Lo chiamavano Rocket Man

Redazione
17/12/2021

Dieci anni fa Kim jong-un diventava supremo leader della Corea del Nord. Smentendo ogni previsione, è riuscito a mantenere e rafforzare il suo potere personale con purghe, esecuzioni e favori alle élite. E con l'arma della minaccia nucleare. Un bilancio.

Lo chiamavano Rocket Man

Era il 17 dicembre 2011 quando Kim Jong-un divenne di fatto il leader supremo della Corea del Nord. Aveva solo 28 anni e una decina di giorni dopo, con le lacrime agli occhi, avvolto in un capotto nero, accarezzava il cofano della Lincoln Continental Anni 70 che trasportava il feretro del padre Kim Jong-il.

Così Kim Jong-un ha smentito ogni previsione 

Alcuni osservatori davano per spacciato il dittatore-ragazzo. Senza la fedeltà degli alti papaveri del partito e dei generali dell’esercito, Kim sarebbe durato poco, almeno politicamente. Secondo le previsioni di Washington, il regime di Pyongyang – creato da Kim Il Sung nominato alla sua morte presidente eterno nel 1948 – sarebbe crollato. Come ricorda il Guardian, appena due giorni dopo il passaggio di consegne, l’allora direttore degli Affari asiatici della Casa Bianca scrisse: «Che si sfaldi nelle prossime settimane o nell’arco di diversi mesi, il regime non sarà in grado di resistere dopo la morte prematura del suo leader, Kim Jong-il». Altri prevedevano invece un cambio di passo della dittatura, vista la formazione del giovane leader educato in un prestigioso collegio svizzero e amante della Nba. Scenari che sono stati smentiti ampiamente dalle cronache degli ultimi 10 anni. Kim Jong-un è rimasto alla guida di un Paese colpito duramente da sanzioni internazionali e piegato dalla povertà, dalla mancanza di cibo – oggi il 40 per cento della popolazione, 10 milioni di persone, vive sotto la soglia di povertà – e dalla pandemia Covid, difficoltà ammesse per la prima volta da Kim solo quest’anno.

I dieci anni di potere di Kim Jong-un e le nuove sfide del dittatore
Kim Jong Un e la sorella Kim Yo Jong (Getty Images).

La crisi della Corea del Nord e la prima ammissione del leader supremo

Lo scorso gennaio, il dittatore oggi 37enne, si era infatti scusato in modo irrituale con il suo popolo riconoscendo di non essere stato in grado di guidare il Paese in tempi così difficili. «Il nostro piano quinquennale di sviluppo economico è stato molto al di sotto degli obiettivi che ci eravamo posti in quasi tutti i settori», ha detto aprendo il Congresso del partito dei lavoratori, invitando la Corea del Nord a intraprendere un’altra “ardua marcia”. Impossibile infatti nascondere il tracollo del Regno Eremita alle prese con una delle crisi economiche più dure della sua storia recente, paragonabile solo alla carestia che oltre 20 anni fa causò 500 mila vittime.

Le purghe familiari, la repressione e l’ossessione del controllo

Tredici giorni dopo la morte di Kim Jong-il, l’erede venne ufficialmente nominato comandante supremo dell’esercito popolare coreano, un anno dopo essere stato presentato a una parata militare. Una sorta di incoronazione che lo proiettò al vertice del Paese al posto del fratellastro maggiore Kim Jong-nam, il cui astro era tramontato nel maggio 2001 quando venne arrestato all’aeroporto di Narita, in Giappone, mentre cercava di entrare illegalmente nel Paese con un passaporto falso della Repubblica domenicana. Finì ucciso con il gas nervino nel 2017 all’Aeroporto Internazionale di Kuala Lumpur, forse a causa dei suoi presunti rapporti con la Cia. Un omicidio che non poteva avvenire senza il benestare di Kim. Credere che Kim Jong-un grazie alla sua formazione occidentale sarebbe stato un riformatore fu un errore. Il suo unico obiettivo infatti era, ed è, garantire la continuità della dinastia Kim, a qualsiasi costo. Come ci sia riuscito non è difficile immaginarlo: coccolando le élite e reprimendo brutalmente dissidenti o presunti tali senza guardare in faccia a nessuno, familiari compresi. Nel 2013 ordinò per esempio l’esecuzione dello zio Jang Song-thaek, consigliere del regime che due anni prima camminava un passo dietro di lui nel corteo funebre di Kim jong-il. Più o meno la stessa sorte toccò agli altri cinque alti funzionari presenti nelle foto di quel giorno, scomparsi nel nulla: Kim Ki-nam, allora capo della propaganda, è sparito dopo essere stato sostituito dalla sorella minore di Kim, Yo-Jong, così come Kim Yong-chun, ministro e vicemaresciallo, il generale Kim Jong-gak e l’ex capo della polizia segreta, U Dong-chuk. Forse è stato risparmiato dalla furia di Kim solo Choe Tae-bok, ex responsabile degli affari esterni, probabilmente pensionato.

