Tensioni in Kosovo: cosa sta succedendo e gli scenari

Matteo Innocenti
31/05/2023

Dopo la guerra delle targhe, quella dei sindaci. Kosovo e Serbia sono di nuovo ai ferri corti come dimostrano gli scontri che hanno coinvolto il contingente Nato Kfor. Mentre Mosca strizza l'occhiolino a Belgrado contro l'Alleanza atlantica, i leader dei due Paesi si accusano a vicenda. Lo scenario.

Tensioni in Kosovo: cosa sta succedendo e gli scenari

È di nuovo alta la tensione in Kosovo, dove due giorni fa ci sono stati scontri tra cittadini di nazionalità serba e forze della Kfor: 11 soldati del contingente italiano e 19 di quello ungherese hanno riportato ferite multiple, comprese fratture e ustioni causate da ordigni incendiari esplosivi improvvisati. Oltre 50 i manifestanti che hanno avuto bisogno di assistenza medica a seguito di scontri a Zvečan, uno dei comuni del nord del Kosovo dove la maggioranza serba, il 23 aprile, ha boicottato in massa le Amministrative che hanno portato all’elezione di sindaci di etnia albanese. Le ultime scintille sono però solo la punta dell’iceberg di una situazione irrisolta, quella dell’indipendenza del Kosovo: in un crescendo di tensioni, nonostante gli sforzi della diplomazia europea, la stabilità nei Balcani rimane una chimera.

Dopo la guerra delle targhe, nuove tensioni tra Kosovo e Serbia: cosa sta succedendo e gli scenari futuri.
Gli scontri di Zvecan, nel nord del Kosovo (Getty Images)

Gli scontri a Zvecan dopo le elezioni disertate dai serbi

Gli ultimi scontri hanno avuto origine dal voto in quattro comuni settentrionali, boicottato dalla maggioranza serba della popolazione: alle urne si è recato appena il 3,47 per cento degli aventi diritto, ovvero gli albanesi. Nonostante l’affluenza minima, il governo di Pristina ha deciso di imporre comunque l’entrata in carica di questi sindaci, mossa che ha scatenato la reazione di parte della popolazione serba che non ne riconosce l’autorità. In vista dell’insediamento dei quattro nuovi eletti, la missione Kfor guidata dalla Nato ha aumentato la sua presenza nell’area per ridurre il rischio di escalation. Che invece c’è stata: i serbi sono infatti scesi in piazza chiedendo il ritiro dei primi cittadini. Tra le cause scatenanti delle proteste anche l’irruzione e l’occupazione di alcuni uffici municipali da parte della polizia kosovara, nelle aree a maggioranza serba nel nord della regione.

Dopo la guerra delle targhe, nuove tensioni tra Kosovo e Serbia: cosa sta succedendo e gli scenari futuri.
Soldati Kfor all’esterno del municipio di Zvecan (Getty Images)

Le accuse reciproche tra il serbo Vucic e il kosovaro Kurti

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, ha accusato direttamente il primo ministro kosovaro Albin Kurti. Appellandosi ai delegati del Quintetto – Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e Italia – al lavoro per assicurare la convivenza tra i due Paesi evitando che Belgrado si avvicini troppo a Mosca, ha chiesto di «far ragionare il vostro bambino, che può causare disordini come nessun altro ha mai fatto prima. Per questo mi rivolgo a voi, perché i serbi e la Serbia vogliono la pace, non chiediamo nulla di più». Difficile del resto trovare un compromesso tra i due: Kurti, con un passato da prigioniero politico in Serbia, è un acceso sostenitore dell’unificazione con l’Albania. Il filorusso Vucic, ministro dell’informazione durante la guerra di 25 anni fa, è alle prese con un grande malcontento interno e continua a premere sul tasto del Kosovo che da sempre garantisce consensi. Invitando i serbi a manifestare pacificamente e «a non entrare in conflitto con la Nato», Vukic ha inoltre accusato Kurti di aver fomentato gli scontri, con l’utilizzo di forze speciali di polizia contro i manifestanti per forzare l’ingresso dei sindaci nei municipi. Il premier kosovaro ha da parte sua attribuito le violenze a «folle fasciste» controllate dal governo serbo, affermando di aver respinto una richiesta degli Stati Uniti di trasferire i sindaci recentemente insediati fuori dai loro uffici ufficiali.

