In copertina c’è lui con le braccia alzate. Ha gli occhiali in mano e la faccia soddisfatta per aver vinto l’ennesima gara. Dopo il traguardo. Come il titolo del libro di 240 pagine, edito da Feltrinelli, che racconta ascesa e caduta di un campione. Successi e mostri di Alex Schwazer, capace di vincere l’oro olimpico e al contempo mentire alla compagna e ai genitori, stretto nella morsa del doping. Lo scrive lui stesso, a nove mesi dal provvedimento del tribunale che ha chiesto l’archiviazione per il procedimento penale. Sei ne sono passati, invece, da quando quello di Losanna gli sbattuto in faccia le porte per i Giochi olimpici di Tokyo.
Dopo il traguardo, il libro di Alex Schwazer
«Un racconto sincero, schietto e fedele di ciò che mi è capitato», così presenta la sua biografia il marciatore altoatesino, mettendo in guardia i lettori: «Non è la confessione di un diavolo e neppure l’apologia di un angelo. Chi vuole leggere la storia di un uomo senza peccati ne deve scegliere un’altra, non la mia». Qui i filtri vengono rimossi, in favore della verità. A trentasei anni d’altronde è davvero arrivato il momento di chiudere i conti con il passato: «Innsbruck-Vienna, Vienna-Antalya. Dissi a tutti che sarei andato a Roma, alla Fidal. Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca». La dimensione dell’atleta modello si fa improvvisamente distante anni luce, fino a scomparire sommersa dai dettagli dell’itinerario del doping. «Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo».
Dopo l’archiviazione del secondo procedimento penale per doping “per non aver commesso il fatto”, #AlexSchwazer vuole tornare a gareggiare. La sua è una storia di cadute e di redenzioni, di rinunce e di rinascite.
Dall’11 novembre in libreria. pic.twitter.com/bqopuimAkP
— Feltrinelli Editore (@feltrinellied) November 9, 2021
Le cadute e risalite di Alex Schwazer
Dov’è finito il ragazzo che nel vocabolario aveva solo due parole «allenamento e riposo». Senza colore o piatto preferito. «Passione od obiettivo che non fosse la marcia». Il gioco si ruppe nel momento più bello. A 23 anni, a Pechino, si mise al collo la medaglia più preziosa. Nel 2008 aveva il mondo ai piedi, ma il trampolino verso una carriera luminosa diventò in fretta strumento per cadere nel burrone. Voleva vincere e basta. Lo ammette oggi, lo pensava ieri. Per questo, in preda alla depressione, andò in Turchia e prese l’eritropoietina. La sostanza proibita spuntò nelle analisi alla vigilia delle Olimpiadi di Londra. Erano trascorsi solo quattro anni. La squalifica fu conseguenza fisiologica. Ripartire non era scontato. Karolina Kostner, pattinatrice e fidanzata storica lo lasciò, lo sport, come avviene in situazioni simili gli voltò, le spalle. Toccato il fondo, mise insieme brandelli di vita sparsi qua e là: «Quel giorno ho capito di essere in un labirinto immenso e apparentemente senza via d’uscita, nel quale brancolavo da anni. Un labirinto nel quale avevo perso tutto. La persona che ero, la mia fidanzata, la credibilità, la dignità. Solo ora ne sono uscito». Così parla da sopravvissuto «a un’imboscata, una macchinazione subdola e crudele che in altri momenti mi avrebbe annientato». E da uomo sposato, finalmente libero dai fantasmi.