A Saad story

Nicolò Delvecchio
16/07/2021

Mentre il Libano sta vivendo una delle peggiori crisi della sua storia, Hariri rinuncia all'incarico di formare un nuovo governo dopo un anno di stallo. Chi è il leader politico più influente del Paese dei cedri.

A Saad story

Il Libano sembra destinato a non trovare pace. Il 15 luglio Saad Hariri, il primo ministro incaricato di formare un governo dopo quasi un anno di esecutivo provvisorio, ha rinunciato all’incarico a causa di uno scontro con il presidente della Repubblica Michel Aoun. È un colpo durissimo per un Paese che, dopo la violentissima esplosione del porto di Beirut del 4 agosto 2020, ha visto precipitare drammaticamente la sua economia, già non particolarmente florida. Negli ultimi tre anni il Pil pro capite è calato del 40 per cento, e nel 2020 il tasso di disoccupazione è salito dal 28 al 40 per cento. L’annuncio della rinuncia di Hariri ha fatto crollare la lira libanese, che da settembre ha perso il 90 per cento del proprio valore. Nel Paese mancano beni di prima necessità, i blackout sono sempre più frequenti e, cosa ancora più drammatica, non c’è nemmeno un governo in grado di poter materialmente fare qualcosa. La Banca Mondiale ha inserito questa crisi economica nella top 3 delle peggiori in assoluto dal 1850 a oggi.

Un Paese in stallo dopo l’esplosione di Beirut

Dopo l’esplosione del porto, il primo ministro Hassan Diab ha rassegnato le dimissioni e da allora il Parlamento non è mai riuscito a esprimere un nuovo esecutivo. Diab è ancora in carica, ma in esercizio provvisorio e con poteri molto limitati. Hariri, che ha ricevuto l’incarico a ottobre, dopo mesi di colloqui sembrava pronto a formare il governo, ma l’ennesimo dietrofront è arrivato nel momento decisivo. L’incontro con Aoun è durato pochissimo, i due si sono accusati a vicenda di aver sabotato le trattative e il Libano si ritrova ancora punto e a capo. A complicare le cose i vincoli posti dalla Costituzione che assegna le tre principali cariche dello Stato su base confessionale: il presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita, il presidente del Parlamento un musulmano sciita, il primo ministro un sunnita. Anche per questo è così complicato trovare un primo ministro che possa guidare il governo. Hariri, già due volte alla guida di un esecutivo, è il politico sunnita più conosciuto e influente del Paese. Alternative al momento non ce ne sono, e le pressioni internazionali – di Stati Uniti e dei partner occidentali – per porre rimedio a una situazione insostenibile non sono servite a nulla.

Chi è Saad Hariri, figlio dell’ex premier Rafiq Hariri

La carriera politica di Saad Hariri cominciò in modo drammatico nel 2005: il 14 febbraio di quell’anno, infatti, il padre Rafiq, ex primo ministro del Libano, venne ucciso in un attentato esplosivo i cui mandanti sono tuttora ignoti. I sospetti ricaddero sul governo siriano, militarmente presente nel Paese dal 1986, e su Hezbollah, i cui legami con Damasco erano – e sono – molto stretti. Alla morte di Rafiq Hariri seguirono manifestazioni di piazza che videro la partecipazione di decine di migliaia di persone, la cosiddetta Rivoluzione dei cedri, il simbolo del Libano. Il governo filo-siriano di Omar Karami si dimise, le truppe straniere lasciarono il Paese e Saad Hariri divenne il leader del partito Movimento il Futuro, di centrodestra.

Saad fu quindi subito designato come l’erede di Rafiq. Nato in una famiglia povera ma diventato imprenditore di successo per il legami con la famiglia reale saudita (e inserito, negli Anni 80, tra i 100 uomini più ricchi al mondo da Forbes), Hariri senior lasciò al figlio in eredità più di 4 miliardi di dollari. Saad, nato e cresciuto a Riad, dove si era stabilita la sua famiglia, ha studiato economia a Georgetown. Da leader del partito riuscì, nel 2006, a formare la coalizione filo-occidentale e anti-siriana 14 marzo, insieme con le Forze Libanesi di Samir Geagea e con il Partito Socialista Progressista di Walid Jumblatt. Saad, leader del Movimento, non fu però scelto – per inesperienza – come primo ministro, carica che andò al suo collega di partito Fouad Siniora.

Saad Hariri, primo ministro del Libano

L’occasione arrivò con la vittoria delle elezioni del giugno 2009, dopo le quali Hariri ricevette dal Presidente Michel Souleiman l’incarico di formare un nuovo governo. Dopo tre mesi di trattative serrate con Hezbollah e con il Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun (l’attuale Presidente della Repubblica) dell’opposizione, riuscì a formare un governo di unità nazionale insieme ai suoi avversari politici. Non fu un’esperienza particolarmente proficua, perché la scelta di Hariri di collaborare con il Tribunale speciale per il Libano, istituito per indagare sull’omicidio del padre, portò alle dimissioni dei ministri di Hezbollah (l’organizzazione era principale indagata dell’attentato) e alla caduta del governo.

Saad Hariri e i legami con l’Arabia Saudita

A fine 2016 Hariri diventò nuovamente primo ministro. Nel novembre 2017 durante una visita in Arabia Saudita, Paese da sempre molto vicino alla sua famiglia e al suo partito, annunciò le dimissioni da primo ministro, denunciando l’eccessiva interferenza dell’Iran (e di Hezbollah, da sempre alleato di Teheran) nella politica libanese. Un fatto senza precedenti. Hariri si dimise con un discorso in tivù trasmesso direttamente da Riad in cui appariva provato e non particolarmente convinto delle sue parole. Aoun non accettò le dimissioni per aspettare il suo ritorno in patria, cosa che avvenne solamente dopo due settimane e grazie all’aiuto della Francia (Hariri e famiglia sono cittadini francesi).

In quei 14 giorni di Hariri si seppe poco o nulla. Una settimana dopo aver annunciato le dimissioni il suo aereo atterrò a Beirut, ma senza di lui. A lungo si pensò che fosse ostaggio della famiglia reale saudita dei Saud, in quel periodo scossa dalle purghe volute dal principe ereditario Mohammed Bin Salman contro oppositori e membri della sua stessa famiglia. Le parole di Hariri suonarono strane sia per il contesto in cui furono pronunciate, sia perché Hezbollah ha sempre fatto parte della sua coalizione, nonostante la differenza di vedute. Al suo ritorno a Beirut revocò le dimissioni e continuò a guidare l’esecutivo fino al 2019. Nell’ultimo anno del suo governo, il Paese è stato scosso da una serie di proteste motivate dalla crisi economica. Adesso, la situazione è ancora peggiorata, ma non c’è più nemmeno un governo contro cui manifestare.