In quale sfarzoso cimitero degli elefanti vuoi essere seppellito, calcisticamente parlando? Sul Golfo Persico o al di là dell’Atlantico, tertium non datur: se sei un top player sul viale del tramonto devi solo fare la tua scelta e decidere se piazzare l’ultima bandierina a Est o a Ovest, per monetizzare con cifre astronomiche il tratto finale della carriera. Lionel Messi, alle soglie dei 36 anni, ha optato un po’ a sorpresa per l’attraversamento dell’Oceano: giocherà negli Usa, all’Inter Miami. Niente prolungamento arabo dello storico duello col rivale di sempre, Cristiano Ronaldo: con Riad i rapporti commerciali di Messi resteranno solo quelli che l’hanno trasformato nell’ambasciatore del progetto Visit Saudi, per tirare la volata alla candidatura dell’Arabia come uno dei Paesi ospitanti del Mondiale 2030. Eppure per trasferirsi a Gedda l’Al Hilal era pronto a offrirgli qualcosa come 400 milioni di euro l’anno. Il principe Mohammad Bin Salman dovrà accontentarsi di cesellare il suo progetto di espansione sportiva con gli arrivi faraonici, dopo Cr7 all’Al-Nassr, dei francesi Karim Benzema (200 milioni di euro annui) e N’Golo Kanté (“appena” 100 milioni), entrambi all’Al-Ittihad. Del resto il calcio è uno dei capisaldi del piano di Mbs, Saudi Vision 2030, con l’obiettivo dichiarato di far schizzare i ricavi commerciali della Saudi Pro League dagli attuali 450 milioni di riyal a 1,8 miliardi, cioè circa 450 milioni di euro. Però bisognerà farlo senza la Pulce, che ha preferito gli States.

La mega casa già comprata a Miami, l’aiuto degli sponsor Apple e Adidas
Ma cosa ha spinto il fresco campione del Mondo ad accettare una sfida così apparentemente strana? Innanzitutto le comodità, banalmente: sfumata la possibilità di tornare al Barcellona dopo i due anni a Parigi, per colpa dei guai economici del club catalano, Messi andrà a giocare dove ha già casa, e che casa: una dimora da 500 metri quadri e da 9 milioni di euro comprata in tempi non sospetti, nel 2021, nella lussuosa Porsche Tower, dove ha in dotazione pure un ascensore per parcheggiare le auto in cima al grattacielo. Del resto già all’epoca l’aveva detto: «Mi piacerebbe giocare negli Stati Uniti e sperimentare la vita e il campionato lì». E infatti. Tra l’altro il complesso dista giusto 30 minuti di macchina dallo stadio dell’Inter Miami, la nuova seconda casa di Leo. Il contratto non è ancora stato firmato ufficialmente, ma già si parla del contributo decisivo dei due principali sponsor della Major League Soccer (Mls), la lega americana, cioè Apple e Adidas: per il campionato Usa sarebbe senz’altro il colpo più a effetto di sempre, perfetto volano per un altro Mondiale di calcio – quello sì, già assegnato – in programma nel 2026 proprio tra Stati Uniti, Canada e Messico.

Il sistema delle franchigie, il tetto salariale e una crescita netta
Il vero tema è a che livello è arrivato il campionato a stelle e strisce. Un torneo diviso in due, con i club distribuiti nella Western Conference e nella Eastern Conference, a seconda della posizione geografica, organizzato col sistema delle franchigie – un modello tipicamente nordamericano in cui la franchise è una compagnia privata il cui scopo principale non è assicurarsi un risultato sportivo ma produrre profitti, tanto che non esistono promozioni e retrocessioni – e che ha un tetto salariale a cui sono state introdotte delle deroghe per permettere proprio gli ingaggi di super star europee. Checché se ne dica, e nonostante i progetti ambiziosi, la dimensione è ancora molto lontana da qualsiasi forma di competitività con il calcio che conosciamo in Europa. La crescita economica di sicuro è lanciatissima: nel 2022 la lega ha superato i 400 milioni di dollari di ricavi da sponsorizzazione di club arrivati da sei settori: finanza, sanità, automobilistico, tecnologia, assicurazioni e media. E anche i valori dei brand dei singoli club volano, con aumenti medi del 161 per cento negli ultimi 5 anni, secondo i dati riportati da Forbes e dal sito specializzato Sportico. Solo il Los Angeles Fc, un club che si è affiliato alla lega nel 2018, nel 2022 aveva un brand value di 900 milioni di dollari e ha recentemente ingaggiato il calciatore gallese ex Real Madrid Gareth Bale (che si è poi ritirato a inizio 2023) e il nostro Giorgio Chiellini, ex Juve e Nazionale.

