La stagione di Alessandro Profumo in Leonardo volge all’epilogo. L’accusa che muove al manager il nuovo governo è semplice: aver contribuito attivamente a consegnare il settore della Difesa nelle mani di Pd e 5 stelle e della loro politica filo-francese. Inutile che ora il manager cerchi di stringere alleanze con chiunque pur di garantirsi, nel rinnovo del cda previsto per il prossimo aprile, almeno la presidenza. Una tattica che gli aveva salvato la poltrona quando, all’indomani della vittoria dei pentastellati alle Politiche del 2018, era subito corso a rendere omaggio a Luigi Di Maio, vicepresidente del Consiglio nei due governi Conte e ministro degli Esteri in quello di Mario Draghi. Troppo tardi.
I tentativi di resistere alla guida di Leonardo sono inutili
Salvare il soldato Arrogance, soprannome che accompagna da sempre Profumo nella sua lunga carriera, è oramai impossibile, e i suoi tentativi di resistere sono inutili. E perfino controproducenti. Organizzare pranzi o cene natalizie (a casa, con la collaborazione della moglie Sabina Ratti), non possono ribaltare una decisione già presa. Così come l’aver rilasciato lo scorso ottobre al quotidiano Libero un’intervista in cui, tra lo sconcerto della business community che ne conosceva le opposte simpatie politiche, l’ex banchiere salutava entusiasticamente la vittoria del centrodestra e il positivo contributo al Paese che sarebbe arrivato da Giorgia Meloni e il suo governo. A nulla valgono anche le ultime operazioni fatte per rispondere a chi accusava la società di immobilismo. Nelle scorse settimane Leonardo ha comunicato il perfezionamento della fusione tra la controllata statunitense Leonardo Drs e la società israeliana Rada Electronic Industries, con automatica quotazione della prima. Ma non basta. Il suo lavoro in una grande azienda come il colosso italiano dell’industria bellica non ha dato i frutti sperati. I cattivi risultati economici hanno visto ridurre notevolmente il suo valore di Borsa in questi ultimi cinque anni, e questo nonostante l’attuale boom del settore. E pensare che quando era alla guida di Unicredit, il banchiere di provata fede Pd, tanto da votare nel 2007 alle primarie del partito che incoronarono Walter Veltroni segretario, decise di chiudere il “rubinetto” dei prestiti al settore delle armi. Una decisione etica che fu salutata con molto favore dai liberal sia in Italia che all’estero.

Da Unicredit a Mps fino all’industria militare
Dopo l’addio non senza polemiche in Unicredit (era entrato in rotta di collisione con alcuni soci e il presidente Dieter Rampl) l’approdo al Monte dei Paschi. Un’avventura che gli ha portato tanti guai giudiziari e una condanna in primo grado per aggiotaggio e false comunicazioni sociali ora in attesa di appello. Dopo Siena, ironia della sorte per chi aveva deciso di non finanziare chi produceva armi, la guida di Leonardo che è l’epicentro della nostra industria militare. Ma l’ex banchiere non è nuovo ai cambiamenti di idea. Nel febbraio del 2007 la sua firma, con quella di altri manager di rango, compariva in calce a un manifesto sul ricambio generazionale che impegnava i contraenti ad abbandonare ogni incarico operativo una volta raggiunti i 60 anni. Proposito largamente disatteso.
La rivoluzione di Crosetto alla Difesa
L’addio di Profumo da Leonardo ha un nome: Guido Crosetto. Il nuovo ministro della Difesa vuol portare avanti una specie di rivoluzione e scuotere un ministero che da anni si è abituato a galleggiare qualsiasi sia il governo che si alternava al potere. La parola d’ordine è una sola: dedizione totale, senza orari né inutili formalità. Uno stile completamente diverso rispetto a quello tenuto da Roberta Pinotti e Lorenzo Guerini che l’hanno preceduto al dicastero. Nessuna delega e zero affidamenti fiduciari. E poi colloqui continui con i vertici e riunioni ristrette per approfondire in tempo reale le questioni più importanti sul tappeto: dalla guerra in Ucraina, ai rapporti con i partner europei, alle accelerazioni per decidere i programmi sul rinnovo degli armamenti nazionali. È indicativo che Crosetto, nei corridoi e negli uffici del quartier generale romano di Piazza Montegrappa, non viene definito ministro ma Comandante. Lui ha pochi amici e un solo alleato: gli Usa. «Italia e Stati Uniti continueranno a operare insieme per fronteggiare le sfide internazionali». Così ha detto il titolare della Difesa nel corso del colloquio telefonico con il suo omologo americano Lloyd Austin. E la stessa Giorgia Meloni lo vede come suo ambasciatore a Washington.

Per portare avanti questa rivoluzione Crosetto ha mantenuto direttamente sotto di sé la gestione delle questioni relative all’Aeronautica militare e all’Arma dei carabinieri mentre ha affidato l’Esercito alla senatrice Isabella Rauti (Fratelli d’Italia) e la Marina Militare al deputato Matteo Perego di Cremnago (Forza Italia). La prima, membra della commissione Difesa del Senato nella scorsa legislatura, parteciperà a eventi manifestazioni e fiere in Europa, Africa e America del Nord. Il secondo, già nelle commissioni Difesa ed Esteri della Camera nella scorsa legislatura, in Asia, Oceania e America del Sud. Nei giorni scorsi Giappone, Regno Unito e Italia hanno siglato un accordo per sviluppare congiuntamente un nuovo caccia stealth superiore all’F-35 e all’Eurofighter prodotto negli Usa. «Stiamo compiendo il passo successivo nel rafforzamento del nostro partenariato trilaterale. Annunciamo il Global Combat Air Programme, un ambizioso progetto per lo sviluppo di un aereo da caccia di nuova generazione entro il 2035», si legge in una dichiarazione congiunta della presidente del Consiglio italiano, del premier britannico, Rishi Sunak, e di quello giapponese, Fumio Kishida. Va segnalato che inevitabilmente Francia e Germania non sono presenti nell’operazione. È iniziata l’era Crosetto, al contempo è finita quella di Arrogance.