Dopo la guerra delle targhe, nuove tensioni tra Kosovo e Serbia: cosa sta succedendo e gli scenari futuri.
Aleksandar Vucic (Getty Images)

La Nato aumenta il contingente Kfor e Mosca non perde l’occasione di attaccare l’Alleanza atlantica

Nel crescendo di tensioni, Belgrado ha radunato truppe da combattimento lungo il confine, facendo sapere che non starà a guardare se i serbi del Kosovo verranno attaccati, mentre la Nato ha deciso di aumentare di 700 unità il contingente della missione Kfor. Inoltre, «per garantire che la Kosovo Force abbia le capacità di cui ha bisogno per mantenere la sicurezza in conformità con il mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite», ha spiegato l’ammiraglio Stuart Munsch, comandante del Comando Interforze Nato con sede a Napoli, «a un ulteriore battaglione di forze di riserva è stato ordinato di ridurre i propri tempi di preparazione al dispiegamento da 14 a sette giorni, per essere pronto a rafforzare le forze Nato in Kosovo». Un potenziamento criticato da Mosca che non ha perso l’occasione di puntare il dito contro la Nato. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zacharova, le forze dell’Alleanza Atlantica in Kosovo hanno agito in modo «non professionale», provocando «una violenza non necessaria» e una «escalation» della situazione. L’Occidente, ha aggiunto, deve mettere fine alla sua «falsa propaganda» sul Kosovo. E «smettere di imputare gli incidenti in Kosovo ai serbi disperati che pacificamente, e senza armi in mano, cercano di difendere i loro legittimi diritti e libertà». La Russia sostiene «incondizionatamente» la Serbia e «segue molto da vicino gli sviluppi della situazione», ha fatto sapere il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. «Tutti i legittimi interessi dei serbi del Kosovo devono essere rispettati e non ci deve essere posto per azioni provocatorie che violino i loro diritti».

Dopo la guerra delle targhe, nuove tensioni tra Kosovo e Serbia: cosa sta succedendo e gli scenari futuri.
Albin Kurti (Getty Images)

Gelo tra Pristina e l’alleato statunitense

Negli ultimi giorni, il Kosovo è stato tra l’altro bacchettato dagli Stati Uniti, il più prezioso degli alleati di Pristina. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha infatti dichiarato che la decisione di usare la forza per accedere agli edifici municipali nel nord era stata presa contro il parere di Washington. «Penso che non siano dichiarazioni ingiuste, sbagliate e offensive, ma anche ingenue», ha detto Kurti al Guardian. «Forse il segretario Blinken le spiegherà meglio un giorno, per il momento sicuramente non è stato utile». Il premier kosovaro ha spiegato di aver parlato con Gabriel Escobar, inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani, respingendo la richiesta di spostare i sindaci in sedi diverse o di farli lavorare da casa: «Non possiamo avere sindaci Zoom, siamo una repubblica democratica che non può arrendersi alle milizie fasciste». In risposta l’ambasciatore americano in Kosovo, Jeff Hovenier, ha dichiarato al Financial Times che gli Stati Uniti annulleranno le esercitazioni militari congiunte con il Kosovo e sospenderanno gli incontri diplomatici.

Il ruolo di Mosca, che strizza l’occhio a Belgrado

Sullo sfondo delle tensioni irrisolte nei Balcani c’è poi, come dimostra l’intervento della stessa Zacharova, la guerra in Ucraina: il governo di Belgrado da tempo strizza l’occhio a quello di Mosca e sono in molti a tenere che il Kosovo possa essere una sorta di cavallo di Troia per la Russia. «La Serbia, non essendo un Paese democratico, sta diventando uno strumento del Cremlino», ha detto a novembre Kurti evidenziando gli ottimi rapporti tra Vladimir Putin e Vucic. In un’intervista dell’estate scorsa, la presidente kosovara Vjosa Osmani aveva affermato: «Putin punta a espandere il conflitto in altre parti del mondo, destabilizzando l’Europa: uno dei suoi prossimi obiettivi potrebbero essere i Balcani occidentali». Bruxelles e Washington speravano di sfruttare l’invasione russa dell’Ucraina, almeno, per dare un’accelerata alla soluzione del rebus kosovaro, con il Cremlino impegnato su un fronte ben più caldo. Non sta andando così anche perché Vucic, in difficoltà sul piano interno e su quello europeo in quanto ultimo (o quasi) dei putiniani, sta gettando benzina sul fuoco delle proteste in Kosovo.

Ora la propaganda del Cremlino punta sulle profezie di Putin e sulla Serbia
Vladimir Putin con il presidente serbo Aleksandar Vucic (Getty Images).

Il precedente della guerra delle targhe

Gli scontri dopo le contestate elezioni comunali fanno seguito alla cosiddetta “guerra delle targhe” che ha tenuto banco nell’ultimo anno e mezzo e scaturita dalla decisione di Pristina di vietare l’utilizzo di documenti di identità e di targhe serbe nel Paese. In un crescendo di tensioni l’estate scorsa manifestanti serbi avevano bloccato con dei mezzi pesanti le strade in direzione delle località di frontiera Jarinja e Brnjak, mentre in risposta la polizia kosovara aveva chiuso il posto di blocco al confine con la Serbia. E si erano verificati anche scontri armati, oltre a una dimissione di massa da parte di funzionari serbi. «I serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic», aveva dichiarato a fine luglio Vucic, accusato ancora una volta da Kurti di istigare le proteste. È altamente probabile che anche negli scontri di due giorni fa ci sia stato lo zampino di Belgrado.

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