Tanto tuonò che piovve. Tutto il consiglio di amministrazione della Juventus ha lasciato la tolda di comando. Le dimissioni sono arrivate nella serata di lunedì 28 novembre 2022, in un consiglio straordinario che si è tenuto alla Continassa. A rassegnarle sono stati il presidente Andrea Agnelli, il suo vice Pavel Nedved, l’amministratore delegato Maurizio Arrivabene e i membri Laurence Debroux, Massimo Della Ragione, Katryn Fink, Daniela Marilungo, Francesco Roncaglio, Giorgio Tacchia e Suzanne Keywood. Le dimissioni non riguardano l’attuale direttore sportivo, Federico Cherubini. Il dirigente bianconero non fa parte del consiglio e dunque resterà per il momento nel club così come tutti gli altri dirigenti. Arrivabene rimarrà fino a dicembre per la gestione ordinaria e per agevolare l’arrivo di Maurizio Scanavino che ha assunto l’incarico di direttore generale, mentre Gianluca Ferrero è stato nominato presidente.

Ma chi è Ferrero? Soprattutto è commercialista e revisore, «ha l’esperienza e le competenze tecniche necessarie per ricoprire l’incarico, oltre a una genuina passione per il club bianconero». Senza nulla togliere alla persona, certamente non è una figura che conta nel capoluogo piemontese. Nato a Torino nel 1963, laureato in Economia e commercio nel 1988, è presidente del collegio sindacale di Fincantieri, Luigi Lavazza, Biotronik Italia, Praxi Intellectual Property, P. Fiduciaria, Emilio Lavazza Sapa, Gedi, Nuo e Lifenet e vice presidente del consiglio di amministrazione della Banca del Piemonte.
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Situazione insostenibile dal punto di vista giuridico e familiare
Si chiude così una delle epoche più vincenti e chiacchierate della storia della Juventus, che durante la presidenza Agnelli ha raggiunto il record dei nove scudetti consecutivi. Ma perché questa decisione improvvisa? La spiegazione è semplice: la situazione non era più sostenibile. Né dal punto di vista giuridico e neanche da quello familiare. Elkann ha così preso in mano la situazione. Nel bel mezzo della controversia giudiziaria avviata dalla madre Margherita Agnelli contro la famiglia, John, Lapo e Ginevra Elkann, i suoi tre figli, hanno fatto fronte comune e rafforzato la presa sulla Dicembre, la società che è il maggior azionista dall’olandese Giovanni Agnelli Bv che controlla Exor. Una prova muscolare volta a chiarire che nel ramo Elkann non ci sono divisioni e John resta il leader indiscusso. Il capitale della Dicembre, che controlla il 38 per cento della Giovanni Agnelli Bv, è di 103 milioni ed è per 61,8 milioni in capo a John e per 20,6 milioni cadauno a Lapo e Ginevra. I tre azionisti hanno deciso di prorogare la durata della società al 31 dicembre 2060 mentre «restano fermi e immutati gli altri patti parasociali». Lo statuto prevede all’articolo 7 che il trasferimento di quote, in caso di morte di uno dei soci, seguirà la strada dei «discendenti consanguinei». E nel caso uno non li avesse, scatterà la prelazione degli azionisti rimanenti. Al massimo le quote potranno finire ad altri rami della famiglia allargata, ma sempre se i soci restanti daranno il loro benestare.
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Gedi, Ferrari, Peugeot: le altre grane da risolvere
Questo rafforzamento ha dato a Elkann il coraggio forzare la mano. Anche il maldestro tentativo di usare la lite di Margherita e manovrare il tifoso Lapo per mettere il fratello John in difficoltà è completamente saltato. Tanta carne è però al fuoco. L’arrivo di Scanavino apre il capitolo Gedi, di cui il manager era ceo con il compito di consolidare la posizione di leader italiano della trasformazione digitale nel settore editoriale. Nelle settimane scorse sono girate molte indiscrezioni sulla possibile vendita della società. E l’uscita del manager, vicino a Elkann, potrebbe confermarle visto anche la difficile situazione editoriale di Repubblica e Stampa. C’è poi la Ferrari e il caso Mattia Binotto, il team principal presto lascerà il Cavallino e bisognerà nominare il successore. Ma quello che più preoccupa in casa Agnelli è l’alleanza con Peugeot. A Torino, che nei fatti è una piccola comunità, sono cominciate a circolare indiscrezioni che a fianco delle operazioni che hanno condotto alla nascita di Stellantis, la fusione tra Psa e Fca, sarebbero stati firmati altri accordi. Alcuni sono noti. In Olanda, per esempio, è stata costituita una fondazione in funzione anti-scalata che dispone di un diritto di sottoscrivere azioni a voto speciale, bloccando sul nascere qualsiasi tentativo di acquisizione ostile, nonché iniziative dei soci di riferimento non gradite dagli altri azionisti. Così come la famiglia Peugeot, che oltre al suo 7,2 per cento può contare su un’opzione per salire fino all’8,5 per cento del capitale. Ma c’è anche c’è chi sostiene che sul pacchetto della dinastia piemontese, attualmente nel portafoglio Exor (14,4 per cento), gravi una put option in favore dei francesi, parziale o totalitaria. Insomma, il caso Juve, se non affrontato subito, rischiava realmente di mettere in crisi la leadership di Elkann.

