Se si pensa alla storia del ciclismo, non si può fare a meno di parlare della Doyenne, la Decana delle classiche monumento, che i suoi anni li porta davvero bene. La Liegi-Bastogne-Liegi che si corre il 23 aprile infatti ha attraversato tre secoli, ma il suo fascino resta intatto, come intatta è la fatica che porta con sé a ogni colpo di pedale. La storia di una corsa disputata per la prima volta nel 1892 è impossibile da sintetizzare. Ma per rendere l’idea si può ricordare una delle edizioni più epiche, quella del 1980. Quando il francese Bernard Hinault firmò un’impresa indimenticabile e folle.
L’impresa di Hinault nel 1980 quando arrivarono al traguardo 21 corridori su 174
Nonostante fosse aprile inoltrato, sulle Ardenne c’erano freddo e neve. Condizioni che spinsero i due belgi Ludo Peeters e Rudy Pevenage all’attacco a oltre 100 km dal traguardo con l’intenzione di sfruttare l’inclemenza del meteo per sorprendere i favoriti. Ma la selezione fu fatta proprio dalla temperatura, che portò al ritiro – tra gli altri – di Beppe Saronni dato come un possibile vincitore. Hinault alla fine allungò a una ottantina di chilometri dal traguardo, nonostante la tentazione di fermarsi come tanti altri. Vinse la corsa in solitaria con oltre 9 minuti di vantaggio sul secondo, l’olandese Hennie Kuiper che precedette in una volata a due il belga Ronnie Claes. In totale solo 21 corridori su 174 conclusero la gara in mezzo a una infernale tormenta di neve. Il campione francese era praticamente intirizzito e per lungo tempo, ha spesso raccontato, avvertì la sensazione di gelo alle dita delle mani.

Le 12 vittorie italiane: da Argentin a Di Luca
La Decana è l’esame di maturità di qualsiasi ciclista che voglia scrivere il suo nome nella storia dei ciclismo ed è stata terreno di trionfi per il “solito” Eddy Merckx, l’unico ad averla vinta cinque volte. Ma la “Liegi” è anche la corsa degli italiani. Non solo perché la regione ospita una vasta comunità italiana, ma anche per una ragione squisitamente sportiva: il nostro tricolore ha sventolato al traguardo ben 12 volte. L’azzurro che ha legato il suo nome alla Doyenne è senza dubbio Moreno Argentin, trionfatore in quattro edizioni (il tris calato consecutivamente dal 1985 al 1987 e il poker arrivato nel 1991) come lo spagnolo Alejandro Valverde. Per Carmine Preziosi, vincitore a sorpresa nel 1965, è stato invece l’unico vero squillo della carriera. In tempi più recenti, Michele Bartoli e Paolo Bettini hanno inserito due volte il loro nome nell’albo d’oro, mentre la “corsa degli italiani” è stata vinta nel 2007 da Danilo Di Luca.

La sfida a due tra Pogacar e Evenepoel
Al netto degli amarcord, la Liegi-Bastogne-Liegi è anche una corsa che chiude sia il Trittico delle Ardenne che il ciclo delle grandi classiche di primavera che cedono il proscenio alle corse a tappe, i grand tour in una definizione più recente. Insomma, è il completamento di un cerchio che nel 2023 si intreccia con il tentativo di chiudere un altro di cerchio, quello tutto personale di Tadej Pogacar, dominatore della primavera ciclistica insieme all’amico-rivale Mathieu Van der Poel (a proposito nell’albo d’oro figura pure il nome di suo padre Adrie). Dopo il trionfo al Giro delle Fiandre, il piccolo principe sloveno cerca l’incoronazione definitiva con il tris al Trittico delle Ardenne. L’Amstel Gold Race è finita in bacheca con una delle sue splendide azioni solitarie, la Freccia-Vallone conquistata con lo spunto sul Mur de Huy, come sempre decisivo. Adesso il mirino è puntato sulla Doyenne, che però come un buon thriller ha il finale più imprevedibile. Questa volta tra gli avversari c’è un altro baby fenomeno, che non a caso indossa la maglia di campione del mondo: il belga Remco Evenepoel, vincitore della classica nello scorso anno. È il duello più atteso, forse il primo vero incrocio tra due fenomeni del ciclismo, capace di azionare la fantasia sopra ogni calcolo.

Un inferno lungo 258 km per 4.443 metri di dislivello
Meglio quindi essere sintonizzati fin dalle prime battute dei 258.1 km in programma, con un sapido corollario di 4.443 metri di dislivello. Conoscendo i due protagonisti non sarebbe impossibile immaginare una corsa che si accende sulla durissima côte de Stockeu, un km alla pendenza media del 12,5 per cento, posta a oltre 70 km dall’arrivo. Anche se l’attenzione maggiore è rivolta alla Redoute, che viene affrontata a meno 29 dall’arrivo. Alle spalle dei super favoriti c’è una lunga lista di outsider che puntano a insinuarsi nella rivalità tra il belga e lo sloveno: attenzione al canadese Michael Woods, che ha sempre dimostrato grande confidenza con le côte della Doyenne, e al danese Mattias Skjelmose, secondo alla Freccia-Vallone e segnalato in grande forma. Gli scalatori puri come gli spagnoli Mikel Landa ed Enric Mas possono trovare terreno fertile per le loro caratteristiche, magari sfruttando una maggiore libertà di azione. Stesso discorso per il russo Aleksandr Vlasov e per l’abruzzese Giulio Ciccone, che in questa primavera ha avuto ottime conferme. Il sogno è quello di raccogliere l’eredità di un altro abruzzese, Di Luca. Tra le sorprese vanno sempre considerati il britannico Tom Pidcock, nonostante appaia in fase calante, il francese Romain Bardet, e la rivelazione dell’Amstel Gold Race, l’irlandese Ben Healy, e il kazako Alexey Lutsenko. Insomma, l’atteso duello Pogacar-Evenepol alla fine è destinato ad arricchirsi della presenza di altri pretendenti a mettere le mani sulla Decana delle classiche.
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