Fine anno è anche tempo di bilanci e proviamo a farlo con la letteratura, interpellando alcuni nomi autorevoli e noti della critica, un mondo che sempre più si ritrova a muoversi in una direzione ostinata e contraria, riprendendo il titolo dell’antologica di Fabrizio De André, rispetto al mainstream culturale, quell’imponente dispiegamento di mezzi commerciali, promozionali e informativi (i classici supplementi culturali di alcuni quotidiani) che segue, com’è normale che sia, più le logiche del mercato che quelle della qualità e originalità degli autori. A concorrere a questo effetto mainstream sono alcuni trend in atto da tempo e che si rafforzano di anno in anno. Uno dei più rilevanti è senza dubbio la mediatizzazione, che non riguarda solo il modo con cui gli autori si esibiscono davanti al loro pubblico, ma il modo stesso di fare scrittura.
Libri sincronizzati con attualità e comunicazione di massa
Gianluigi Simonetti, critico letterario, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna, osserva: «Guardiamo alla premiazione dell’ultimo Strega, c’è una studiata miscela di glamour e impegno civile con cui si tende a rimpiazzare ciò che una volta si chiamava poetica. Ma la cosa più importante è che l’attenzione alla comunicazione, presente nel dna di questi scrittori, entra nel tessuto formale dei libri che hanno più o meno tutti qualche aspetto strutturale o tematico sincronizzato con l’attualità e adeguato alla comunicazione di massa. Questo vale per l’opera che ha vinto, Spatriati di Mario Desiati, che intercetta la questione dell’identità di genere, e per Veronica Raimo, la vincitrice forse morale e sicuramente di mercato, che non a caso ha vinto lo Strega Giovani assegnato al romanzo commercialmente con più potenzialità».

Gli stessi equivoci che si ritrovano nei supplementi culturali e nei blog
Questa divaricazione tra i giudizi del vasto pubblico dei lettori e addetti ai lavori e di chi fa il critico letterario di professione non riguarda solo le prestigiose vetrine dei premi letterari, ma anche le valutazioni sui migliori libri dell’anno. Simonetti, che ha appena lanciato insieme ad altri Snaporaz, una nuova testata giornalistica digitale dedicata alla cultura («A pagamento», sottolinea, «perché la qualità degli autori è giusto pagarla»), ne è convinto: «C’è qualcosa che non va in tutte queste classifiche, in cui non mi riconosco molto, anche quelle di qualità, che rivelano secondo me una grande confusione, cose belle accostate ad altre molto meno interessanti. Riproducono gli stessi equivoci che si ritrovano nei supplementi culturali e nei blog, in cui si mescola il grano col loglio. Vuol dire che la confusione è proprio penetrata nei lettori, anche quelli “forti”, e non solo nelle strategie dell’industria culturale».

Sintassi troppo elementare, che richiama certe forme della scrittura sul web
Sulla stessa linea d’onda Raffaele Donnarumma, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’università di Pisa, che ha da poco pubblicato il suo primo romanzo La vita nascosta (ll ramo e la foglia edizioni) ed evidenzia come la comunicazione mediatica e sui social stia contaminando il modo di scrivere e la postura dei giovani scrittori: «Non c’è solo l’adozione di uno stile semplificato, con una sintassi elementare, che richiama certe forme della scrittura sul web, è proprio il modo in cui questi scrittori si atteggiano, con un’esibizione del sé e un appello all’emotività molto marcati. Tende a sparire il narratore astratto, disincarnato, e sempre più nei libri a parlare è l’autore in carne e ossa. Non a caso c’è una proliferazione di scritture autobiografiche, in cui lo scrittore racconta di sé, in prima persona, di quello che realmente gli è accaduto senza aver l’aria di mistificare o mentire».