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Come è diviso l’azionariato tra i membri della dinastia
L’azionariato della Giovanni Agnelli, come si sa, è molto frammentato. Il pacchetto che fa riferimento a Umberto Agnelli vale circa il 34 per cento, ma al suo interno è diviso. Il figlio Andrea è il secondo azionista (11,8 per cento) della Giovanni Agnelli Bv e ha superato la zia Maria Sole Agnelli (11,6 per cento), seguono altri familiari. Contestualmente è salito il peso del ramo di Giovanni Nasi. Ma va sottolineato che Alessandro (8,8 per cento) è stato scelto come referente di questo ramo familiare che conta sul 21,1 per cento della Giovanni Agnelli. Resta il terzo pacchetto in ordine di peso, ma stringendo un’alleanza con John ha in mano la maggioranza della Giovanni Agnelli Bv. Però come controllano Alessandro Nasi e Andrea Agnelli le loro quote? Sostanzialmente attraverso due società fotocopia della Dicembre, dove Elkann ha appena visto confermato il suo peso maggioritario. Agnelli e Nasi sono, invece, in posizione paritaria con i rispettivi fratelli e sorelle. Per l’ex presidente della Juventus le chiavi di controllo sono in custodite nella società semplice A&A. Dopo la scomparsa di Umberto, sono stati chiamati all’eredità la moglie Allegra Caracciolo, i figli Andrea e Anna e la nipote Virginia Asia. Negli anni successivi Andrea e Anna hanno liquidato madre e nipote, diventando titolari, con il 50 per cento a testa, dell’intero capitale.
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La quota che fa capo ad Alessandro Nasi è detenuta dalla società Enne come l’iniziale della famiglia. Il veicolo è stato per anni intestato al padre Andrea, titolare del pacchetto azionario nella Giovanni Agnelli Bv. Il quale, a partire dal 2013, ha donato le quote ai suoi cinque figli, Alessandro, Allegra e i tre fratelli minori, nati dalle nozze con Ellen Downey, Giovanni, Livia e William. A ciascuno di loro è andato un pacchetto del 20 per cento. Il controllo familiare sulla Giovanni Agnelli è dunque solido, ma le relazioni restano tese, sapendo che i dividendi di Exor consentono a tutta la dinastia una vita più che agiata. A maggio il consiglio di Exor ha deciso di separare i ruoli di presidente e di amministratore delegato. Ajay Banga è stato nominato presidente e amministratore senior non esecutivo. Attualmente, la Giovanni Agnelli possiede il 53 per cento della società.
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John stufo dei continui e sempre più onerosi aumenti di capitale
Ma la sua quota reale si aggira intorno all’80 per cento. A dicembre 2021 si sono chiusi infatti i cinque anni che limitavano i diritti di voto alla quota di capitale posseduta. A partire da quel momento è scattato il meccanismo di voto multiplo previsto in Olanda, dove ha sede Exor, che garantisce agli azionisti di lungo periodo maggiori diritti di voto rispetto alla quota di capitale corrispondente. La nomima di Banga aveva suscitato qualche interrogativo. Il cambio al vertice era stato venduto come una misura per modernizzare la governance di Exor. E, in parte, è così. Nominare un presidente esterno è una mossa giusta verso i mercati che non volevano un’azienda quotata che rispondesse solo ai capricci di casa Agnelli. Il compito di Banga è mediare le esigenze della famiglia con gli interessi degli altri azionisti, mentre Elkann ha mantenuto la guida operativa per soddisfare l’atavica fame di soldi della dinastia. Naturale quindi che John fosse stufo di continuare ad aprire il portafoglio di Exor, come avviene da tre anni, per continui e sempre più onerosi aumenti di capitale della Juve. E delle lamentele che arrivavano dalla famiglia. Il suo pensiero è semplice: «Perché continuare a fare decine di trucchi di maquillage, se poi alla fine i conti non tornano e i bilanci continuano a essere in profondo rosso?». Il capofamiglia si era già pentito di aver spinto Exor a tirar fuori altri 255 milioni per l’ultima ricapitalizzazione e di averne già anticipati 75 ad agosto, prima ancora che il cda della Juve deliberasse in merito. La situazione è poi precipitata quando la Juventus è stata costretta a obbedire ai dettami Consob e ha riscritto gli ultimi tre bilanci pro-forma. Il club ha modificato i dati degli esercizi chiusi al 30 giugno 2020, 2021 e 2022 per tener conto delle cosiddette plusvalenze derivanti da operazioni incrociate. I prospetti pro-forma sono stati predisposti per rappresentare gli effetti delle compravendite di calciatori, che, ad avviso di Consob, risultano rappresentate nei bilanci interessati in modo non conforme alle norme contabili.
