Maudit moda

Ai poeti maledetti Adelphi e il Saggiatore dedicano due nuovi volumi: Ciò che si trova solo in Baudelaire, libro postumo di Roberto Calasso, e una Stagione all’inferno del "veggente" di Charleville, curato da Edgardo Franzosini già autore di Rimbaud e la vedova.

Maudit moda

Geniali, sregolati, bohémien, mal visti dalla imperante società borghese. Dediti alle droghe, all’alcol, a qualsiasi tipo di sostanza e a ogni genere di vizio. Li chiamavano maledetti grazie a una intuizione di Paul Verlaine che, nel 1883, pubblicò sulla rivista Lutèce alcuni saggi dedicati a certi poeti che accomunò proprio con quella definizione: poètes maudits. I due più celebri della cerchia, diventati poi, nel tempo, delle autentiche rockstar furono, senz’alcun dubbio, Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud. Proprio a loro Adelphi e il Saggiatore dedicano due volumi da poco arrivati nelle librerie: Ciò che si trova solo in Baudelaire, libro postumo di Roberto Calasso, e una nuova edizione della mitologica Stagione all’inferno del poeta di Charleville, tradotta e curata da Edgardo Franzosini (con annessa una gustosa prefazione di Patti Smith).

alla riscoperta dei poeti maledetti
L’edizione di Una stagione all’inferno di Rimbaud tradotta da Franzosini con l’introduzione di Patti Smith (Il Saggiatore).

Calasso e la grandezza di Baudelaire

«Baudelaire è stato il primo poeta non italiano che ho veramente letto. Mio nonno a casa sua aveva una grande biblioteca ed un bellissimo studio. Subito prima dello studio c’era una stanza completamente foderata di libri che aveva al centro un grande tavolo pieno di carte. Da bambino ci andavo spesso, guardavo cose di cui non non sapevo niente e fu lì che trovai una copia delle Fleurs du mal, in una preziosa edizione pubblicata negli Anni 20 da Crés, un editore estremamente elegante dal punto di vista tipografico. Rubai il libro a mio nonno. È stato il primo e unico libro che abbia mai rubato», ha raccontato Calasso in una famosa intervista apparsa nell’autunno del 2012 sulla Paris Review, che testimonia l’antica passione per il poeta parigino a cui l’autore aveva già dedicato un’altra monumentale opera intitolata La folie Baudelaire. Non sorprende quindi che Adelphi abbia deciso di pubblicare questo libretto postumo di Calasso, dopo l’accoppiata Bobi e Memè Scianca usciti curiosamente il giorno della sua morte, dove lo scrittore ed editore fiorentino ha voluto concentrarsi su ciò che costituisce la singolarità irriducibile di Baudelaire che con la propria poetica e visione del mondo ha condizionato irrimediabilmente tutto ciò che successivamente si è poi chiamato “il moderno”.

Baudelaire e Rimbaud, la riscoperta dei poeti maledetti nei libri di Calasso e Franzosini
Ciò che si trova solo in Baudelaire, libro postumo di Calasso (Adelphi).

 

Se in La folie ci sono Parigi e tutto il mondo in cui il poeta maledetto si è formato, in questo volume è messa al centro la figura stessa di Baudelaire, l’unico che può far convivere in sé contemporaneamente un animo da rivoluzionario e da gesuita. «Baudelaire critico non si è sbagliato mai», disse Valery, ci permettiamo di convenire con Alessandro Piperno che recentemente su La Lettura ha scritto che «a guardare bene, non ha sbagliato mai neanche il Baudelaire artista, per non parlare dell’esteta e del filosofo». La lettura di Ciò che si trova solo in Baudelaire di Roberto Calasso è l’ennesima prova che lo testimonia.

La Milano di Rimbaud ricostruita da Franzosini

Ad Arthur Rimbaud Edgardo Franzosini aveva già dedicato una piccola gemma intitolata Rimbaud e la vedova, sottile volume edito da Skira che narra il presunto passaggio del giovane poeta francese da Milano tra l’aprile ed il maggio del 1875.
Nel 1875 Arthur Rimbaud ha appena abbandonato la letteratura. Da lì a poco diventerà mercenario, inserviente in un circo, mercante d’armi, commerciante d’avorio, contrabbandiere di caffè. Franzosini parte dal ritrovamento di un bristol, un biglietto da visita, su cui il poeta appuntò un indirizzo: “39, Piazza del Duomo, terzo piano”, per partire con la sua indagine e iniziare il  racconto alla ricerca di prove che possano dimostrare l’assoluta certezza del soggiorno meneghino di Rimbaud.

 

alla riscoperta dei maledetti Rimbaud e Baudelaire
Edgardo Franzosini, Rimbaud e la vedova (Skira).

 

Come un novello Sherlock Holmes, Franzosini si mette sulle tracce del poeta passando al setaccio varie testimonianze e analizzando puntualmente alcuni documenti dell’epoca. Pare che Rimbaud arrivò esausto a Milano dopo aver attraversato la Svizzera a piedi e stramazzò letteralmente al suolo una volta giunto in Piazza del Duomo. Qui una «vedova molto civile» (per citare le parole di Paul Verlaine) lo ospitò a casa sua, al terzo piano del palazzo tra via Santa Radegonda e via San Raffaele, al numero 39 della piazza dove oggi svetta La Rinascente. Vengono così ricostruiti i movimenti del giovane poeta tra corso Vittorio Emanuele, via Monforte, via Orefici e le passeggiate sui bastioni di Porta Venezia all’ombra degli ippocastani. Vengono sollevate inoltre delle illazioni sul rapporto tra Rimbaud e la non più giovane signora e tra Rimbaud e la scena artistica milanese dell’epoca. Non dimentichiamoci che in quel periodo a Milano c’era una frequentazione dei salotti culturali molto intensa. C’erano, per citarne alcuni, Giovanni Verga, c’erano gli Scapigliati e Carlo Dossi. Anche se, pare, che l’autore di Una stagione all’inferno li ignorò deliberatamente. Con grazia ed eleganza Franzosini ricostruisce questo misterioso frammento della vita del ragazzo di Charleville e lo regala al lettore «andando con i pugni nelle tasche sfondate tra le locande e le osterie «tristissime e schifosissime» della Milano di allora e descrivendo i tormenti del maledetto per antonomasia che in quel momento cruciale della propria esistenza dava l’addio definitivo alla poesia. Per vagabondi dell’anima.

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