro libro di fantascienza, roba tipo L’invasione degli ultracorpi – e dato per assodato che le sue influenze sono giustamente arrivate in effetti fino ai giorni nostri, quanti di voi ascoltando la bella Splash all’ultimo Festival della canzone italiana di Sanremo, portata all’Ariston dal duo siciliano Colapesce e Dimartino, non hanno pensato “senti come suona battistiana questa canzone”? Stare qui ora a raccontare le tante fasi di una carriera così importante sarebbe complicato, ma forse ancor più inutile, tante sono le pubblicazioni che nel corso degli anni si sono spese a riguardo. Non è invece inutile sottolineare alcuni aspetti del suo fantasioso, è il caso di dirlo, percorso, complice l’inevitabile scorciatoia che il sapere che nel suo caso, a distanza di decenni, i titoli delle canzoni sono ancora facilmente associabili a melodie, arrangiamenti, la sua voce così inconfondibile a farcele risuonare nella mente al solo evocarle.

Troppo avanti per essere compreso, anche quando sparì

Fantasioso, è bene dirlo subito, in virtù di un aspetto oggi praticamente inimmaginabile, la costante volontà di sperimentare, anche a rischio di mettere a repentaglio un successo di pubblico clamoroso: nessun sconto, nessun ammiccamento, anzi, un puntiglio quasi autolesionista, non fossero i risultati raggiunti da un punto di vista artistico, nel voler andare, lui sì, in direzione ostinata e contraria. Al punto che oggi, a 25 anni dalla morte, alcune delle sue opere non suonano solo contemporanee, attuali, quanto piuttosto ancora troppo avanti per essere del tutto comprese, come del resto risulta di difficile interpretazione la sua volontà di scomparire dalla scena, gli ultimi 19 anni di carriera passati lontani dai media, invisibile, la sola musica a parlare per lui, e che musica.

Anima latina per rimettere tutto in discussione

I Luci Battisti, si diceva. Ce ne sono almeno quattro o cinque che da soli varrebbero le carriere di buona parte degli attuali alfieri della nostra musica leggera. Quello iniziale, iscritto nella tradizione della nostra musica pop, o meglio, protagonista del momento di rottura della nostra musica pop, il beat e l’ingresso dei cosiddetti urlatori a scompaginare l’idea di bel canto che per anni era stata la nostra tazza di the; quello a suo modo classico, Mogol al suo fianco, classico nel senso di scolarizzabile, cloni su cloni o quantomeno aspiranti tali, dei primi Anni 70, canzoni entrate di diritto nella nostra cultura popolare; quello che ha rimesso tutto in discussione, Anima latina su tutto, una sperimentazione quasi ostile laddove in precedenza c’erano state melodie di facilissima presa, le orchestrazioni sontuose a supporto; quello squisitamente pop in odor di black music di Una donna per amico, il suo più grande successo commerciale, un album che ascoltato oggi non mostra neanche una ruga, se non quelle affascinanti di espressione; il periodo della futuristica collaborazione con Pasquale Panella, l’elettronica a prendersi la scena, il bianco a illuminare tutto fino quasi a accecare.

Mai politicizzato, tanto da essere etichettato come “di destra”

I Luci Battisti, appunto. Qualcosa di impensabile, prima, e impensabile oggi. Prendere un successo conquistato anche quando sembrava impossibile sulla carta, la voce considerata non adatta a un repertorio melodico, una delle più belle e moderne della nostra storia, nei fatti, la decisa scelta di non sfociare mai nel politico, in un’epoca, gli Anni 70, dove non essere politicizzati equivaleva a essere etichettati come “di destra”, soprattutto una costante ricerca di suoni e di soluzioni armoniche e melodiche, anche se pure il ritmo ha avuto un ruolo centrale nelle sue composizioni, che ha del sorprendente, perché la tendenza italiana nel pop è sempre stata questa di essere facilmente riconoscibili, rassicuranti e familiari, non certo quella di chiedere a ogni uscita di rimettere tutto in discussione, ripartire quasi da zero pretendendo attenzione e rispetto. Qualcosa oggi impensabile anche in virtù di un sistema musica che punta decisamente su altro, niente spazio per l’arte, solo per il mercato, mercato che del resto ha sempre premiato Battisti, a riprova che il valore a volte può anche avere un peso commerciale, ma che soprattutto arrivati su certe posizioni di “potere”, un peso nel mercato è una forma di potere, si può decidere di approfittarne, restando ben ancorati alle proprie posizioni, o lo si può rimettere in gioco, alzando l’asticella.

