Da un lato José Antonio Kast, esponente dell’estrema destra. Dall’altro, Gabriel Boric. Saranno loro due a contendersi la presidenza del Cile. Il ballottaggio è in programma il prossimo 19 dicembre. In palio c’è la poltrona attualmente occupata da Sebastián Piñera, esponente del centrodestra e reduce da due mandati, seppur non consecutivi. In mezzo a rivestire la carica era stata Michelle Bachelet tra il 2006 e il 2010 e, successivamente, dal 2014 al 2018, a conferma di un’alternanza che negli ultimi anni è stata un tratto distintivo del Paese sudamericano.
Elezioni in Cile, i risultati del primo turno
L’attualità, invece, racconta di sfidanti separati da circa 3 punti e mezzo. In testa, archiviato il primo turno, c’è Kast con il 28 per cento delle preferenze. Al 25 si è fermato Boric. Li separano, ovviamente, non solo le schede elettorali, ma modi opposti di guardare al futuro della nazione. Il primo è portavoce di una parte di popolazione che, alla luce dei disordini scoppiati a più riprese dal 2019, richiede maggiore sicurezza, per dar seguito al percorso di transizione democratica cominciato nel 1990, all’indomani della caduta di Augusto Pinochet. Maggiori diritti sociali, di pari passo con lo sviluppo economico pretendono quanti appoggiano Boric. Che, con gli altri parecchio distanti (Franco Parisi, Partido de la Gente è terzo con il 13, 5 per cento), grazie a un atteggiamento moderato, potrebbe essere in grado di tessere alleanze e relazioni decisive al secondo turno.
Chi è José Antonio Kast, candidato di estrema destra alle elezioni cilene
Repubblicano, omofobo ed estremamente duro nei confronti dei migranti e degli indigeni, Kast incarna l’essenza più classica dei leader populisti e strizza l’occhio a Donald Trump, Jair Bolsonaro, ma anche all’ex presidente peruviano Alberto Fujimori. Uno che, giusto per intenderci, sconta una condanna a 25 anni per i crimini commessi durante il suo governo. In Europa, non c’è da sorprendersi, simpatizza per Vox. Cinquantacinque anni, sposato da 30, ha nove figli. Da fervente cattolico si dice contrario all’aborto, come al divorzio. Ai diritti della comunità LGBTQ e alle rivendicazioni dei movimenti femministi. In economia, Kast è sostenitore di un liberismo estremo, si prefigge di abbattere la spesa pubblica e tagliare le tasse alle imprese. A far crescere il consenso tra i ceti più ricchi e quanti normalmente rispondono a un’ideologia centrista, però è la promessa di un Paese non più vittima di disordini e proteste. Esigenza avvertita con maggiore insistenza da quando nel 2019 sono esplosi gli scontri, reazione dapprima al caro biglietti nella metropolitana di Santiago e successivamente diventati il pretesto per denunciare corruzione dilagante e profonde diseguaglianze sociali.
Ganamos!
Pero es solo el primer paso. Con mucha humildad, compromiso y disposición a escuchar, hoy comienza una nueva etapa.
Mi amor por Chile es infinito y juntos vamos a recuperarlo, para construir un mejor país hacia el futuro.
Gracias, de verdad. ✌️🇨🇱 pic.twitter.com/pU2b6us937
— José Antonio Kast Rist 🇨🇱 (@joseantoniokast) November 22, 2021
«Lotta alla criminalità, traffico di droga e terrorismo», nel suo ultimo discorso, Kast ha ribadito la ricetta per un nuovo Cile, dipingendo se stesso come «l’unica candidatura in grado di riportare la pace». Specie se paragonata a chi «vuole perdonare i vandali che distruggono, incontra gli assassini e non sta mai dalla parte delle vittime». Eppure per Pinochet, di cui si è detto «ammiratore», ha toni diversi: «Se fosse vivo non esiterei a votare per lui». Una riverenza mai nascosta all’interno di una carriera politica piuttosto lunga. Kast nel 2002 era deputato, nel 2017 corse per la prima volta per la presidenza arrivando quarto con l’8 per cento. Figlio di un soldato nazista, è fratello d’arte: Miguel, nato in Germania, arrivò in Cile con la famiglia a due anni. Da grande sarebbe diventato un membro di spicco dei Chicago Boys. Economisti mandati dal regime a studiare negli Stati Uniti con lo scopo di riportare e applicare nella Terra del fuoco i principi del liberismo. Ministro del Lavoro e dell’ufficio di Pianificazione nazionale, Miguel fu presidente della Banca nazionale fino al 1982, esattamente 12 mesi prima di morire. Oggi la sua eredità potrebbe passare al fratello più piccolo.
Gabriel Boric, dalla piazza alla lotta per la presidenza cilena
Dall’altro lato della barricata, nel senso più letterale del termine, proverà a scombinare i piani e riassumere le voci della piazza Gabriel Boric. Barba folta e capello spettinato (ma ultimamente più in ordine forse la portata degli impegni istituzionali), a lui il compito di sintetizzare le anime della coalizione di sinistra Apruebo Dignidad. Appena 35enne, alle primarie ha battuto a sorpresa il comunista Daniel Jadue e dovesse portare a termine la missione, sarebbe il più giovane presidente ad aver mai varcato la porta de La Moneda. Oggi in lotta per un posto nei palazzi del potere, nel 2011, da leader studentesco era in strada per chiedere sanità pubblica e istruzione gratuita e di qualità.
Empieza la segunda vuelta y ganaremos con la inmensa mayoría que quiere cambios para Chile. Cambios para garantizar la seguridad, emprender y vivir mejor.
¡Nos necesitamos más que nunca para avanzar sin dejar a nadie atrás!
El 19 de diciembre votamos 1 ☝ pic.twitter.com/1UJJo9f1NX— Gabriel Boric Font (@gabrielboric) November 22, 2021
Anche per questo la sua agenda, stilata con il beneplacito del partito comunista, punta a riscrivere i termini dell’economia nazionale, prevedendo un intervento più massiccio dello Stato, soprattutto per quanto riguarda il modello pensionistico, al momento interamente in mano ai privati. Spinge per il decentramento in favore di regioni ed enti locali. Difende l’ambiente e la parità di genere. Punta a dar vita «al primo governo ecologista della storia del Cile», e quindi ad abbandonare le centrali a carbone e i combustibili fossili. Si definisce femminista e al rivale risponde per le rime: «A chi teme il crimine, diciamo che saremo con loro per contrastare il traffico di droga». Per i cittadini, in particolare quelli che non l’hanno votato, usa il guanto di velluto: «Per vincere dobbiamo essere umili e recettivi. Dobbiamo cercare di far capire che cerchiamo solo di costruire un Paese più giusto». Un atteggiamento che gli è valso già l’appoggio della senatrice e leader di Democrazia Cristiana Yasna Provoste: «Non permetteremo l’avanzata del fascismo rappresentata da Kast». Lei si è fermata al 12,75 per cento. A lui magari andrà meglio.