Le esecuzioni pubbliche e il dramma di Otto Warmbier

Nel 2017, il mondo ha reagito con orrore dopo la morte di Otto Warmbier, uno studente americano detenuto in Corea del Nord, e accusato nel 2016 di aver cercato di rubare nell’albergo di Pyongyang dove aveva pernottato un poster del regime come souvenir. Il 22enne, condannato a 15 anni di lavori forzati, venne riportato negli Usa in stato comatoso e morì a Cincinnati il 19 giugno del 2017. Ma condanne per terrorismo, violenze ed esecuzioni sono da sempre riservate anche al popolo nordcoreano per placare ogni forma di dissenso, come hanno raccontato i disertori che sono riusciti a raggiungere la Corea del Sud. Stando a un report del Transnational Justice Working Group (Tjwg) tra i reati più frequentemente oggetto delle esecuzioni pubbliche sono stati documentati sette casi di persone giustiziate per la visione o distribuzione di video sudcoreani, cinque per crimini legati alla droga e altrettanti per prostituzione, sette per traffico di esseri umani, omicidio o tentato omicidio e addirittura tre per “atti osceni”. Delle 23 esecuzioni pubbliche testimoniate dagli intervistati, 21 sono avvenute per fucilazione e 2 per impiccagione.

I dieci anni di potere di Kim Jong-un dittatore della Corea del Nord
Kim Jong-un e Donald Trump il 30 giugno 2019 a Panmunjom (Getty Images).

Gli incontri tra Kim e Trump e il nulla di fatto sul nucleare

Uno dei momenti più caldi dei dieci anni di Kim ha coinciso con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2016. Dopo il  peggioramento dei rapporti tra Corea del Nord e Usa durante l’Amministrazione Obama, si temeva una escalation armata. Le baruffe fortunatamente furono solo verbali e social. Nel 2017 Trump chiamò il dittatore nordcoreano «Rocket Man», l’uomo razzo. Kim rispose parlando, a proposito del presidente Usa, di comportamento «mentalmente deviato» dandogli del «vecchio rimbambito» e «vecchio lunatico». Sempre via Twitter Donald contrattaccò: «Perché Kim mi insulta chiamandomi ‘vecchio’ mentre io non lo chiamerei mai ‘basso e grasso’? Pazienza, provo in tutti i modi a essere suo amico e magari un giorno succederà». Una volta esaurito l’arsenale di insulti, i due leader tornarono a più miti consigli incontrandosi più volte: a Singapore nel 2018, e nel 2019 a Hanoi e nella zona smilitarizzata di confine tra le due Coree al 38esimo parallelo. Proprio il summit di Singapore segnò il debutto di Kim come statista concludendosi però con un accordo piuttosto vago per “denuclearizzare” la penisola coreana. Il vertice di Hanoi, invece, finì in un nulla di fatto visto che Trump e Kim non riuscirono a trovare un accordo sull’eventuale “risarcimento” per Pyongyang a fronte dello smantellamento dell’arsenale nucleare. Com’è finita? Kim non ha abbandonato una sola arma nucleare – il suo arsenale ne conterebbe almeno 60 – e recenti immagini satellitari hanno confermato la piena attività dell’impianto di Yongbyon. Del resto è proprio il ricatto nucleare la vera – e forse unica forza – di Kim.

Le voci sulle pessime condizioni di salute del leader sempre smentite

Nonostante le continue voci sui suoi problemi di salute, sulle faide familiari e sulla possibile ascesa della sorella Yo-Jong, Kim resta saldo al potere. Sarebbe addirittura morto e risorto più volte. L’ultima nel 2020, quando dopo un’assenza dalle scene di tre settimane si parlò di un intervento chirurgico al cuore finito male. Secondo teorie ben più plausibili Kim si sarebbe invece isolato a causa della pandemia. E, infatti, il dittatore è ricomparso in buona salute. E dimagrito di almeno 20 kg, come confermato dall’intelligence sudcoreana che ha respinto l’ipotesi che si tratti di un sosia ingaggiato per le apparizioni pubbliche. Che insieme alle foto e ai video di propaganda hanno contribuito a definire una nuova immagine: leader supremo ma allo stesso tempo padre amorevole. Se da un lato l’ultima trovata è stata vietare ai cittadini di indossare il trench in pelle nera perché vestire come il leader è stata definita un’azione «impura, per sfidare l’autorità della più alta dignità», dall’altra sta rafforzando l’immagine di amico del popolo, capace di ammettere i fallimenti politici e di padre amorevole come dimostrano le foto con bambini e le apparizioni con la moglie, Ri Sol-ju, con la quale avrebbe avuto tre figli di età compresa tra i quattro e gli 11 anni.

il bilancio di 10 anni di kim jong un
Kim Jong-un è salito al potere alla morte del padre nel 2011 (Getty Images).

Il Kim-jong-ismo e la minaccia del Covid

In questi 10 anni Kim ha trasformato la Corea del Nord in una potenza nucleare, almeno sulla carta, ed è riuscito a resistere a pressioni economiche senza precedenti da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non solo. È addirittura riuscito a emanciparsi dall’ombra dei suoi predecessori: nel 2019 ha fatto cancellare ogni menzione della politica militare nordcoreana prima dell’avvento al potere di suo padre poi, almeno secondo i media sudcoreani, ha fatto rimuovere i ritratti degli ex leader dalle sale riunioni. Tanto che i funzionari avrebbero creato il termine Kim-jong-un-ismo proprio per indicare la sua rottura col passato. La sfida più difficile per il supremo leader resta però il Covid e le ripercussioni della pandemia su un Paese già piegato dalla povertà. Sarà un virus a sgretolare il Regno Eremita?