Forse solo Lucio Dalla gli teneva il passo

Per questo, non solo per questo ma anche e soprattutto per questo, Lucio Battisti, i Lucio Battisti oggi sono incontrovertibilmente l’artista che più di ogni altro ha lasciato un segno nella nostra cultura musicale popolare, più dei cantautori della scuola genovese, più di Modugno, innovatore per quel suo essere istrionico e a suo modo di rottura, in realtà assai meno di rottura di quanto le braccia spalancate mentre cantava Nel blu dipinto di blu lasciavano intendere, più dei cantautori impegnati degli Anni 70, forse il solo Lucio Dalla, nato ottant’anni fa un giorno prima di lui, perfetta connessione astrale, a tenergli in qualche modo il passo, lui così istrionico e spettacolare a fianco, idealmente, di chi ha scelto coscientemente e scientemente di levarsi di torno nel 1979, stanco dell’apparire.

Contarne oggi gli eredi è operazione sterile

Una scelta, a rivederla oggi, davvero rivoluzionaria, proprio nei giorni in cui da qualche parte negli Stati Uniti si pensava alla nascita di MTv, il videoclip sul punto di occupare militarmente la scena: lui, Lucio Battisti, decide di sparire, sfumarsi, lasciare spazio alla musica, come un Salinger da fotografare in lontananza, le buste della spesa nelle mani, la grana dell’immagine non abbastanza definita da permettere uno zoom. Scelta, questa, poi sposata dai suoi eredi, la moglie in testa, lì a osteggiare legittimamente la scelta di Mogol, suo sparring partner per una porzione importante della sua carriera, non certo di tutta, di portare la sua musica dentro le applicazioni di streaming, e, peggio ancora, in film e pubblicità. Il non esserci, il non apparire, eletto a scelta di vita, la musica al solo centro dei suoi pensieri: questo era Lucio Battisti, questi erano i Lucio Battisti. Contarne oggi gli eredi, in un tempo mesto che vuole le carriere appese a un filo esilissimo, è operazione sterile, prontamente rivedibile a ogni scelta sbagliata fatta da chi, magari, in possesso di un talento non di certo all’altezza dell’originale è disposto a rivedere le proprie posizioni per inseguire qualcosa di effimero.

Lucio Battisti 80, le continue evoluzioni di un artista fantasioso
Lucio Battisti.

Emblema di come la musica andrebbe affrontata

Chissà se ci sarà un giorno in cui un Lewis Shiner italiano andrà mai a occuparsi di lui, di loro, del periodo pannelliano di Battisti, quello incautamente definito ostico, forse perché ancora troppo alieno per essere decifrabile a occhio nudo, nel quale tutto il Lucio Battisti che il pianeta Terra ha conosciuto sarà eletto a emblema di come la musica andrebbe affrontata: sempre con curiosità, con passione indomita, certo in possesso di un talento che tale si possa dire. Per ora abbiamo un lascito importante, fondamentale nel senso di eleggibile senza dubbio a fondamenta sulle quali provare a costruire una fortezza in grado di difenderci dalle brutture che il mondo, il mondo orfano del suo talento, ci pone di fronte come una punizione. Saremo ancora qui per vedere quel giorno, per dirla col nostro, lo scopriremo solo vivendo.