Non solo quella dei quirinabili. Si allunga anche la lista dei potenziali kingmaker per l’elezione del presidente della Repubblica. I registi che hanno in mano i giochi (e i numeri) per la successione a Sergio Mattarella. Anche in questo caso, però, l’incertezza la fa da padrona tanto che a una sola settimana dal voto, è difficile decifrare chi abbia davvero in mano corona e scettro. Anzi, molto probabilmente il regista o i registi dell’operazione si scopriranno solo a elezione avvenuta.

Denis Verdini sprona Salvini
Dal centrodestra ha fatto rumore la lettera che Denis Verdini, dai domiciliari, avrebbe inviato nei giorni scorsi a Marcello Dell’Utri e Fedele Confalonieri per illustrare la strategia per portare Silvio Berlusconi al Colle. «Caro Marcello, caro Fedele, è stata davvero una bella mattinata nella quale alcuni ”vecchietti arzilli”, come quelli di Cocoon, hanno ritrovato il gusto del sogno», comincia la missiva riportata dal Tirreno. Verdini strizza l’occhio al ‘genero’ Matteo Salvini, compagno di sua figlia Francesca, che a suo avviso deve ritagliarsi un ruolo centrale nell’operazione. Perché «un’eventuale sconfitta sul Quirinale pregiudicherebbe la sua carriera politica». Verdini, a lungo sodale di Silvio Berlusconi, ha fornito al leader leghista, forse mosso da familiare affetto, un decalogo per consentire al leader di Forza Italia, suo amico di sempre, di diventare il successore di Mattarella al Colle. Una necessità per Salvini, secondo il giudizio del suocero. Da questo infatti dipenderebbe lo stesso futuro politico del segretario del Carroccio. Occorre una strategia sofisticata, in un mix di comunicazione ottimistica e “controllo” dei voti attraverso le schede firmate in un determinato modo per rendere leggibile la preferenza e individuare eventuali franchi tiratori, alias traditori. Tra un suggerimento e l’altro, però, il vero kingmaker non sembra Salvini, bensì Verdini in persona, capace di far arrivare la sua voce nonostante la pena che sta espiando.

Berlusconi potrebbe fare un passo indietro e farsi kingmaker
Questo ruolo delicato potrebbe però essere ricoperto dallo stesso Berlusconi, se non aspirasse a diventare il king. Basterebbe annunciare un passo indietro e puntare su Mario Draghi, o qualche altro nome, per diventare decisivo nell’elezione del capo dello Stato. Sarebbe lui a eleggere il Presidente, di fatto. Da vero padre della patria. È un’ipotesi plausibile, ma comunque legata alle sue ambizioni e alla fortuna o meno dell’operazione “scoiattolo”. Un colpo di teatro simile a quello di Massimo D’Alema, nel 2006. L’ex leader dei Ds, in quell’elezione, era indicato tra i candidati con discrete chance di farcela. Tuttavia, fiutando i pericoli, preferì, d’intesa con l’altro quirinabile dell’epoca, Franco Marini, diventare il kingmaker di Giorgio Napolitano. La storia è andata diversamente nel 2015 con Matteo Renzi che invece era presidente del Consiglio. Da Palazzo Chigi è stato il direttore d’orchestra per l’elezione di Mattarella al Colle. Dopo aver trovato l’intesa con Berlusconi su Giuliano Amato, l’ex Rottamatore si rimangiò l’accordo e preferì intestarsi, in solitaria, il voto del capo dello Stato, mettendo in campo appunto Mattarella.Era, però, un’altra fase, un settennato fa. Adesso Renzi deve accontentarsi di un ruolo da comprimario con una manciata di voti, potenzialmente decisivi, ma che non gli consentono al momento di essere regista dell’operazione. Per farlo ci vorrebbe una congiuntura di eventi, il caos perfetto, e il suo intervento tempestivo per decidere chi incoronare.

Il dem Bettini, mediatore tra Pd e M5s
Altro aspirante kingmaker è Goffredo Bettini, da sempre consigliere ascoltato del Pd. A differenza di altri, si è sbilanciato su qualche nome, vedi gli apprezzamenti per Pier Ferdinando Casini e Giuliano Amato, lasciando intendere di non gradire molto la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Visti i buoni rapporti con Giuseppe Conte, Bettini è oggi suggeritore di primo piano anche del leader del Movimento 5 Stelle. Per lui c’è una doppia veste, quella di importante voce dem e di personalità capace di influire sulle strategie contiane. È però un paradosso che Conte, alla guida del partito che conta il maggior numero di parlamentari, sembri defilato, decisamente lontano dalla stanza dei bottoni. Almeno fino a ora. Conte infatti ha indetto una cabina di regia pentastellata per la serata di lunedì. E già il giorno dopo vedersi con con Enrico Letta e Roberto Speranza per proporre a breve nome alternativo a quello di Silvio Berlusconi.
Letta legato ai “suoi” grandi elettori
Enrico Letta, invece, non ha molta voce in capitolo sul nuovo inquilino del Quirinale. La responsabilità non ricade tutta su di lui, ma dipende dai numeri dei grandi elettori che ha ereditato. Il segretario dem sta cercando di ritagliarsi uno spazio, al momento si è limitato ufficialmente a dire no alla candidatura di Berlusconi che se confermata renderebbe difficile qualsiasi altra manovra. Per provare a indossare i panni dell’attore protagonista, Letta sta temporeggiando, nell’attesa e nell’auspicio che il progetto berlusconiano possa naufragare. E solo allora magari calare sul tavolo l’asso per sbloccare lo stallo. Intestandosi una vittoria in cui però non crede nessuno. Almeno al momento.