Nemmeno sono trascorsi i fatidici 100 giorni e il governo ha già deluso le lobby amiche, quelle che per decenni hanno sostenuto i partiti del centrodestra. A cominciare da Fratelli d’Italia. La vicenda dello sciopero dei benzinai ha rappresentato una spia dell’involuzione dei rapporti con specifiche categorie. Il comparto di oltre 20 mila lavoratori, storicamente legato a Fdi, si è sentito tradito di fronte all’aperta accusa, poi ritrattata, di speculazione sui prezzi del carburante. E in generale ha letto il mancato rinnovo dello sconto sulle accise come una misura ostile e inattesa perché attuata da chi aveva promesso, in passato, addirittura un taglio del costo. Alla fine il governo di Giorgia Meloni ha dovuto rivendersi l’interruzione dell’agitazione come un grande risultato. Tuttavia, agli occhi dell’opinione pubblica, oltre che del settore, è passato ben altro messaggio: l’incapacità di dialogare.
Balneari, la battaglia sulle concessioni è ancora aperta
Nella galassia dei balneari non si è arrivati alla mobilitazione, ma c’è un crescente disagio. Lo scorso anno Fratelli d’Italia ha sostenuto a spada tratta la contestazione all’iniziativa intrapresa da Mario Draghi con la spinta arrivata dalla sentenza del Consiglio di Stato: la giustizia amministrativa ha sottolineato la necessità di prevedere delle gare. Un pronunciamento criticato da FdI. «La battaglia contro le assurde applicazioni della direttiva europea Bolkestein mi è stata affidata dal partito fin dalla mia elezione a deputato nel 2018 e continuerò a portarla avanti con lo stesso impegno e la stessa forza di sempre», commentava infatti uno dei principali esponenti del fronte contrario ai bandi per la rassegnazione delle concessioni, Riccardo Zucconi, appena rieletto a Montecitorio.

Un impegno solenne che però sta impallidendo dinanzi alle richieste dell’Unione europea, tanto che Fratelli d’Italia ha ritirato l’emendamento al Milleproroghe, al Senato, a firma di Lavinia Mennuni, che stabiliva una proroga. La lobby balneare, che conta su circa 30 mila unità, non ha preso bene la cautela del governo sul dossier. In cambio ha ottenuto un incontro e una dilazione dei tempi.
Tassisti lasciati al loro destino su carburante e Pos
Una dinamica simile è quella vissuta dai tassisti, che nell’estate del 2022 avevano ingaggiato un duello con l’esecutivo di Draghi, intenzionato a riformare il settore nell’ambito del ddl Concorrenza. Gli scioperi sono stati sostenuti tenacemente da Fratelli d’Italia, tanto che i rappresentanti della categoria vollero incontrare parlamentari del partito di Meloni, dimostrando di averli individuati come interlocutori preferiti. Se non gli unici, visto che la Lega era comunque all’interno di quella maggioranza: un peccato mortale secondo le auto bianche. La battaglia fuori dal Palazzo, condotta dai tassisti, aveva così in FdI una sponda nelle istituzioni. La crisi di governo e il ritorno alle urne è stato vissuto come trionfo per il comparto del trasporto non di linea. Solo che le prime mosse dell’esecutivo amico, o presunto tale, hanno suscitato perplessità.

I rincari del prezzo del carburante hanno colpito la categoria, senza che da Palazzo Chigi sia stato mosso un dito. I tassisti hanno incassato il colpo, facendo trapelare il malumore. Qualcuno ha pure agitato lo spettro dello sciopero: «Speriamo che a questa situazione si faccia al più presto fronte con delle misure adeguate. Altrimenti saremo costretti a riavviare la macchina della protesta», ha dichiarato Alessandro Atzeni, coordinatore regionale della Uil Trasporti Lazio. Un dirigente che, per inciso, sostiene apertamente Fratelli d’Italia alle prossime Regionali. Per non parlare dell’obbligo del Pos – già attualmente non garantito da diversi tassisti – che sembrava dovesse essere cancellato dal governo, e invece alla fine non se n’è fatto più nulla, con grande delusione della categoria che spinge (per non dire obbliga) i clienti a pagare in contanti.

Professionisti delusi dalla riforma dell’equo compenso
A chiudere il cerchio c’è il comparto dei professionisti: la riforma dell’equo compenso, votata il 25 gennaio alla Camera (dovrà essere esaminata dal Senato), era una bandiera di Meloni, che sulla legge aveva apposto la propria firma. La norma fornisce delle regole importanti, ma ha spaccato il fronte dei professionisti. «Tutta questa fretta può essere spiegata solo con la volontà politica di mettere una bandierina», spiega Emiliana Alessandrucci, presidente del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap). «Avevamo ripreso il dialogo con il nuovo governo», aggiunge la numero uno del Colap, «e condividiamo l’intenzione di proteggere i professionisti dai cosiddetti clienti forti, ma il testo presenta ancora dei passaggi di natura vessatoria e non contempla la realtà delle professioni associative, spesso diversa da quella dei colleghi ordinisti». Si tratta di 3 milioni e mezzo di lavoratori. Un’altra schiera di delusi del centrodestra.