La provincia sta giusto alla distanza buona per far arrivare in ritardo tanti eventi, le novità; una distanza che a volte serve per umanizzarli. Pure le lucciole di Pasolini arrivarono in ritardo, ne scrisse il primo febbraio e la sua eco giunse in periferia una sera che profumava d’estate, nel 75. La domenica i padri portavano i figli nelle sezioni di partito, di tutti i partiti, dei paesi, e per dimostrare che erano importanti parlavano di massimi sistemi. «Le lucciole sono scomparse», dice un certo Pasolini. I bambini ascoltavano, poi scappavano fuori: compravano un paio di nazionali sfuse e attorno alla loro brace raccoglievano decine di lucciole. Tornavano dai grandi a dir loro che quel Pasolini era un impostore. Rimediavano qualche pesante rimprovero, più per le sigarette che per la scoperta, e se ne andavano mogi a casa.

Dalle lucciole ai coleotteri giapponesi
Sulla scomparsa repentina e progressiva delle lucciole dalle campagne, Pasolini, ci aveva costruito la sua riflessione sui mutamenti sociali, antropologici, anche ambientali. Che su molte cose ci prese è un fatto: basta riflettere su un minuscolo essere vivente, un evento minimo, un particolare. Il futuro si offre a chi vuole vederlo, e fatti e insetti sono alla portata e alla vista di tutti. Di tanto in tanto si rivedono le lucciole a far dire a qualcuno che Pasolini sbagliava; e certi anni non se ne trova traccia. Ma le famiglie dei coleotteri sono ampie, variegate: qualche tribù si inabissa e un’altra si manifesta. Ora i coleotteri sono numerosissimi, non le lucciole ma i coleotteri giapponesi: splendidi nelle loro livree metalliche, baluginanti di viola e verde.

Quando i gechi sbarcarono a Milano
La Pianura padana, specialmente a Ovest ne è piena. Li hanno portati i mutamenti, e arrivano insetti e animali che per secoli se ne stavano a latitudini lontane. È il caso dei gechi, arrivati in sordina su un camion, che hanno trovato la prima allocazione in un’azienda in provincia di Varese che un tempo produceva un noto aperitivo: sembrava non ce la facessero a superare gli inverni rigidi, ora appaiono sempre più spesso sopra i cornicioni di Milano, diventeranno abitudine; col loro aspetto da esseri primordiali, il loro grido stridulo, tutt’altro che avvenenti rispetto alle lucciole. Però, nonostante la bellezza, i coleotteri giapponesi divorano foglie e fiori, fanno disastri nei campi coltivati: qualunque rimedio si provi contro di loro, sono in grado di aggirarlo, continuano lo sterminio. I gechi, ultimo seme dei dinosauri, gridano solo se sono in pericolo, si accoccolano vicino ai lampioni, di sera e liberano l’uomo dalle zanzare: un solo geco ne mangia mille a notte. Altro che lucciole, coleotteri, che pure quelli con le lampadine se la prendevano con le piante, alle strette si divoravano fra di loro.

Il piccolo spiega il grande, la periferia illumina il centro
È sempre così, il piccolo spiega il grande, la periferia illumina il centro: l’Italia vera la comprendi attraverso la provincia; percorrendo le sue Statali che sono 700 e passa per 20 mila km e passa. L’essenza del Paese non la cogli se stai solo al centro, se giri di autostrada in autostrada, da uscita principale a uscita principale. Ma tutto appare più comprensibile, anzi, tutto può diventare bello, se le spiegazioni le danno i poeti. La quotidianità risulta accettabile, digeribile fin quando esista la poesia: l’unica scienza che sovverte i canoni della bruttezza e trasforma in mito gli insetti più molesti. E la distanza lavora per l’umanizzazione degli eventi; raccogliere tutti e tutto in un fazzoletto è un inganno, non si entra mai in profondità, in nessuna cosa: si nuota a pelo d’onda pensando di dominare il mare che è fatto di abissi inimmaginabili.