Un peso oltre l’ostacolo

Giovanni Sofia
21/06/2021

La neozelandese Laurel Hubbard sarà la prima atleta transgender a partecipare alle Olimpiadi insieme alle donne. La sua storia, dal sostegno della federazione alle dure critiche delle colleghe.

Un peso oltre l’ostacolo

La notizia ha impiegato poco ad animare il dibattito, spaccato tra il fronte dei sostenitori e quello dei detrattori. La pesista neozelandese Laurel Hubbard disputerà i prossimi Giochi olimpici, in programma a Tokyo fra qualche settimana. Convocata dalla sua nazionale, sarà la prima atleta transgender a prendere parte alla manifestazione. Come si legge nel comunicato della federazione, ripreso dalla Cnn, competerà nella categoria femminile degli 87 chilogrammi (supermassimi), insieme ad altre quattro compagne.

Laurel Hubbard, dall’infortunio a Tokyo

A 43 anni, per l’atleta è un sogno che si avvera, reso possibile da un recente cambio al regolamento. Per lei, si tratterà della prima Olimpiade, obiettivo a lungo rincorso e a un certo punto apparso irraggiungibile. Colpa di un grave infortunio che la colpì nel 2018. «Sono commossa per l’affetto ricevuto da parte dei neozelandesi», ha spiegato Hubbard. «Tre anni fa, quando mi ruppi il braccio ai Giochi del Commonwealth, dissero che la mia carriera sportiva era giunta al capolinea. L’affetto, l’incoraggiamento e l’aroha (in Maori amore), mi hanno aiutato ad uscire dalle tenebre».


Mentre Hubbard prepara l’appuntamento atteso una vita, tuttavia, il dibattito divampa. Negli Usa, ad esempio, molti Stati stanno vietando alle pesiste transgender di competere nelle categorie femminili. Non solo la stessa atleta, nel 2018, dovette scontrarsi con le reticenze della federazione australiana, che si oppose alla sua partecipazione ai Giochi del Commonwealth. In difesa di Hubbard, arrivarono gli organizzatori dell’evento e così l’atleta gareggiò regolarmente.

Le critiche da parte delle colleghe

Sulla neozelandese sono piovute anche le critiche di alcune colleghe. La belga Anna Vanbellinghen, appresa la notizia della qualificazione per Tokyo, senza troppi giri di parole, ha definito «un brutto scherzo» la situazione venutasi a creare. Alla base di un simile commento, il fatto che Hubbard fino al 2013 partecipasse ai tornei con gli uomini. Al 2015, invece, risale l’apertura del Cio alla partecipazione di atlete transgender tra le donne, a patto che il livello di testosterone non superi le dieci nanomole per litro nei dodici mesi antecedenti alla competizione. Parametri dentro cui Hubbard rientra perfettamente.

«Riconosciamo che l’identità di genere nello sport è una questione delicata», ha detto Kereyn Smith, Ceo del comitato olimpico neozelandese, «In cui bisogna bilanciare i diritti fondamentali all’equità in gara. Da neozelandesi abbiamo una radicata cultura dell’inclusione. Ci impegniamo a supportare tutti gli atleti e a garantire il loro benessere mentale e fisico, specie in vista dei Giochi».