A livello tecnico, gli standard europei sono ancora lontani
Leo Messi giocherà nel club di cui è presidente David Beckham, leggenda del calcio inglese ed ex ala del Manchester United, che contribuì alla prima grande svolta del calcio americano andando a giocare nei Los Angeles Galaxy nel 2007, anno in cui fu appunto introdotta la Designated Player Rule, una regola che permetteva e permette tutt’ora alle squadre di ingaggiare tre giocatori con uno stipendio maggiore del salary cap stabilito. Il problema degli americani è che non esistono solo i soldi: la situazione tecnica-tattica-organizzativa del campionato è ancora piuttosto scadente rispetto agli standard europei. Zlatan Ibrahimovic, che si è appena ritirato dal calcio, ha giocato due stagioni proprio nei Galaxy, nel 2018 e nel 2019, quando aveva 37 e 38 anni, segnando 52 gol in 56 partite quasi con una gamba sola (esagerazione per dire che tornava da un lungo infortunio dopo la rottura del ginocchio destro): quando se ne andò disse, con la sua solita dose di spacconaggine: «Ora tornate a guardare il baseball». Un suo ex compagno di squadra ha raccontato che, dopo una brutta sconfitta, sbraitò nello spogliatoio: «Sono qui per fare la storia, non per i soldi. Io ho 300 milioni nel mio conto in banca e possiedo un’isola, non ho bisogno di tutto questo». Dopo due anni a predicare nel deserto tornò in Italia, per il canto del cigno al Milan.

Bernardeschi, Insigne e quei segnali di pentimento
L’ex juventino Federico Bernardeschi (classe 1994), che assieme a Lorenzo Insigne (32 anni) è volato nel 2022 a Toronto per la traiettoria finale e decadente della carriera, aveva detto, cercando di giustificare quella scelta: «Un passo indietro? Ma se tra cinque anni l’Mls diventasse il campionato principale al mondo?». Sarà. Nel frattempo però il Toronto naviga nei bassifondi della classifica e “Berna” sembra essersi accorto in fretta dell’amara realtà del campo: «Non abbiamo costruzione nel gioco, quando abbiamo il pallone non sappiamo come passarlo. Giochiamo palla lunga, senza un’idea. Ci serve un po’ più di tattica. Abbiamo bisogno di un’idea di gioco, perché questo è il vero problema per me. È impossibile giocare senza un’idea». Sembrava stesse parlando della sua esperienza alla Juventus di Massimiliano Allegri e invece era il Toronto. Uno sfogo che gli è valso una temporanea sospensione dalla squadra. Messi, abituato a contesti calcistici d’élite, sarà capace di immergersi in un ambiente del genere, considerando che l’Inter Miami è attualmente ultima nella Eastern Conference? Il portiere di riserva della squadra, l’olandese Nick Marsman, ha dato così il benvenuto a Leo: «Abbiamo uno stadio che è temporaneo, le persone possono camminare in campo, non ci sono cancelli. Anche quando andiamo alla partita non c’è un’adeguata sicurezza. Penso che non siamo pronti per l’arrivo di Messi. Ma spero lo stesso che venga». Auguri.