Si spostano di frequente, accettano incarichi da committenti diversi, passano gran parte del proprio tempo online, sono flessibili e altamente qualificati: sono i nomadi digitali. Lavoratori dipendenti o freelance che svolgono il proprio lavoro interamente da remoto, scegliendo in libertà il luogo in cui vivere e abitare. Nel mondo sono 35 milioni, contribuiscono all’economia globale con 787 miliardi di dollari l’anno, in media guadagnano circa 1.700 euro al mese e se fossero una nazione sarebbero la 41esima più popolata del Pianeta. E molti Stati infatti stanno iniziando a fiutare l’affare, offrendo soggiorni e visti ad hoc.
Le community dei remote worker
L’unica differenza con un qualsiasi altro lavoratore consiste nel rifiuto del “posto fisso” in ufficio, per uno stile di vita più flessibile, reso possibile unicamente dalla qualità degli strumenti digitali a disposizione e dalla disponibilità di una buona connessione Internet, a prescindere da luogo in cui ci si trovi. Sono molte anche le community e associazioni che uniscono i remote worker in Italia, come l’Associazione Italiana Nomadi Digitali, nata nel 2021, ma anche la community NDI – Nomadi Digitali Italiani. Queste hanno l’obiettivo di contribuire attivamente a rendere l’Italia una destinazione attrattiva, accogliente e ospitale per remote worker e nomadi digitali provenienti da ogni parte del mondo.
Il nomade digitale italiano: donna, ben istruita, di 37 anni e collaboratrice di un’azienda
Secondo il Rapporto annuale sul nomadismo digitale in Italia condotto dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali e da Airbnb e giunto nel 2022 alla seconda edizione, il 46 per cento degli intervistati ha esperienze pregresse di nomadismo digitale, un alto livello di istruzione (il 42 per cento ha una laurea e il 31 per cento un master o un dottorato) e un’età media di 37 anni. Un profilo che si discosta dal luogo comune di giovanissimi freelance alla ricerca dell’avventura. Sono in prevalenza le donne ad abbracciare questo stile di vita: 55 per cento contro il 45 degli uomini. Ad aver già sperimentato esperienze di nomadismo digitale non sono unicamente professionisti freelance, ma anche dipendenti o collaboratori di aziende, per il 52 per cento, contro il 38 per cento degli autonomi.

L’Italia concede visti speciali ai nomadi digitali stranieri
Una maggiore accoglienza verso questa popolazione in espansione rappresenta una ghiotta opportunità economica per le strutture ricettive. Vari Stati hanno fiutato l’affare, dato che il nomade digitale porta capitali nella zona in cui decide di trasferirsi. L’Italia, lo scorso anno, ha varato un provvedimento per attrarre i lavoratori digitali extra Ue, concedendo loro un visto specifico, ossia al di fuori delle quote previste ogni anno dal decreto flussi, fino a un anno. Per trovare qual è il Paese europeo più amato dai nomadi digitali, il sito Ebuyer a fine 2022 ha raccolto dati basati su cinque fattori chiave, tra cui il costo della vita, l’happiness score nazionale, la velocità Internet, il sentimento sociale riguardo lo smart working. Al primo posto ci sono i Paesi Bassi, seguiti da Norvegia e Malta. L’Italia si piazza a metà classifica, al 13esimo posto, dietro a Paesi come Spagna, Portogallo e Germania. Secondo una ricerca di HomeToGo, sito che affitta case vacanze e alloggi, è però Bali, in Indonesia, la migliore destinazione per i nomadi digitali, in base a criteri quali ospitalità, presenza di coworking, attrazioni, costo della vita e diversità culturale. Classifiche a parte, l’Italia risulta una destinazione particolarmente attraente agli occhi dei remote worker: sempre secondo il rapporto dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali, il 43 per cento degli intervistati sceglierebbe il Sud Italia e le Isole come destinazione privilegiata, il 14 per cento una destinazione del Centro Italia e solo il 10 il Nord Italia. A differenza dei vacanzieri o turisti tradizionali, i nomadi digitali sono interessati a vivere esperienze di medio-lungo termine nel nostro Paese. Il 42 per cento resterebbe in Italia per periodi che variano da uno a tre mesi, il 25 per cento da tre a sei mesi, mentre il 20 per cento sarebbe disposto a fermarsi anche per più tempo.
I contro: vita difficile, costosa e la difficoltà a creare legami
Lo stile di vita del nomade digitale però non è per tutti. Naturalmente attira chi ha un lavoro che può essere svolto da remoto, come programmatori, social media manager, scrittori, blogger, fotografi e altre figure creative o quanto meno legate strettamente al digitale. Alcuni di loro hanno contratti part-time o full-time per una o più aziende, ma moltissimi lavorano in proprio, con tutta la precarietà e la fatica che ciò comporta. C’è poi il fatto che viaggiare costa, anche in Paesi dove il costo della vita è relativamente basso. E poi, semplicemente, ci sono attitudini e propensioni diverse. Negli ultimi anni sono emerse diverse testimonianze di persone che hanno provato la vita da nomadi digitali e hanno sofferto molto la solitudine e l’instabilità di essere sempre in movimento. Profili social e blog noti, che si trovano velocemente quando si comincia a fare una ricerca sul nomadismo digitale, contribuiscono a diffondere l’idea che questo stile di vita sia invece il paradiso a portata di mano. Raramente viene menzionata l’importanza di avere già un lavoro avviato che ti permetta di viaggiare con una certa rete di sicurezza.