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D. Time – Il tempo di Lady D, il documentario in onda stasera martedì 31 agosto 2021 su Rai1, tutte le rivoluzioni della principessa

Dalla scelta di non fare voto di obbedienza a Carlo all’impegno nella campagna contro le mine antiuomo, le rivoluzioni di Lady Diana, protagonista del documentario in onda stasera su Rai1 alle 21.25

31 Agosto 2021 14:03 Camilla Curcio
Dalla ribellione contro il protocollo nuziale al rapporto con la stampa, le rivoluzioni di Lady Diana, stasera, 30 agosto 2021, su Rai1 alle 21.25

In occasione del 24esimo anniversario della morte di Lady Diana Spencer, avvenuta in un incidente stradale sotto il tunnel del Pont de l’Alma a Parigi il 31 agosto 1997, Rai Uno dedica la sua prima serata al documentario D.Time – Il tempo di Lady D, una coproduzione internazionale sulla vita della principessa, in onda stasera alle 21.25. La voce narrante della conduttrice del Tg1 Laura Chimenti guiderà i telespettatori in un viaggio tra le tappe fondamentali della vita di Lady D e dei trent’anni di storia che l’hanno vista tra i principali protagonisti della scena internazionale. Dotata di un carattere libero, ha provato a smarcarsi dai rigidi canoni della Corona, mostrandosi attenta alle battaglie e alle richieste delle minoranze. Diana, nonostante il ruolo istituzionale, così è passata in fretta da timida e giovanissima sposa a consorte impegnata in progetti benefici, spesso insieme a star del cinema e della musica. Un simile atteggiamento le è valso uno sconfinato affetto e il titolo di Principessa del popolo. Ad arricchire lo speciale anche interessanti filmati d’archivio e contribuiti inediti, che trasmetteranno al pubblico l’idea delle battaglie di cui Lady D si è fatta portavoce negli Anni ’80 e ’90. 

I gesti rivoluzionari di Lady Diana, protagonista del documentario D.Time – Il tempo di Lady D in onda stasera su Rai1 alle 21.25

Dall’incontro con il principe Carlo fino alla sua tragica morte nell’estate 1997, Diana ha sparigliato le carte del sistema reale che, fino a quel momento era avvolto in un alone di sacralità. Una ribellione, la sua, fatta di gesti che, se da un lato, l’hanno sottoposta ad una gogna pubblica spesso pesante, dall’altro l’hanno aiutata a districarsi dalle etichette, consegnandole un posto nel cuore della gente. Che, dopo anni, riusciva finalmente a riconoscersi negli occhi e nelle parole di uno dei membri di quella casa reale lontana anni luce dalle dinamiche della quotidianità delle persone comuni. Partendo dalla rottura del protocollo matrimoniale e passando per le sue scelte insolite in fatto di moda, il suo coinvolgimento nel sociale e il rapporto con la stampa, proviamo a passare in rassegna piccoli e grandi gesti di quella rivoluzione che ha reso Diana Spencer immortale.

È stata la prima sposa a cambiare le promesse nuziali

L’approccio di Diana alle nozze con Carlo è stato, senza dubbio, il preludio all’impatto che avrebbe avuto la sua entrata ufficiale nella famiglia reale. Quando le venne proposto di smettere di lavorare, si rifiutò di fare la mantenuta, conservando il suo posto come assistente in un asilo di Londra fino al matrimonio. Fu la prima sposa nella storia dei Windsor a prendere una decisione del genere. Ma i primati non finiscono qui. Dopo aver scelto autonomamente l’anello di fidanzamento da un catalogo (mai successo in passato perché, in genere, si trattava di un compito che non spettava alla futura moglie), sull’altare decise di sovvertire anche la tradizione delle promesse nuziali. A differenza della Regina Elisabetta che aveva giurato obbedienza al marito, Diana non lo fece. Promise davanti a Dio di amare Carlo, confortarlo, onorarlo e di stargli accanto in ricchezza e povertà ma, da tutte quelle formule, escluse il voto d’obbedienza. Diversi decenni dopo, anche Kate e Meghan seguirono le sue orme. 

Scelse di partorire in un ospedale pubblico

A differenza di Elisabetta e di tutti gli altri reali, che vollero partorire in casa, lontani da occhi indiscreti, Diana volle che il suo primogenito nascesse tra le mura di un ospedale pubblico. Così, nel 1982, William Arthur Philip Louis vide la luce in un’ala riservata del St.Mary Hospital. Fu proprio Lady D a inaugurare la tradizione di posare davanti alla struttura con il bambino appena dopo la nascita. Nel suo rapporto coi figli, non si lasciò mai irretire dai canoni di Buckingham Palace. Scelse lei stessa i loro nomi, li allattò ed evitò di affidarli unicamente alle tate, occupandosene in prima persona, anche se oberata di impegni. Come successe nel 1983 quando, in vista di un lungo Royal Tour in Australia, optò per non separarsi dal primogenito, ancora molto piccolo, e lo portò con sé. Nonostante i numerosi pareri contrari. Anche in merito all’educazione, impose le sue scelte senza sottostare al volere altrui: William non ebbe un insegnante privato ma fu il primo tra gli eredi al trono britannico a frequentare una scuola pubblica. 

