Vanessa Scalera e Linda Caridi sono le protagoniste di Lea, in onda questa sera, martedì 23 novembre 2021, su Rai 1 alle 21.25. Diretto da Marco Tullio Giordana, il biopic racconta la storia di Lea Garofalo, testimone di giustizia assassinata dalla ‘ndrangheta il 24 novembre 2009, e della figlia Denise, che ebbe il coraggio di testimoniare contro il padre in quanto mandante dell’omicidio.
Lea: le cose da sapere sul film in onda stasera su Rai 1 alle 21.25
Lea: la trama
Lea si propone di ripercorrere le tappe salienti della storia della protagonista, Lea Garofalo, in un viaggio che si divide tra la Calabria e la Lombardia, tra Petilia Policastro, Bergamo e Milano. Nata in un paese dove essere donna equivaleva a non sognarla neppure la libertà e con un destino già segnato dalla storia della sua famiglia (il fratello Floriano era il capocosca locale, il compagno Carlo gestiva giri di spaccio e usura nel capoluogo lombardo), la giovane fa di tutto per dare alla figlia Denise un futuro diverso. La forza di opporsi a una vita scomoda e ribellarsi all’omertà e alle regole della criminalità organizzata, però, le costerà caro. A metà tra la riscrittura e la ricostruzione storica fedele, la pellicola riporta i risultati dell’inchiesta giornalistica e le sentenze che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Carlo Cosco, responsabile dell’assassinio della compagna.
Lea: il cast
Accanto a Vanessa Scalera e Linda Caridi, che hanno interpretato rispettivamente i ruoli di Lea Garofalo e Denise Cosco, nel cast di Lea figurano anche Alessio Praticò (Carlo Cosco), Mauro Conte (Floriano Garofalo), Matilde Piana (Santina Miletta), Roberta Caronia (Enza Rando), Bruno Torrisi (avvocato di Cosco), Annalisa Insardà (Renata Plado-Cosco), Andrea Lucente (Carmine Venturino), Paco Reconti (Antonio Comberiati), Francesco Reda (Giuseppe Cosco), Antonio Pennarella (Massimo Sabatino), Giulia Lazzarini (signora Orlandi) e Diego Ribon (Don Luigi Ciotti).
Lea: la vera storia di Lea Garofalo che ha ispirato la pellicola
Lea: un’infanzia complicata e un amore fatale
Nata nel 1974 a Petilia Policastro, piccolo centro calabrese a pochi chilometri da Crotone, Lea Garofalo dovette fare i conti, sin da bambina, con una vita segnata dall’ombra della mafia. Negli Anni ’70, infatti, il padre, Antonio Garofalo, signore dei traffici di stupefacenti col Nord, venne ucciso in una feroce guerra di ‘ndrangheta, la faida di Pagiarelle. L’uomo, freddato negli scontri tra ‘ndrine locali, lasciò orfane due figlie e l’erede al comando, Floriano, che vendicò l’omicidio del capofamiglia, diventando a tutti gli effetti il nuovo boss. Dopo anni privi di serenità, trascorsi nel terrore di blitz e agguati, appena quattordicenne, Garofalo si innamorò di un ragazzo di qualche anno più grande, Carlo Cosco. Non si trattava di un amico d’infanzia e nemmeno di un compagno di scuola, ma di un giovane ‘ndranghetista. Più che mosso da un sentimento sincero, il ragazzo vide nella relazione con lei un trampolino di lancio che gli avrebbe permesso di entrare di diritto negli affari di famiglia, scalare velocemente la gerarchia e conquistare il potere. Scenario che, effettivamente, si concretizzò: conquistata la fiducia dei familiari della fidanzata, venne spedito a Milano per gestire lo smercio di droga. Innamorata e testarda, la ragazza non capì immediatamente le reali intenzioni di Cosco e abbandonò tutto per seguirlo. Rimasta incinta, nel 1991, diede alla luce una bambina, Denise.
Lea: la ribellione e l’inizio del percorso come testimone di giustizia
Col passare del tempo, Garofalo iniziò a realizzare cosa volesse dire stare accanto a un mafioso e dare priorità assoluta agli affari, a scapito degli affetti e di una quotidianità libera dalla paura. Ben presto, decise che quello non era il futuro che desiderava per la figlia e così, durante un colloquio in carcere con Cosco, gli disse che lo avrebbe lasciato. Prese dunque Denise e fuggì via. Le due vissero anni difficili, fatti di solitudine e sacrifici, costrette a chiedere ospitalità e a non abbassare mai la guardia. La situazione divenne presto insostenibile e, nel 2002, Garofalo decise di collaborare con la giustizia. La interrogarono per ore e, raccolta la sua testimonianza, la inserirono nel programma di testimoni di giustizia. Vagò da un alloggio all’altro, sotto falso nome, senza amici né sostegni economici. Nel 2007, l’ennesimo atto di coraggio: denunciò i familiari, mettendo se stessa e la figlia in una posizione di altissimo rischio. E, contemporaneamente, le venne tolta la protezione perché la sua collaborazione non fu reputata abbastanza significativa. Nonostante la disperazione, non si arrese: fece ricorso al Tar e ottenne il reintegro.
Lea: l’omicidio
Nei due anni successivi, le cose cambiarono. La famiglia, con la morte del fratello, era ormai ai margini dei traffici e l’ex compagno, al quale non aveva mai negato di vedere la figlia, sembrava una persona diversa. Forse perché allo stremo delle forze, stanca di non avere una dimora fissa e un lavoro, Garofalo decise di uscire dal programma e riallacciare i contatti con Cosca. L’uomo accettò la proposta e le offrì un appartamento a Campobasso. Quelle buone intenzioni, tuttavia, si dimostrarono essere solo apparenza. E, dopo un tentativo di rapimento, nel quale negò di essere coinvolto, la pregò di ritornare a Milano per discutere del futuro di Denise. Colpita nel suo punto debole e mossa dal bisogno di denaro, acconsentì. La sera del 24 novembre 2009, Garofalo e Cosca si incontrarono per parlare. L’uomo la trascinò in un appartamento, la picchiò e finì per strangolarla. Poi, con l’aiuto di tre complici, bruciò il cadavere e lo sciolse nell’acido, nascondendo quel che restava in vari tombini.
Lea: le indagini, il processo e le condanne
Fu la figlia a denunciare la scomparsa della madre alle forze dell’ordine e a chiarire che fosse stata assassinata, spiegando come da tempo Garofalo fosse nel mirino dell’ex. Nell’ottobre 2010, le indagini portarono a spiccare mandati di arresto per Carlo Cosco, Vito Cosco, Massimo Sabatino, Rosario Curcio, Giuseppe Cosco e Carmine Venturino, con l’accusa di sequestro di persona, omicidio e distruzione di cadavere. I primi quattro furono condannati all’ergastolo, mentre a Venturino toccarono 25 anni di detenzione. L’unico a essere assolto per non aver commesso il fatto fu Giuseppe Cosco. La Corte, inoltre, dispose anche il risarcimento dei danni per le parti civili: la figlia Denise, testimone chiave del processo, la madre e la sorella della vittima e il comune di Milano.