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Inkazzakistan

L’ex repubblica sovietica è attraversata da violente rivolte scoppiate a causa dell’aumento del prezzo del carburante. Un segnale per il presidente Kassym-Jomart Tokayev, delfino di Nazarbayev. La Russia invia truppe di peacekeeping.

5 Gennaio 2022 16:096 Gennaio 2022 11:01 Stefano Grazioli
Rivolte in Kazakistan: cosa sta succedendo

Da Capodanno il Kazakistan è nel caos. Le proteste contro l’aumento dei prezzi del carburante scoppiate in varie parti del Paese – dalla provincia occidentale di Mangystau ad Almaty – sono state represse con violenza mentre il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha sciolto il governo dichiarando lo stato di emergenza. Intanto un’alleanza militare di Paesi ex sovietici, guidata dalla Russia, invierà truppe di peacekeeping. Ad annunciarlo è stato Nikol Pashinyan, primo ministro dell’Armenia e presidente di turno dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), alleanza militare di cui fanno parte anche Russia e Kazakistan.

I 30 anni di regime di Nazarbayev e l’ultimo passo indietro

Delle cinque repubbliche ex sovietiche dell‘Asia centrale il Kazakistan è la più vasta geograficamente e la più ricca dal punto di vista economico. Vasta come tutta l’Europa occidentale è ricca di gas e petrolio, l’export delle materie prime costituisce la larga parte del Pil e in 30 anni di indipendenza da Mosca è rimasta stabile, a differenza di ciò che si è visto altrove, dal Kirghizistan al Tagikistan passando per l’Uzbekistan. Per tre decenni il Paese è stato controllato da Nursultan Nazarbayev, ex segretario del Pcus locale che ha governato la transizione dal crollo dell’Urss con mano ferma, per così dire. Nel 2019, a 79 anni, si è ritirato dietro le quinte, non più presidente, ma con il ruolo di capo del Consiglio di sicurezza e con il titolo di Guida del Paese. Oggi ha fatto un altro passo indietro e il suo delfino, l’attuale presidente Tokayev lo ha sostituito anche al Consiglio. Un passaggio simbolico che decreta la fine di un’era, anche se in sostanza il potere è ancora nelle sue mani e in quello del suo clan.

cosa sta accadendo in kazakistan
Nursultan Nazarbayev stringe la mano al presidente Kassym-Jomart Tokayev (Getty Images).

I disordini di piazza sono una spia preoccupante per l’attuale sistema di potere 

I quasi 20 milioni di kazaki sono stati abituati al culto della personalità e il regime di Nazarbayev, pur a maglie più larghe di quello dei vicini Uzbekistan e ovviamente Turkmenistan, quest’ultimo più simile alla Corea del Nord, non è mai stato davvero rose e fiori per chi voleva modificare lo status quo. Una redistribuzione della ricchezza tra i vari gruppi di potere ha garantito comunque nel corso del tempo quella stabilità che ultimamente è stata sempre più messa in discussione. I disordini di questi giorni, causati dal previsto aumento delle tariffe del gas che ha colpito tutti, incidendo però maggiormente sulle fasce di popolazione a basso reddito, si erano già visti negli anni più recenti, secondo lo stesso modello, e sono il segnale che il sistema di potere deve apportare qualche correzione per evitare di perdere ancor più consenso tra quella parte dell’elettorato che è stata trascurata.

kazakistan nel caos: lo scenario
Vladimir Putin con il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev (Getty Images).

La Capitale Nursultan è blindata

Da Capodanno le violenze di piazza in tutto il Paese paese si sono moltiplicate e il bilancio provvisorio conta un centinaio di agenti delle forze dell’ordine feriti e circa 200 persone arrestate. Il presidente Tokayev ha licenziato il governo di Askar Mamin e imposto lo stato di emergenza ad Almaty, città nel sud del Kazakistan dove è stato assaltato il municipio, e nella provincia occidentale di Mangystau, la più inquieta. A Nursultan, la nuova Capitale, che una volta si chiamava Astana, rinominata con il nome dello storico presidente, la situazione è per ora tranquilla: nel mezzo della steppa settentrionale kazaka la metropoli sorta dal nulla per volere di Nazarbayev è però blindata, anche nel ricordo delle proteste, più politiche, che si sono viste più volte tra il 2018 e il 2020, e che già avevano costretto il capo dello Stato a cambiare anche in quella situazione il governo.

Il Kazakistan è visto come modello di ciò che potrebbe accadere in Russia

I due anni di pandemia non sono passati in maniera indolore, con l’economia che si sta riprendendo e che comunque non ritornerà ai livelli pre-crisi prima dell’anno prossimo. Soprattutto, come in tutte le repubbliche ex sovietiche, la lotta al Covid ha incontrato molte difficoltà e con solo un terzo della popolazione vaccinata, la ripartenza è ancora più difficile. Disoccupazione crescente e inflazione hanno creato il terreno fertile per il disagio sociale che si è sommato alla maggiore insofferenza verso un sistema sempre più rigido. Il Kazakistan di Nazarbayev, che con il primo mezzo passo indietro del leader storico quasi tre anni fa, è apparso anche come un modello di quello che potrebbe succedere in Russia con Vladimir Putin, non è riuscito quindi a trovare il giusto equilibrio.

Rivolte in Kazakistan: cosa sta succedendo
Il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev (Getty Images).

La protesta da socio-economica diventa politica

Resta da vedere se, come successo finora, gli accenni di rivoluzione rimarranno confinati sul terreno sociale ed economico, oppure si salderanno con quei movimenti politici di opposizione che in realtà sono stati sempre repressi e non hanno avuto mai modo di opporsi al sistema. I vari pilastri che sorreggono l’architettura costruita da Nazarbayev, nell’amministrazione, nell’apparato di sicurezza e militare, come nella grande industria, hanno sempre resistito e sono stati in grado di riciclarsi. Lo schema visto nelle rivoluzioni colorate, dalla Georgia all’Ucraina, favorite da interventi esterni, cioè dallo zampino degli Usa e della cosiddetta democracy promotion, al momento non pare quello adatto per decifrare le vicende kazake, spiegabili con le sole dinamiche interne.

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