Un ruolo importante ha il medium tradizionale per eccellenza, la tivù
In questo processo di mediatizzazione, come si diceva all’inizio, un ruolo importante lo gioca ancora il medium tradizionale per eccellenza, la televisione. «Sono narratori-comunicatori che non si reggerebbero senza la loro presenza in studio. In questo, la televisione conferma di essere un medium tutt’altro che vecchio. In più, la tivù insegna il fascino del racconto della vita in diretta, di un effetto di realtà e di un presente continuo: non a caso, in molti romanzieri il presente ha spodestato i tempi storici. Questo debito nei confronti dell’immaginario e delle strutture del racconto televisivo è anche in scrittori che guardano alla tivù con sospetto o sdegno: in fondo, anche il ciclo di Antonio Scurati su Mussolini è impensabile senza i programmi di storia della Rai – non a caso, dedicati spesso al Ventennio o al nazismo. E anche qui gioca, insieme a una specie di rivalsa contro la televisione e alla logica del romanzo-fiume – o dovremmo dire del romanzo serial? – la stessa logica televisiva dell’attualizzazione, con lo spettro di un ritorno dei fascismi».
Trend ricorrenti: identità di genere, ambientalismo, un certo esotismo letterario
C’è poi l’ampio ricorso ai trend della comunicazione mediatica: identità di genere, ambientalismo, un certo esotismo letterario (la Berlino di Desiati, Latronico e della Raimo). «Prendiamo il caso di Tasmania di Paolo Giordano: scrive di temi di assoluto rilievo e urgenza, ma in più ci mette una salsa narrativa che funziona benissimo, perché dà al pubblico quello di cui si crede che oggi abbia bisogno: una storia lineare, il contatto diretto con il personaggio-autore, che conosce come personaggio televisivo, uno stile semplice, l’apprendimento di contenuti e posizioni etiche ripaganti. Questo è un aspetto evidente in molta narrativa degli ultimi anni: vuole avere qualcosa di positivo da insegnare».

«Ogni anno escono tre o quattro romanzi italiani importanti»
Ma la letteratura di qualità, nei giudizi della critica, che spazio ha avuto in questo 2022? Filippo La Porta, saggista e critico letterario, rimarca il valore della produzione italiana. «Contro ogni snobismo esterofilo: ogni anno escono tre o quattro romanzi italiani importanti, che ci dicono una verità del nostro tempo, che esprimono una visione del mondo e del destino, in cui poterci riconoscere. E non solo ci raccontano storie, ma contengono delle costruzioni verbali capaci di precisione e suggestione, come una volta ebbe a dire Giovanni Raboni. Si tratta di discese agli inferi, catabasi: gli inferi della Repubblica di Salò o del neofascismo, del sadomaso, del presunto tradimento affettivo… Peccato che siano sommersi da tutti gli altri che si pubblicano, e sono troppi».

«Un romanzo di 800 pagine è anacronistico eppure prezioso»
Per La Porta quattro opere meritano una segnalazione particolare. La prima è il fluviale Ferrovie del Messico, edito da Laurana in una collana diretta da Giulio Mozzi, dell’astigiano Gian Marco Griffi. «Un romanzo di 800 pagine è anacronistico per una umanità stordita dal flusso debordante di informazioni e con una capacità di concentrazione quasi ridotta a zero. Eppure gli anacronismi possono rivelarsi spazi preziosi di libertà individuale. Quello di Griffi è un romanzo epico-comico tra l’Italia della Repubblica di Salò e una fantasmatica America Latina, affollato di personaggi, tra cui Hitler e Eva Braun, tentato dalla satira e scritto in una prosa che, imitando gaddianamente il groviglio della realtà, riesce a dargli un ordine mirabile, una sintassi narrativa quasi classica».

Un’altra opera segnalata da La Porta è Continente bianco (Bollati Boringhieri) di Andrea Tarabbia, lo scrittore di Saronno che ha vinto nel 2019 il premio Campiello con Madrigale senza suono. «Chi è oggi la più inequivocabile incarnazione dell’altro, del diverso in senso antropologico e ideologico?», si chiede La Porta. «Con ogni probabilità un fascista del terzo millennio, paranoico e violento. Tarabbia ha scelto di calarsi, intrepidamente, nella mente e nel cuore di questo alieno riprendendo un romanzo postumo, di Goffredo Parise, L’odore del sangue, scritto nel 1979. Al di là di qualche effetto splatter, il romanzo si inabissa in una alterità spaventevole, perturbante, che pure un poco ci appartiene, aiutandoci a decifrarla. Della stessa crudezza e verità sono Fame blu di Viola Di Grado (La nave di Teseo) ambientata in una slabbrata Shanghai che sembra uscita da Blade runner, e Maledetto Vronskij di Claudio Piersanti (Rizzoli), scritto nel 2021 e finalista nell’ultimo Strega, un’opera che mira a dirci, alla Stendhal, l’aspra verità su noi e sul mondo».