Con lei la casa reale divenne pop

Con Lady Diana la casa reale si svecchia e le sue dinamiche iniziano ad incuriosire anche chi, fino al suo arrivo, si limitava a studiare e conoscere le vicende dei Windsor dai libri di scuola o dai giornali. Intelligente, bella, carismatica, ha convertito quella che era un’istituzione anacronistica in un mondo fatto di storie affascinanti, da raccontare attraverso letteratura, cinema e televisione (come poi, effettivamente, è successo coi numerosi biopic e documentari dedicati a lei e alla Regina Elisabetta). Quest’opera di modernizzazione della monarchia passò anche attraverso il fortissimo riscontro mediatico che l’immagine della principessa ottenne. Hollywood se ne innamorò perdutamente e la rivista People le dedicò ben 58 copertine, esaltandone un’aura non più impenetrabile e algida ma aperta e concentrata sui problemi dei meno fortunati. Fu anche grazie alla sua figura che il mondo dello spettacolo iniziò a interessarsi attivamente alla filantropia, aderendo a iniziative di beneficenza e dando a piccoli e grandi progetti umanitari lo spazio e l’attenzione che, fino a quel momento, era stata loro negata. 

Il contatto col pubblico smise di essere un tabù

Nelle occasioni e nelle visite pubbliche, Diana rifiutava le formalità e non temeva il contatto con la gente. Anzi, fu la prima reale a stringere mani e scambiare abbracci, ad accarezzare il capo dei bambini che volevano salutarla, a chiacchierare con tutte quelle persone che avevano macinato chilometri solo per vederla. Instancabile operatrice benefica, visitò i malati di tutto il mondo, sviluppò un forte interesse per cause tradizionalmente ignorate dal resto della Famiglia Reale come la lebbra e l’AIDS. Rimangono storici l’abbraccio al bambino di sette anni affetto da HIV, durante la visita all’Harlem Hospital Center di New York, e lo scatto del 1987 che la ritrae in un centro di cura per pazienti sieropositivi mentre è impegnata a stringere la mano a uno di loro, sfatando pubblicamente lo stigma secondo cui chi soffriva della malattia dovesse essere isolato perché in grado di trasmetterla anche solo con il tatto. Fu madrina e portavoce di numerose associazioni che lavoravano per l’accoglienza e il recupero di senzatetto, tossicodipendenti e anziani e non perse mai di vista il suo amore per i più piccoli, a cui continuò a dedicare attenzioni ed energie attraverso collaborazioni con fondazioni e onlus. Nel 1992, fu accolta nell’ospizio per malati e morenti di Madre Teresa di Calcutta, in India, e si intrattenne con ognuno dei 50 pazienti prossimi alla morte. Fu l’inizio di un legame spirituale tra le due. Anche le femministe iniziarono a celebrarla come un’icona di emancipazione (la principessa che non si sottomette alle regole e non si deprezza in nome del principe azzurro ma fa sentire la propria voce e difende la propria dignità) e libertà, un modello per tutte le bambine e le ragazze degli Anni ’80.

Il controverso rapporto con la stampa

Nel dialogare coi giornalisti, Lady D non si mostrò mai diversa da com’era nella quotidianità. Fu proprio questo suo essere autentica e sincera a spingerla, nel 1995, ad accettare di rilasciare alla BBC un’intervista che avrebbe fatto parecchio scalpore: ai microfoni di Martin Bashir, rivelò la sua relazione con il maggiore James Hewitt, parlò senza filtri della presenza di Camilla Parker Bowles nel suo matrimonio con Carlo (rimane famoso la frase ‘Eravamo in tre in questo matrimonio, un po’ affollato’), di un futuro in cui desiderava essere, più di qualsiasi altra cosa, la regina nei cuori delle persone e confessò pubblicamente di aver sofferto di depressione post partum, bulimia e autolesionismo, sdoganando anche un discorso sulla salute mentale che, fino a quel momento, era stata trattata come qualcosa di cui vergognarsi. Nel corso della sua vita, però, paparazzi e reporter rappresentarono spesso un grosso deterrente alla sua tranquillità. Presto divenne una delle figure più fotografate al mondo e la sfera privata finì per diventare carne da tabloid. Ai fotografi le redazioni offrivano cifre stellari per scatti, anche sgranati, della principessa. Le foto che la ritraevano con Dodi Al Fayed, ad esempio, fruttarono a Jason Fraser oltre un milione di sterline.

L’impegno per la campagna antimine

Tra i gesti più d’impatto di Lady Diana, rimane indimenticata la visita in Angola. Nel 1997, le immagini della principessa in un campo minato con casco balistico e giubbotto antiproiettile vennero trasmesse in tutto il mondo e segnarono l’inizio del suo contributo a una campagna antimine che le valse accuse di ingerenza politica da parte dei detrattori. Il suo interesse era solo uno: limitare al massimo i danni che le mine, anche dopo anni dal conflitto, continuavano a creare, soprattutto a bambini innocenti. La sua solerzia per la causa non fu vana: si presume abbia portato, seppur dopo la morte, alla firma del Trattato di Ottawa, che impose un divieto internazionale all’uso degli ordigni. 

Contro la vecchia moda di corte

L’evoluzione di Diana da indifesa ragazzina alle prime armi a donna consapevole di se stessa e del proprio ruolo si nota anche nel suo rapporto con la moda. I gonnelloni lunghi e i blazer castigati fanno presto spazio a vestiti sensuali e mai volgari, un taglio di capelli più sbarazzino e una dichiarazione di indipendenza dalla firm (la ditta, nome che aveva dato alla casa reale) che passa attraverso la libertà di farsi vedere anche in jeans e felpa, pantaloncini da corsa e sneakers. Sorda alle accuse di chi, dalle stanze del palazzo, la etichettava come vanitosa, fuori di testa, folle schiava della moda, divenne un’icona di stile che, ancora oggi, continua a dettare legge tra tendenze che non passano mai.

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