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Operazioni incrociate, manovre stipendi e la contestazione di aggiotaggio
Le conseguenze delle modifiche sono ampie. I ricavi al 30 giugno 2020 scendono da 573 milioni a 548 milioni, la perdita nello stesso anno sale da 89,6 milioni a 152,9 milioni. Per l’esercizio seguente il fatturato scende da 479 a 466,7 milioni con un rosso di fine anno che sale da 209,5 a 233,1. Le rettifiche hanno l’effetto opposto nell’esercizio chiuso il 30 giugno scorso. I ricavi restano invariati a 439,9 milioni ma la perdita si riduce dai 253 milioni dichiarati ai 193 milioni. Va ricordato che inizialmente all’atto di accusa della Commissione la Juventus aveva replicato: «Gli eventuali effetti dei rilievi sollevati sarebbero nulli sui flussi di cassa e sull’indebitamento finanziario netto, sia degli esercizi pregressi sia di quello appena concluso». L’assemblea dei soci era stata già posticipata al 27 dicembre proprio per capire meglio che piega avessero preso i rapporti familiari e l’inchiesta giudiziaria. Nelle settimane scorse i legali degli indagati del club bianconero hanno formalizzato la richiesta di spostare il procedimento a Milano, sottraendolo così ai magistrati che hanno contestato le irregolarità nei bilanci del 2018, 2019 e 2020, tra «operazioni incrociate» e «manovre stipendi» e chiesto gli arresti, rifiutati dal Gip, di Agnelli. Gli avvocati hanno chiesto di spostare l’inchiesta perché la sede della Borsa è a Milano e la contestazione di aggiotaggio porterebbe nel capoluogo lombardo la competenza territoriale sull’indagine che si è conclusa con 16 indagati. Per questo motivo hanno chiesto ai pm Marco Gianoglio, Ciro Santoriello e Mario Bendoni di inviare gli atti nella città lombarda. La procura piemontese è però del parere opposto e ritiene di essere ancora competente sulla questione. Ai più la mossa degli avvocati, al di là delle competenze giuridiche, è sembrata un tentativo di prendere tempo e consentire a Elkann di affrontare la situazione.
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Serve subito un provvedimento sportivo per rendere credibile il campionato
E adesso che cosa accadrà? Il 27 dicembre l’assemblea nominerà il nuovo cda e approverà l’ultimo bilancio inviato in Consob. Poi, il 18 gennaio, Ferrero sarà confermato presidente e Scanavino diventerà ceo. Alessandro Del Piero potrebbe entrare in consiglio e diventare vice presidente. Una cosa è certa: la Juve non deve essere più trattata come il giocattolo di casa, ma come una società quotata. Poi, magari, si cercherà un acquirente o un investitore di minoranza. Ma bisogna fare in fretta. La battaglia giudiziaria sarà pesante e avere un presidente come Ferrero, esperto di conti, servirà agli avvocati difensori del club per sostenere che un ciclo è stato chiuso. C’è poi il côté sportivo. Se i bilanci non sono veritieri, come ha dimostrato la Consob, che cosa aspetta la Figc, che ha riaperto il caso, a prenderne atto? Aspettare i tempi lunghi della giustizia civile non è possibile. Serve subito un provvedimento sportivo per rendere credibile il campionato e il mondo del calcio. Una sentenza che potrebbe avere gravissime ripercussioni sia sul fronte sportivo sia su quello economico.