Con una lunga lettera inviata in esclusiva ad Adnkronos Luca Traini racconta la sua verità e ripercorre la strada che sta facendo in carcere dove dovrà scontare 12 anni per aver sparato a 6 persone. Traini, il 3 febbraio 2018, sparò a bruciapelo a 6 uomini di colore dalla sua auto per “vendicare” l’omicidio di Pamela Mastropietro, avvenuto pochi giorni prima ad opera del nigeriano Innocent Oseghale.
Traini: «Non sono un mostro»
Traini, da allora, si trova nel carcere di Montacuto, ad Ancona e scrive: «Di me si potrebbe pensare chissà cosa, visto il motivo per cui sono in carcere, ma non sono un ‘mostro’, come mi hanno sempre descritto. Il Luca di oggi è un uomo che magari fa meno notizia, rispetto al ‘Lupo’, ma che comunque c’è, esiste, sta facendo il massimo per scontare il debito che ha con la società civile e si impegna nella sua sfida» .
Triani poi continua asserendo: «Non ho mai negato la gravità del mio gesto e ne ho accettato le conseguenze fin da subito, fin dall’immediato, quando fui io a tornare indietro e, andando al monumento dei caduti a Macerata, a consegnarmi ai carabinieri».
Traini: «Ho manifestato le mie idee in maniera folcloristica»
Luca, poi, riferendosi alle idee che lo avevano portato ad armarsi contro persone scelte a caso, solo per il colore della pelle uguale a quello dell’assassino della 18enne romana sottolinea «una certa ideologia che avevo e che ho manifestato in maniera folkloristica, altro non era che un’immagine fittizia (virtuale) che mi ero creato a scudo, come un contrasto con il brutto del mondo. Lo stesso per il fisico: al mio ingresso in carcere, nel 2018, pesavo 132 kg di muscoli. Un colosso sviluppato in anni di palestra, per sfuggire al bullismo scolastico subito perché ero grasso. Andavo in palestra a fare i pesi per sfogarmi quotidianamente dalle delusioni in famiglia, al lavoro, le delusioni della vita. Ora sono molto cambiato. Preferisco un fisico atletico, non per apparire. E forse l’evoluzione della mia anima ha fatto evolvere anche il mio corpo».
La vita di Traini in carcere
Condannato a 12 anni di reclusione, senza sconti né attenuanti, Luca racconta all’Adnkronos: «Qui in carcere faccio un po’ di palestra, un po’ di sport e in autonomia, da autodidatta, faccio yoga e meditazione buddista, che ben si abbina alla preghiera cristiana. I miei hobby quotidiani, oltre alla ginnastica, sono leggere, ascoltare musica rock, soul e jazz. Poi scrivo moltissime lettere, leggo libri di ogni genere e svolgo le mansioni di cura della mia stanza, come pulire, lavare i vestiti, a volte cucinare, in alternativa al cibo che mi portano da casa.
Tutto questo quando sono a riposo dal lavoro. Da più di un anno, infatti, sono aiuto-magazziniere nel carcere di Montacuto, un lavoro di responsabilità e fiducia che il governo del carcere mi ha affidato. Si sta a contatto con tutti, sia detenuti che appuntati, e comunque io sono in una sezione con detenuti di tutte le etnie, italiani, pakistani, albanesi, africani, e non ho mai avuto problemi né li ho creati. Non ho mai avuto rapporti disciplinari in quattro anni. Seguo i corsi, le attività di reinserimento, faccio il massimo per far capire che in 32 anni ho sempre lavorato e seguito le regole».
Traini: «Ora che sono in carcere apprezzo la libertà»
E poi torna, ancora una volta, a quel 3 febbraio di 4 anni fa: «Una volta sono esploso. Una sola volta (gravemente) la mia mente ha staccato la spina. Ora, ciò che è stato mi è servito per capire dove sbagliavo nella mia vita. Grazie a Dio non ci sono state conseguenze più gravi di quanto già non lo siano stati la sparatoria in sé e i ragazzi feriti. Paradossalmente, quando ero libero, non avevo progetti a lungo termine – scrive Luca Traini – davo tutto per scontato. Mi serviva perdere la libertà, per poterne apprezzare di più il valore da recluso, per apprezzare il valore vero della famiglia, che prima sentivo lontana e a volte inutile nel caos del turbinio quotidiano. Ma da quel 3 febbraio di quattro anni fa la mia famiglia non mi ha mai abbandonato, né materialmente, portandomi cibo e soldi per fare la spesa, né emotivamente. Hanno compreso l’errore la gravità del mio gesto, ma allo stesso tempo hanno compreso che in quel periodo della mia vita non stavo bene di testa. Caso ha voluto che non sia diventato un vero e proprio assassino, nessuno è morto, tutto si può risolvere».